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Ecco dove sono le 90 bombe atomiche che l’Italia nasconde per conto degli americani

di Bruno Marolo

In Italia ci sono 90 bombe nucleari americane. La loro presenza ha un’importanza militare limitata per gli Stati Uniti, ma risponde anche ad esigenze politiche del governo italiano, che vuole avere voce in capitolo nella Nato. Lo ha rivelato all’Unità Hans Kristensen, uno specialista del Natural Resources Defense Council (NRDC), autore di un rapporto sulle armi atomiche in Europa che sarà pubblicato tra qualche giorno.

Secondo il rapporto nelle basi americane in Europa ci sono ben 481 bombe nucleari, dislocate in Germania, Gran Bretagna, Italia, Belgio, Olanda e Turchia. In Italia ve ne sono 50 nella base di Aviano e altre 40 in quella di Ghedi Torre, in provincia di Brescia. Sono tutte del tipo indicato dal Pentagono come B 61, che non si presta ad essere montato su missili ma può essere sganciato da cacciabombardieri.

«Le ragioni di un arsenale nucleare così grande in Italia – ha spiegato Kristensen – sono nebulose e la stessa Nato non ha una strategia chiara. Le atomiche continuano a svolgere il tradizionale ruolo dissuasivo nei confronti della Russia, e in parte servono per eventuali obiettivi in Medio Oriente, come l’Iran. Un’altra ragione è di tipo politico istituzionale. Per l’Italia è importante continuare a fare parte degli organi di pianificazione nucleare della Nato, per non essere isolata in Europa. Altri paesi come la Germania hanno lo stesso atteggiamento».

Le anticipazioni sul rapporto di 102 pagine del NRDC coincidono con la riunione della Nato a Nizza, dove il ministro della Difesa americano sta cercando di ottenere dai colleghi europei maggiori aiuti in Iraq. Per alcuni paesi la pubblicazione delle cifre è imbarazzante.

Secondo il New York Times il comandante della Nato, generale James Jones, ha confidato ai collaboratori di essere favorevole all’eliminazione completa delle bombe nucleari in Europa, ma di aver trovato resistenza da parte di alcuni governi europei. Gli Stati Uniti sono in grado di colpire con missili lanciati dal loro territorio tutti gli obiettivi nel raggio di azione dei bombardieri in Europa. I paesi europei, e in particolare l’Italia, tuttavia insistono per avere un ombrello nucleare.

Il regolamento del Pentagono vieta espressamente di divulgare notizie sugli arsenali nucleari all’estero. Tuttavia un alto ufficiale ha ufficiosamente sostenuto che alla fine della guerra fredda molte bombe sono state ritirate dall’Europa e oggi ne rimangono circa 200. Krinsensten ha ribadito le indicazioni del rapporto.

«Al Pentagono – ha dichiarato – non tutti conoscono il quadro completo della situazione. Il numero sarebbe inferiore alle nostre indicazioni soltanto se il presidente Bush avesse ordinato il ritiro di gran parte delle armi nucleari dopo l’attacco dell’11 settembre , ma non ci risulta che questo sia avvenuto».

Tra Italia e Stati Uniti esiste un accordo segreto per la difesa nucleare, rinnovato dopo il 2001. William Arkin, un esperto dell’associazione degli scienziati nucleari, ne ha rivelato recentemente il nome in codice: Stone Ax (Ascia di Pietra). Nel settembre 1991, dopo il crollo del muro di Berlino, il presidente George Bush padre aveva annunciato il ritiro di tutte le testate nucleari montate su missili o su mezzi navali. In Europa erano rimaste 1400 bombe atomiche in dotazione all’aviazione. In dieci anni il numero si è ridotto di circa due terzi.

Le bombe nucleari in Italia sono di tre modelli: B 61 -3, B 61 – 4 e B61 – 10. Il primo ha una potenza massima di 107 kiloton, dieci volte superiore all’atomica di Hiroshima, è può essere regolato fino a un minimo di 0,3 kiloton. Il secondo modello ha una potenza massima di 45 kiloton e il terzo di 80 kiloton. Il governo di George Bush ha ribadito molte volte di non escludere l’opzione nucleare per rispondere ad attacchi con armi biologiche o chimiche. È stata abbandonata la strategia della distruzione reciproca assicurata, che prevedeva armi nucleari sempre più potenti con uno scopo esclusivamente dissuasivo. Ora gli Stati Uniti vogliono produrre bombe atomiche tattiche di potenza limitata, e non escludono di servirsene contro i paesi che considerati terroristi. Almeno due di questi paesi, Siria e Iran, si trovano nel raggio dei bombardieri in Italia.

[ndr – La soluzione concordata prevede l’istallazione in Italia di due postazioni dotate di bombe atomiche, con un meccanismo detto “della doppia chiave”. In pratica le bombe USA in Italia e Germania hanno l’innesco che deve essere attivato con due chiavi: una  l’ha il capo della guarnigione italiana della base (Aviano e Ghedi), l’altra il capo della guarnigione americana.

Le bombe sono caricate su Tornado italiani o tedeschi, i cui piloti sono addestrati negli Stati Uniti, ed anche l’accesso ai bunker in cui questi sono posteggiati è regolato con la doppia chiave. Il Capitolo 5 (Chapter 5) del regolamento Nato prevede che, in caso di attacco ad uno Stato membro, tutte le basi debbano immediatamente rispondere. È possibile che, in caso di attacco nucleare, ci sia un obbligo automatico americano a “sbloccare” le bombe agganciate sotto i nostri aerei. L’accordo resta segreto, i dettagli non sono conosciuti]

LE SIGLE

 

Usaf: aviazione

Navy: marina

Army: esercito

Nsa: National security agency [Agenzia di sicurezza nazionale]

Setaf: Southern european task force [Task force sudeuropea]

ELENCO PER REGIONI:

 

Trentino Alto Adige

1. Cima Gallina [Bz]. Stazione telecomunicazioni e radar dell’Usaf.

2. Monte Paganella [Tn]. Stazione telecomunicazioni Usaf.

Friuli Venezia Giulia

3. Aviano [Pn]. La più grande base avanzata, deposito nucleare e centro di telecomunicazioni dell’Usaf in Italia [almeno tremila militari e civili americani]. Nella base sono dislocate le forze operative pronte al combattimento dell’Usaf [un gruppo di cacciabombardieri ] utilizzate in passato nei bombardamenti in Bosnia. Inoltre la Sedicesima Forza Aerea ed il Trentunesimo Gruppo da caccia dell’aviazione Usa, nonché uno squadrone di F-18 dei Marines. Si presume che la base ospiti, in bunker sotterranei la cui costruzione è stata autorizzata dal Congresso, bombe nucleari. Nella base aerea di Aviano (Pordenone) sono permanentemente schierate, dal 1994, la 31st Fighter Wing, dotata di due squadriglie di F-16 [nella guerra contro la Jugoslavia nel 1999, effettuo' in 78 giorni 9.000 missioni di combattimento: un vero e proprio record] e la 16th Air Force. Quest’ultima è dotata di caccia F-16 e F-15, e ha il compito, sotto lo U. S. European Command, di pianificare e condurre operazioni di combattimento aereo non solo nell’Europa meridionale, ma anche in Medio Oriente e Nordafrica. Essa opera, con un personale di 11.500 militari e civili, da due basi principali: Aviano, dove si trova il suo quartier generale, e la base turca di Incirlik. Sara’ appunto quest’ultima la principale base per l’offensiva aerea contro l’Iraq del nord, ma l’impiego degli aerei della 16th Air Force sara’ pianificato e diretto dal quartier generale di Aviano.

4. Roveredo [Pn]. Deposito armi Usa.

5. Rivolto [Ud]. Base USAF.

6. Maniago [Ud]. Poligono di tiro dell’Usaf.

7. San Bernardo [Ud]. Deposito munizioni dell’Us Army.

8. Trieste. Base navale Usa.

Veneto

9. Camp Ederle [Vi]. Quartier generale della Nato e comando della Setaf della Us Army, che controlla le forze americane in Italia, Turchia e Grecia. In questa base vi sono le forze da combattimento terrestri normalmente in Italia: un battaglione aviotrasportato, un battaglione di artiglieri con capacità nucleare, tre compagnie del genio. Importante stazione di telecomunicazioni. I militari e i civili americani che operano a Camp Ederle dovrebbero essere circa duemila.

10. Vicenza: Comando Setaf. Quinta Forza aerea tattica [Usaf]. Probabile deposito di testate nucleari.

11. Tormeno [San Giovanni a Monte, Vi]. Depositi di armi e munizioni.

12. Longare [Vi]. Importante deposito d’armamenti.

13. Oderzo [Tv]. Deposito di armi e munizioni

14. Codognè [Tv]. Deposito di armi e munizioni

15. Istrana [Tv]. Base Usaf.

16. Ciano [Tv]. Centro telecomunicazioni e radar Usa.

17. Verona. Air Operations Center [Usaf ]. e base Nato delle Forze di Terra del Sud Europa; Centro di telecomunicazioni [Usaf].

18. Affi [Vr]. Centro telecomunicazioni Usa.

19. Lunghezzano [Vr]. Centro radar Usa.

20. Erbezzo [Vr]. Antenna radar Nsa.

21. Conselve [Pd ]. Base radar Usa.

22. Monte Venda [Pd]. Antenna telecomunicazioni e radar Usa.

23. Venezia. Base navale Usa.

24. Sant’Anna di Alfaedo [Pd]. Base radar Usa.

25. Lame di Concordia [Ve]. Base di telecomunicazioni e radar Usa.

26. San Gottardo, Boscomantivo [Ve]. Centro telecomunicazioni Usa.

27. Ceggia [Ve]. Centro radar Usa.

Lombardia

28. Ghedi [Bs]. Base dell’Usaf, stazione di comunicazione e deposito di bombe nucleari.

29. Montichiari [Bs]. Base aerea [Usaf ].

30. Remondò [Pv]. Base Us Army.

108. Sorico [Co]. Antenna Nsa.

Piemonte

31. Cameri [No]. Base aerea Usa con copertura Nato.

32. Candelo-Masazza [Vc]. Addestramento Usaf e Us Army, copertura Nato.

Liguria

33. La Spezia. Centro antisommergibili di Saclant [vedi 35 ].

34. Finale Ligure [Sv]. Stazione di telecomunicazioni della Us Army.

35. San Bartolomeo [Sp]: Centro ricerche per la guerra sottomarina. Composta da tre strutture. Innanzitutto il Saclant, una filiale della Nato che non è indicata in nessuna mappa dell’Alleanza atlantica. Il Saclant svolgerebbe non meglio precisate ricerche marine: in un dossier preparato dalla federazione di Rifondazione Comunista si parla di “occupazione di aree dello specchio d’acqua per esigenze militari dello stato italiano e non [ricovero della VI flotta Usa]“. Poi c’è Maricocesco, un ente che fornisce pezzi di ricambio alle navi. E infine Mariperman, la Commissione permanente per gli esperimenti sui materiali da guerra, composta da cinquecento persone e undici istituti [dall'artiglieria, munizioni e missili, alle armi subacquee].

Emilia Romagna

36. Monte San Damiano [Pc]. Base dell’Usaf con copertura Nato.

37. Monte Cimone [Mo]. Stazione telecomunicazioni Usa con copertura Nato.

38. Parma. Deposito dell’Usaf con copertura Nato.

39. Bologna. Stazione di telecomunicazioni del Dipartimento di Stato.

40. Rimini. Gruppo logistico Usa per l’attivazione di bombe nucleari.

41. Rimini-Miramare. Centro telecomunicazioni Usa.

Marche

42. Potenza Picena [Mc]. Centro radar Usa con copertura Nato.

Toscana

43. Camp Darby [Pi]. Il Setaf ha il più grande deposito logistico del Mediterraneo [tra Pisa e Livorno], con circa 1.400 uomini, dove si trova il 31st Munitions Squadron. Qui, in 125 bunker sotterranei, e’ stoccata una riserva strategica per l’esercito e l’aeronautica statunitensi, stimata in oltre un milione e mezzo di munizioni. Strettamente collegato tramite una rete di canali al vicino porto di Livorno, attraverso il Canale dei Navicelli, è base di rifornimento delle unità navali di stanza nel Mediterraneo. Ottavo Gruppo di supporto Usa e Base dell’US Army per l’appoggio alle forze statunitensi al Sud del Po, nel Mediterraneo, nel Golfo, nell’Africa del Nord e la Turchia.

44. Coltano [Pi]. Importante base Usa-Nsa per le telecomunicazioni: da qui sono gestite tutte le informazioni raccolte dai centri di telecomunicazione siti nel Mediterraneo. Deposito munizioni Us Army; Base Nsa.

45. Pisa [aeroporto militare]. Base saltuaria dell’Usaf.

46. Talamone [Gr]. Base saltuaria dell’Us Navy.

47. Poggio Ballone [Gr]. Tra Follonica, Castiglione della Pescaia e Tirli: Centro radar Usa con copertura Nato.

48. Livorno. Base navale Usa.

49. Monte Giogo [Ms]. Centro di telecomunicazioni Usa con copertura Nato.

Sardegna

50. La Maddalena – Santo Stefano [Ss]. Base atomica Usa, base di sommergibili, squadra navale di supporto alla portaerei americana “Simon Lake”.

51. Monte Limbara [tra Oschiri e Tempio, Ss]. Base missilistica Usa.

52. Sinis di Cabras [Or]. Centro elaborazioni dati [Nsa].

53. Isola di Tavolara [Ss]. Stazione radiotelegrafica di supporto ai sommergibili della Us Navy.

54. Torre Grande di Oristano. Base radar Nsa.

55. Monte Arci [Or]. Stazione di telecomunicazioni Usa con copertura Nato.

56. Capo Frasca [Or]. Eliporto ed impianto radar Usa.

57. Santulussurgiu [Or]. Stazione telecomunicazioni Usaf con copertura Nato.

58. Perdasdefogu [Nu]. Base missilistica sperimentale.

59. Capo Teulada [Ca]. Da Capo Teulada a Capo Frasca [Or ], all’incirca 100 chilometri di costa, 7.200 ettari di terreno e più di 70 mila ettari di zone “off limits”: poligono di tiro per esercitazioni aeree ed aeronavali della Sesta flotta americana e della Nato.

60. Cagliari. Base navale Usa.

61. Decimomannu [Ca]. Aeroporto Usa con copertura Nato.

62. Aeroporto di Elmas [Ca]. Base aerea Usaf.

63. Salto di Quirra [Ca]. poligoni missilistici.

64. Capo San Lorenzo [Ca]. Zona di addestramento per la Sesta flotta Usa.

65. Monte Urpino [Ca]. Depositi munizioni Usa e Nato.

Lazio

66. Roma. Comando per il Mediterraneo centrale della Nato e il coordinamento logistico interforze Usa. Stazione Nato

67. Roma Ciampino [aeroporto militare]. Base saltuaria Usaf.

68. Rocca di Papa [Rm]. Stazione telecomunicazioni Usa con copertura Nato, in probabile collegamento con le installazioni sotterranee di Monte Cavo

69. Monte Romano [Vt]. Poligono saltuario di tiro dell’Us Army.

70. Gaeta [Lt]. Base permanente della Sesta flotta e della Squadra navale di scorta alla portaerei “La Salle”.

71. Casale delle Palme [Lt]. Scuola telecomunicazioni Nato sotto controllo Usa.

Campania

72. Napoli. Comando del Security Force dei Marines. Base di sommergibili Usa. Comando delle Forze Aeree Usa per il Mediterraneo. Porto normalmente impiegato dalle unità civili e militari Usa. Si calcola che da Napoli e Livorno transitino annualmente circa cinquemila contenitori di materiale militare.

73. Aeroporto Napoli Capodichino. Base aerea Usaf.

74. Monte Camaldoli [Na]. Stazione di telecomunicazioni Usa.

75. Ischia [Na]. Antenna di telecomunicazioni Usa con copertura Nato.

76. Nisida [Na]. Base Us Army.

77. Bagnoli [Na]. Sede del più grande centro di coordinamento dell’Us Navy di tutte le attività di telecomunicazioni, comando e controllo del Mediterraneo.

78. Agnano [nelle vicinanze del famoso ippodromo]. Base dell’Us Army.

80. Licola [Na]. Antenna di telecomunicazioni Usa.

81. Lago Patria [Ce]. Stazione telecomunicazioni Usa.

82. Giugliano [vicinanze del lago Patria, Na]. Comando Statcom.

83. Grazzanise [Ce]. Base saltuaria Usaf.

84. Mondragone [Ce]: Centro di Comando Usa e Nato sotterraneo antiatomico, dove verrebbero spostati i comandi Usa e Nato in caso di guerra

85. Montevergine [Av]: Stazione di comunicazioni Usa.

Basilicata

79. Cirigliano [Mt]. Comando delle Forze Navali Usa in Europa.

86. Pietraficcata [Mt]. Centro telecomunicazioni Usa e Nato.

Puglia

87. Gioia del Colle [Ba]. Base aerea Usa di supporto tecnico.

88. Brindisi. Base navale Usa.

89. Punta della Contessa [Br]. Poligono di tiro Usa e Nato.

90. San Vito dei Normanni [Br]. Vi sarebbero di stanza un migliaio di militari americani del 499° Expeditionary Squadron;.Base dei Servizi Segreti. Electronics Security Group [Nsa ].

91. Monte Iacotenente [Fg]. Base del complesso radar Nadge.

92. Otranto. Stazione radar Usa.

93. Taranto. Base navale Usa. Deposito Usa e Nato.

94. Martinafranca [Ta]. Base radar Usa.

Calabria

95. Crotone. Stazione di telecomunicazioni e radar Usa e Nato.

96. Monte Mancuso [Cz]. Stazione di telecomunicazioni Usa.

97. Sellia Marina [Cz]. Centro telecomunicazioni Usa con copertura Nato.

Sicilia

98. Sigonella [Ct]. Principale base terrestre dell’Us Navy nel Mediterraneo centrale, supporto logistico della Sesta flotta [circa 3.400 tra militari e civili americani ]. Oltre ad unità della Us Navy, ospita diversi squadroni tattici dell’Usaf: elicotteri del tipo HC-4, caccia Tomcat F14 e A6 Intruder, gruppi di F-16 e F-111 equipaggiati con bombe nucleari del tipo B-43, da più di 100 kilotoni l’una.

99. Motta S. Anastasia [Ct]. Stazione di telecomunicazioni Usa.

100. Caltagirone [Ct]. Stazione di telecomunicazioni Usa.

101. Vizzini [Ct]. Diversi depositi Usa. Nota: un sottufficiale dell’aereonautica militare ci ha scritto, precisando che non vi sono installazioni USA in questa base militare italiana.

102. Palermo Punta Raisi [aeroporto]. Base saltuaria dell’Usaf.

103. Isola delle Femmine [Pa]. Deposito munizioni Usa e Nato.

104. Comiso [Rg]. La base risulterebbe smantellata.

105. Marina di Marza [Rg]. Stazione di telecomunicazioni Usa.

106. Augusta [Sr]. Base della Sesta flotta e deposito munizioni.

107. Monte Lauro [Sr]. Stazione di telecomunicazioni Usa.

109. Centuripe [En]. Stazione di telecomunicazioni Usa.

110. Niscemi [Cl]. Base del NavComTelSta [comunicazione Us Navy ].

111. Trapani. Base Usaf con copertura Nato.

112. Isola di Pantelleria [Tp]: Centro telecomunicazioni Us Navy, base aerea e radar Nato.

113. Isola di Lampedusa [Ag]: Base della Guardia costiera Usa. Centro d’ascolto e di comunicazioni Nsa.

L'anno che verrà. Le sfide e le incognite del 2011


italietta_copy_1di Roberto Morrione – www.liberainformazione.org

Cosa porta con sé l’anno che verrà? Nessuno può dirlo, in un’Italia incerta e divisa, dove la crisi politica si fonde con la crisi economica e sociale, dove la progressiva caduta di un sistema di potere con la sua incapacità e non volontà di fronteggiare enormi problemi irrisolti non trova una alternativa di governo unitaria e praticabile, dove l’opinione pubblica è condizionata da un’informazione incapace di liberarsi da condizionamenti e vuoti di memoria. E dove si profilano minacce dal sapore eversivo, che hanno ancora di mira una giustizia eguale per tutti e richiamano in modo inquietante le fiamme finali quasi profetiche del Caimano di Nanni Moretti.
Se un’Italia delusa, emarginata, impoverita, affida ogni giorno individuali drammi esistenziali e il suo futuro collettivo alla saggezza del Capo dello Stato, che appare un’isola di certezza in un mare scuro e periglioso, siamo davvero all’ultima stazione di un percorso che, almeno per ora, non trova sbocchi.

In una situazione di così pesanti inquietudini, per coloro che hanno scelto la strada dell’impegno civile contro ogni forma di sopraffazione criminale, l’anno che verrà vuol dire alcune parole semplici, ma non usurate, quali libertà, eguaglianza, etica, solidarietà, responsabilità, partecipazione, giustizia, memoria, speranza. Sono  valori  gelosamente affermati dalla nostra Costituzione, le parole-chiave di ogni vera democrazia. Ciascuna ha dentro di sé un patrimonio di storia, cultura, testimonianze, sacrifici, lotte sociali, spesso percorso dal sangue per difenderle dall’arroganza che anima un potere autoreferenziale,  nemico di ciò che ostacola il profitto e un sistema di privilegi senza morale, ostile a ogni regola di legalità, cioè a una legge eguale per tutti.

In un Paese dove il 10 per cento della popolazione concentra il 50 per cento della ricchezza  nazionale, l’anno che verrà ci chiama a non dimenticare gli ultimi, gli esclusi. Che abbiano il volto sofferente degli immigrati respinti da leggi vergognose condannate dalle istituzioni internazionali, come il grido disperato degli operai senza lavoro di fronte a una globalizzazione che nasconde corruzione e profitto sulla loro pelle e sul destino delle imprese italiane o la protesta dei giovani espulsi dal mondo formativo, dei ricercatori e degli insegnanti precari costretti a portare altrove e all’estero il proprio sapere o di chi ha naturali predisposizioni sessuali non omogenee ai conformismi politici e religiosi imperanti, oggi oggetto di discriminazione e odiosi atti razzisti.

Come delle donne e degli uomini vittime ogni giorno della malasanità o costretti a vivere nell’incubo delle frane e delle inondazioni frutto di speculazione e della distruzione del patrimonio paesaggistico e agricolo o dei tanti operatori della cultura e del patrimonio artistico, insostituibile risorsa della nazione, annientati dalla visione barbara e nichilista di chi afferma (mentendo) che “tanto con la cultura non ci si sfama”!

Nell’anno che verrà si dirà una parola finale alla tragedia della rottura sindacale, del diktat ricattatorio del grande manager internazionale della Fiat che ha cancellato di colpo le faticose conquiste del lavoro rappresentate dal contratto nazionale dei metalmeccanici, mettendo all’angolo la Confindustria ed escludendo dalle trattative il più grande sindacato dei lavoratori. Le sorti di Termini Imerese e Mirafiori diventano solo merce di scambio, nella passività di un governo assente o più facilmente complice.

Ed è ancora per mantenere fede a quelle parole che la società civile responsabile è chiamata nell’anno che verrà a intensificare la propria azione in difesa degli ultimi, a partire dal percorso di Libera e, per quanto riguarda la grande battaglia della libertà di stampa, di noi di Libera Informazione. Tanti e significativi i problemi che troveremo di fronte. La campagna contro la corruzione che Libera sta realizzando insieme con Avviso Pubblico, per attuare le direttive europee e le norme, previste dalla Finanziaria del 2007, per la confisca e l’uso sociale dei beni sottratti ai corrotti, la Carovana che dal Sud al Nord ormai invaso dall’economia criminale riciclata chiamerà istituzioni e opinione pubblica a battersi contro l’avanzata delle mafie, fino al buon funzionamento della nuova Agenzia per l’uso sociale dei beni confiscati su cui si è impegnato il ministro dell’Interno.

Toccando a marzo Potenza nel primo giorno di primavera, per ricordare le vittime innocenti delle mafie, stringersi attorno ai loro familiari, denunciare inadempienze, complicità del potere, indifferenze ed estraneità di tanti italiani ancora ignari di questo problema, soprattutto per l’uso di regime dei principali veicoli televisivi dell’informazione. E verranno i campi estivi nelle cooperative di Libera Terra, dove migliaia di ragazzi del Centro e del Nord Italia vivranno direttamente esperienze vere, di conoscenza, di memoria trasfusa nell’impegno sociale e culturale, anche ricordando quell’Italia unita, risorgimentale, ma resa attuale dalla Carta Costituzionale pilastro della Repubblica, che tanti vorrebbero oggi ignorare o addirittura spezzare.

Nell’anno che verrà, infine, Libera Informazione intensificherà la sua azione nei territori, nel Sud ed anche in tante regioni del Centro-Nord, sul web, con materiali stampati e multimediali, aprendosi ancora di più ai contributi dei siti liberi, dei blog, di web-radio locali, dei tanti giovani che superano l’inesistenza di risorse, l’ostilità e le minacce dei poteri mafiosi e della “zona grigia” che li appoggia, la solitudine di chi va controcorrente. Oltre alle convenzioni che cercheremo di moltiplicare con amministrazioni consapevoli dei pericoli  rappresentati dall’offensiva economica mafiosa, lavoreremo insieme con le rappresentanze dei giornalisti  per cambiare profondamente l’iniqua legge sulla diffamazione che, attraverso strumentali richieste di risarcimento civile, è usata oggi come una pistola alla tempia di chi si cimenta in inchieste e cronache sul malaffare e la corruzione. Saranno ancora una volta i territori il terreno più diretto dell’azione, costituendo comitati di appoggio e assistenza anche legale che non lascino sole le vittime documentate di querele e liti temerarie. 

L’anno che verrà dovrà essere dunque un anno di risveglio e di riscossa per l’informazione, che va finalmente riscattata dai tanti condizionamenti, vuoti e debiti etici che pesano sullo stato e sul futuro della nostra Italia alla ricerca dell’identità.

 

Acque all'arsenico: Natale senza potabile e arrivano i «piazzisti» di finti depuratori

acqua_tossica

di Alessandro Fulloni – corriere.it/roma

Mentre dal Governo si attende l’elenco dei comuni laziali in cui dovrebbe scattare lo stato d’emergenza per l’arsenico nell’acqua potabile (finora secretato) , si moltiplicano le ordinanze di chiusura dei rubinetti firmate dai sindaci di comuni inclusi nelle province di Roma, Latina, Viterbo, Frosinone

Ai divieti di consumare per usi alimentari le acque pubbliche già in vigore a Cori e Cisterna (nel Pontino), Vitorchiano (nel Viterbese) e Velletri (ai Castelli) si aggiungono i provvedimenti firmati anche a Sermoneta e ad Aprilia.

Anche qui, tra il Frusinate e la provincia di Latina, per Natale l’acqua arriva a scuole e famiglie con le cisterne della Protezione civile. Nel frattempo fioccano le analisi «fai da te» ad opera di comitati cittadini e privati, spesso preoccupati di tutelare, anzitutto, la salute dei bambini.
Ma quel che è più grave è che c'è già chi specula sulla paura dei consumatori: in provincia di Latina sono già comparsi i piazzisti di impianti di depurazione dall'efficacia dubbia se non addirittura fasulli.

 

TUSCIA, «VIETATO» BERE AI MINORI DI 14 – Dalle analisi private emerge che valori oltre i 10 microgrammi per litro tollerati dalla Ue sono stati registrati, in prelievi effettuati il 13 dicembre 2010 dall’associazione «Differenzia-ti», in una decina di località della regione, tra cui Genzano, Lanuvio e Lariano (per i risultati completi vedere il link di Differenzia-ti in alto a destra). 

Altri esami di quel che esce dal rubinetto senza però il crisma dell’ufficialità sono quelli effettuati ad Anguillara da un rappresentante dell’Udc, Paolo Alberti, che ha scoperto valori della sostanza tossica «superiori a quelli consentiti dalle deroghe».
Nella Tuscia, e precisamente a Tolfa, si apprende che da circa un anno Asl, Comune e Acea hanno indirizzato ai cittadini una specie di manuale con le «istruzioni per l’uso» in cui si legge che «il consumo dell’acqua da bere in distribuzione non è consigliato per i soggetti di età inferiore ai 14 anni».
Secondo gli studi medici nazionali, inoltre, gli effetti dell'assunzione di acqua con alte percentuali di arsenico nei bambini da 0 a 3 anni potrebbero includere l'insorgere di forme tumorali.

 

VELLETRI, BOTTIGLIE DI MINERALE ALL’ASILO – Sempre a Velletri, è ancora l’Acea ad elencare al sindaco Fausto Servadio le scuole (tra cui alcuni asili) in cui viene data a bimbi e insegnanti l’acqua delle bottiglie perché dai rubinetti escono quantitativi di arsenico superiori anche ai 20 microgrammi. Ma l’allarme riguarda anche il mondo delle imprese. 

Dopo che la Flai Cgil del Lazio (settore agroalimentare) ha reso noto che tra i Castelli e Pomezia sono state multate 17 aziende produttrici di cibi che facevano uso di acqua «fuorilegge», anche il sindaco di Aprilia D’Alessio ha esteso la limitazione «alle imprese alimentari».

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VITERBO, L’ALLARME DEI MEDICI DI FAMIGLIA – Preoccupazioni arrivano pure dalla Fimmg (associazione dei medici di famiglia) di Viterbo – la provincia dove l’ emergenza è maggiore, tanto da riguardare una quarantina di città – il cui segretario Luciano Sordini sollecita «il rispetto della decisione Ue» che il 28 novembre ha bocciato la richiesta di deroga ai limiti dell’arsenico richiesta dall’Italia.
Decisione europea che ha di fatto «sigillato» quel che esce dai rubinetti di 128 comuni italiani, la maggior parte dei quali (91) concentrati nel Lazio.

 

LATINA, C'E' CHI SPECULA SULLA PAURA – In mezzo all’emergenza non mancano i furbetti: veri e propri «piazzisti» di finti depuratori che speculano sulla paura della gente. Lo rende noto la società Acqualatina, gestore del servizio idrico nel Pontino, che parla di «venditori di depuratori e di “analisti” che propongono di verificare la purezza dell'acqua che esce dal rubinetto di casa qualificandosi», appunto, come rappresentati di Aqualatina. Che però precisa «di diffidare di queste persone», dato che «non è in corso alcuna azione volta al controllo analitico dei prelievi». In caso di chiamate o proposte sospette, ci sono due numeri verdi da chiamare: l’800 085 850 e il 199 50 11 53 attivo da cellulare.

Acqua cara e avvelenata. Il caso Velletri, una storia Italiana

Resuidi bellici chimici nell'Adriatico. Una manifestazione importante

https://liberatoriopolitico.wordpress.com/wp-content/uploads/2010/11/manifesto1.jpg?w=210

Fonte: liberixpesaro.blogspot.com/…

Per chi non c'era.

Guarda il video del dibattito. Ci sono tante informazioni che ci riguardano direttamente.

Francesco Padre, indagini alla fase cruciale

Ieri conferenza stampa in procura. Numerosi gli atti acquisiti; si attende la risposta alle rogatorie. E si ritorna a parlare del recupero del peschereccio affondato il 4 novembre 1994

http://molfettalive.it/imgnews/Francesco%20Padre%20procura%20016(3).jpg

di Lorenzo Pisani (www.molfettalive.it/…)

L’immagine più ricorrente del Francesco Padre è una foto sbiadita. Il nome sulla poppa, il cane a sorvegliare la coperta, l’ormeggio. Un’altra immagine mostra lo stesso nome, la stessa poppa 243 metri sott’acqua, dopo la tragedia di quel 4 novembre 1994.

Ed è da qui che la procura di Trani vorrebbe ripartire. È stato chiesto ad alcune società il preventivo per un eventuale recupero dello scafo colato a picco nelle acque internazionali del mare Adriatico. Una prima stima parla di un milione di euro (con il Comune di Molfetta pronto a fornire un contributo) solo per calare sui fondali il “rov”, un robot capace di compiere riprese video, entrare nello scafo e recuperare anche i resti di Giovanni Pansini, Luigi de Giglio, Francesco Zaza, Saverio Gadaleta, i quattro marinai (il corpo di Mario de Nicolo fu l’unico a essere recuperato) che da sedici anni non trovano riposo.

L’annuncio ieri durante la conferenza stampa convocata dal procuratore capo Carlo Maria Capristo per illustrare gli ultimi sviluppi dell’inchiesta. La terza, dopo che le prime due sono state archiviate «per carenza di documentazione».

Si indaga a tutto campo, hanno precisato il sostituto procuratore Giuseppe Maralfa e il maggiore del comando provinciale dei carabinieri Iannelli. Le piste battute sono civili e militari.

Nei giorni che precedettero l’esplosione e affondamento del peschereccio, in Adriatico era in corso l’operazione militare Nato “Sharp Guard”. Erano gli anni della guerra civile jugoslava, il mare come uno scacchiere. Il pericolo era tangibile, e sarebbe affiorato prima e dopo la tragedia. Il 30 ottobre 1994 il capitano dell’imbarcazione molfettese, Giuseppe Pansini, rilascia un’intervista al giornalista Federico Fazzuoli di Telemontecarlo. Si adombrano sospetti su presunti traffici di pescato acquistato dai colleghi italiani da imbarcazioni montenegrine, che avrebbero trattenuto una tangente del 50%. La morte dei cinque molfettesi una ritorsione?

E come collocare il rapimento da parte dei serbi del pescatore laziale liberato il 12 novembre dello stesso anno? E la morte di un altro molfettese, Antonio Gigante, raggiunto nel 2 giugno 1993 da colpi di mitragliatore a bordo di un motopesca di Manfredonia? E le manovre militari?

Finora, ripete la procura, la scarsità di documenti ha costituito un ostacolo insormontabile. Adesso, complice la dissoluzione dell’ex Jugoslavia e la declassazione di alcuni atti, è stato possibile acquisire nuove informazioni.

Rogatorie sono state richieste alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e all’estero. Si attende. Solo il segreto di stato potrebbe, a questo punto, fermare nuovamente le indagini. Sarebbe l’ultimo colpo per i familiari delle vittime, rappresentati ieri da Maria Pansini e da alcuni legali. I resti dei propri cari e la loro riabilitazione, sedici anni dopo, è tutto quello che chiedono.

Al servizio di chi?

Dall’Addaura alle stragi, ritornano i dubbi.

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di Lorenzo Frigerio (www.liberainformazione.org/…)

Prima ha consegnato la sua preoccupazione ai microfoni del Gr Rai e poi si è ripetuto anche nel corso dell’audizione davanti al COPASIR, il comitato parlamentare che si occupa dei servizi segreti. Il procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari, è stato costretto, probabilmente suo malgrado, a dichiarare che sono in corso di svolgimento accurate indagini sul ruolo svolto da uomini dei servizi in quegli anni cruciali nel passaggio dalla prima alla seconda Repubblica.

Una rilettura che parte dal fallito attentato all’Addaura del giugno 1989 per arrivare alle stragi del biennio di fuoco, quello che copre il 1992 e il 1993. Sotto i riflettori sarebbero le azioni, le omissioni, le relazioni di chi era chiamato, per il giuramento di fedeltà alla Repubblica, a servire il Paese e la Costituzione e che, invece, sembrerebbe aver fatto da sponda consapevole e complice alle azioni criminali della mafia, per proprio tornaconto personale o forse per avere salva la vita, mentre in quegli anni altri loro colleghi delle forze dell’ordine venivano spazzati via dalla furia omicida di Cosa Nostra o rimossi per vie burocratiche.

Contemporaneamente, Lari si è anche lamentato delle fughe di notizie che in questi ultime settimane si succedono a cadenza periodica, a partire proprio dalla rilettura delle vicende dell’Addaura, perché danneggerebbero oggettivamente i delicati accertamenti in corso che, meglio sarebbe stato ovviamente, si svolgessero nel riserbo più assoluto. Invece, in questo momento, le procure siciliane, in particolare quella nissena, sembrano tornate ad essere un colabrodo, con il risultato che tutto finisce nel circuito mediatico senza alcun tipo di controllo, in presa diretta. Il risultato è controproducente e spesso e volentieri indigesto, perché incomprensibile ai più, sprovvisti di quella conoscenza e memoria necessaria per interpretare fatti così complessi. E se anche l’informazione contribuisce ad ingarbugliare il quadro, rischia di essere sempre più irraggiungibile l’accertamento della verità in sede giudiziaria.

Il riferimento diretto di Lari è agli scoop giornalistici relativi alla riapertura delle indagini sulla mancata strage dell’Addaura, a partire dagli accertamenti che in queste settimane si stanno facendo, grazie anche alla collaborazione di alcuni uomini d’onore pronti a dire quello che sanno ai magistrati. Nuove prove del DNA sarebbero oggetto di prossimi incidenti probatori, per cercare di arrivare a dare un volto a chi mise sulla scogliera antistante la villa al mare di Giovanni Falcone l’esplosivo che avrebbe dovuto uccidere il giudice palermitano e i colleghi svizzeri Carla Del Ponte e Claudio Lehman.

Non si è  ancora spento l’eco delle parole di Lari, ed esce la notizia che, proprio in queste ultime ore, viene rilanciata dagli inviati de “La Repubblica”: l’avvenuta iscrizione nel registro degli indagati delle Procure della Repubblica di Caltanissetta e Firenze del famigerato “signor Franco”, il personaggio indicato da Massimo Ciancimino come l’interlocutore istituzionale del padre, quel don Vito che da sempre rappresentava il punto di contatto tra la politica e Cosa Nostra.

Il figlio di Ciancimino, sarebbe stato ascoltato dai magistrati nisseni e fiorentini in tutta fretta nei giorni scorsi e avrebbe proceduto anche al riconoscimento fotografico del “signor Franco”, l’esponente dei servizi segreti che, fin dagli inizi degli anni Settanta, sarebbe stato in strettissimo contatto con suo padre, giocando un ruolo assolutamente ambiguo.

Se costui fosse davvero quello che Massimo Ciancimino sostiene essere, ci troveremmo di fronte ad un esponente dello Stato, da un lato e di quella “zona grigia”, dall’altro, che ritorna periodicamente sul banco degli imputati: il terminale delle vicende più buie della nostra democrazia.

È un dato di fatto che tutte le volte che si chiamano in causa le responsabilità dei servizi segreti, dalle vicende del terrorismo alla strategia della tensione per arrivare alle stragi, passando per gli omicidi di mafia, si avverte netta l’impressione di dover arrendersi di fronte all’impossibilità di arrivare ad una verità, finendo per mettere in dubbio anche le poche certezze fino a quel momento raggiunte a fatica.

Ci auguriamo ovviamente che non si ripeta lo stesso anche questa volta, ma purtroppo i prodromi ci sono tutti, compreso un mal interpretato ruolo dell’informazione e una strumentalizzazione dei rapporti che naturalmente intercorrono tra magistrati e giornalisti. Strumentalizzazione che in queste settimane vive un cruciale banco di prova in materia di intercettazioni e limiti al diritto di informazione nel nostro paese.

Vogliamo dire che se giustamente Lari lamenta la fuga di notizie e paventa il rischio di inquinamento delle fonti di prove, che dovremmo allora dire delle affermazioni del procuratore nazionale antimafia Piero Grasso che, intervenendo durante le commemorazioni ufficiali della strage di via dei Georgofili, in un primo momento dichiara che le stragi del 1993 avevano lo scopo di dare“la possibilità ad una entità esterna di proporsi come soluzione per poter riprendere in pugno l’intera situazione economica, politica, sociale che veniva dalle macerie di Tangentopoli”, salvo poi precisare, soltanto a distanza di qualche ora, che le sue erano “ipotesi e ragionamenti”?

Non è  proprio questo genere di dichiarazioni e smentite che servono ad alzare polveroni che durano lo spazio di una giornata, senza arrivare poi ad un punto fermo? Lo stesso avvenne ad ottobre dello scorso anno, quando il procuratore nazionale antimafia dichiarò che la trattativa avrebbe salvato la vita ad alcuni ministri della Repubblica, salvo poi minimizzare le dichiarazioni rese.

È sicuramente ipotizzabile che a giovarsi di questo continuo tourbillon di detto e non detto, di smentito e di denunciato siano proprio i mandanti delle stragi palermitane. Sarebbe invece ora che si puntassero decisamente i riflettori su quei luoghi dove l’esercizio del potere in forma occulta e fuori da ogni controllo democratico è la regola. Per capire “al servizio di chi” erano e sono i servizi segreti dell’Italia repubblicana. 

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Il peschereccio “Francesco Padre” sbarca in Parlamento

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 (www.italiaterranostra.it/…)

Dopo 16 anni di depistaggi e manomissioni della verità, grazie al libro "NATO: COLPITO E AFFONDATO", la Procura della Repubblica di Trani riapre il caso. Purtroppo, non basta perché occorre infrangere i segreti militari dell’Alleanza atlantica e degli stati ossequienti (Italia in primis). Così, grazie alla tenacia di un giornalista e alla lungimiranza di un politico, la strage targata Nato approda in Parlamento. Obiettivo: giustizia attraverso un’apposita Commissione parlamentare d’inchiesta. Il primo appuntamento di una lunga serie è la conferenza stampa di martedi 9 marzo alle ore 14,30, presso la Camera dei Deputati (sala Mappamondo). Leoluca Orlando e Gianni Lannes inizieranno ad abbattere il muro di gomma. Non basta: ci vuole un movimento civile della società.

Orlando e Lannes chiedono al Governo italiano – come primo atto di buona volontà – il recupero immediato dei resti umani a 243 metri di profondità.  

 

  

      
  L’interrogazione parlamentare a risposta scritta presentata da Leoluca Orlando

 

   

 

«Francesco Padre»: L'ipotesi della procura è omicidio volontario

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da www.lagazzettadelmezzogiorno.it/…

Omicidio volontario nei confronti di ignoti: è l’ipotesi di reato sulle quali indaga la procura della Repubblica di Trani nel tentativo di far luce sulle circostanze dell’esplosione di un peschereccio di Molfetta (Bari) – il Francesco padre – avvenuta il 4 novembre 1994 a 20 miglia dal Montenegro, nella quale morirono cinque persone. 

La procura ha avviato dieci giorni fa, per la terza volta, le indagini sulla vicenda: nel 1997 e nel 2001 le inchieste furono archiviate per la morte del presunto reo, il motorista Luigi De Giglio, per il trasporto di armi ed esplosivo destinato a Paesi dell’ex Jugoslavia, il cui scoppio accidentale avrebbe causato la tragedia. Contro questa ipotesi i familiari di De Giglio hanno chiesto, e ottenuto, di riaprire l’inchiesta.

I resti del peschereccio e degli altri quattro componenti l’equipaggio, come accertarono immagini filmate, si trovano a circa 294 metri di profondità. Tra le ipotesi formulate dai familiari delle vittime, che hanno chiesto il recupero del relitto, quelle che l’esplosione sia stata causata dalla manovra di un sommergibile. In quel periodo, infatti, erano in corso operazioni della Nato nell’ambito del conflitto nei Balcani. 

«L’ipotesi investigativa di omicidio volontario – afferma l’avv. Nichy Persico che insieme con i colleghi Ascanio Amenduni, Nino Ghiro e Vito D’Astici assiste alcuni parenti delle vittime – è in linea con quanto sino a oggi ipotizzato dagli stessi familiari in quanto, evidentemente, esclude il fatto accidentale nonchè il trasporto di esplosivi. Certo è – conclude Persico – che in questo momento ogni ipotesi ha bisogno di essere attentamente vagliata».

Il Francesco Padre in uno scenario di quasi guerra

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È il 4 novembre 1994: cinque uomini, e un cucciolo di cane, a bordo del motopeschereccio Francesco Padre di Molfetta, stanno facendo una battuta di pesca nell’Adriatico Orien tale. Nella notte l’imbarcazione esplode e si inabissa. Nella stessa notte in quelle acque è in corso l’operazione Nato «Sharp Guard». Il 17 dicembre 1997 la Procura di Trani chiede l’archiviazione del fascicolo: il pm ipotizza una deflagrazione interna al peschereccio sospettato di tra sportare illegalmente materiale esplosivo. Nel 2001 i fa miliari delle vittime chiedono di riaprire il caso, istanza che viene respinta anche per il «mancato recupero com pleto del relitto». La settimana scorsa, infine, la Procura tranese ha riaperto l’inchiesta. E come primo atto chiederà la rimozione del segreto di Stato sui documenti militari.


di Nicolò Carmineo (www.lagazzettadelmezzogiorno.it/…)

Per fare luce sulla vicenda del peschereccio molfettese «Francesco Padre», colato a picco la notte del 4 novembre 1994 con a bordo il comandante Giovanni Pansini e il suo equipaggio, bisogna indagare lo scenario dell’Adriatico meridionale, la «guerra» che in quegli anni veniva combattuta a poche miglia dalle nostre coste e di cui pochi hanno consapevolezza, se non per le derive criminali sul nostro territorio. È poi necessario risponde re ad alcuni quesiti insoluti, gli stessi che da anni si ritrovano nelle istanze di riapertura del ca so promosse dai familiari delle vittime.

Ricordiamo che solo da una settimana la Procura di Tra ni ha ripreso ad indagare. Non si spiega perché, se non l’intero peschereccio, almeno i resti umani evidenziati nel video del ROV pubblicato dalla Gazzetta, non siano mai stati recuperati. E ciò non solo per realizzare una analisi medico legale a fini in vestigativi, ma per il dovere mo rale di restituire le spoglie ai parenti.
Esiste una perizia sul corpo dell’unico marittimo ritrovato Mario De Nicolo, ma nelle carte processuali non c’è neppure una parola su eventuali osservazioni delle ossa presenti nel video. Il cranio, per esempio, analizzato da alcuni esperti per la Gazzetta, mostra un’ampia lesione della porzione del volto di sinistra a livello dello zigomo e uno strano foro che potrebbe essere di proiettile, il femore risulta frat turato all’altezza «del terzo medio», e ciò è riferibile ad un «grande traumatismo», ciò agli occhi degli addetti ai lavori assume un significato ben preciso per determi nare le cause della morte.

I magistrati che chiusero il caso nel 1997 hanno seguito prevalentemente una pista, quella cioè che il natante trasportasse dell’esplosivo, ma hanno trascurato tutte le altre, pur plausibili in uno scenario di conflitto. In un rapporto dello Stato Maggiore della Marina a firma del Capo di Stato Maggiore ammiraglio Mariani datato 9 dicembre 1994 si legge una lista delle unità militari che operavano sotto il con trollo del comando Nato (Com navsouth) in Adriatico nelle ore in cui si è verificato l’incidente: HCMS Toronto (Canada), ITS Perseo (Italia), ITS Euro (Italia), HS Hydra (Grecia), SPS Baleares (Spagna – questa è la nave più vicina che intervenne per prima nella zona dell’affondamento), HNLMS De Ruyter (Olanda), HLMNS Van Brakel (Olanda), HMS Nottingham (Gran Breta gna), FS Anquetil (Francia), USS Yorktown (Stati Uniti) e ben tre sommergibili SPS Tra montana (Spagna), USS Rivers (Stati Uniti), HLMNS Walrus (Olanda).
Nel rapporto si tacciono le posizioni dei tre sommergibili, né si ha contezza sulle in formazioni che queste sofisticate unità avrebbero potuto dare con i loro rilevamenti. Neppure sono stati acquisiti i tracciati radar di eventuali velivoli militari (anche se il documento non ne segnala la presenza) o almeno di quello che alle ore 00.30 vide l’esplosione in mare.

Nello stesso rapporto si fa cenno poi che il 2 novembre il sommergibile Tramontana aveva segnalato la presenza di un motopesca dedito ad attività sospette, ma che le sue caratteri stiche non erano compatibili con quelle del «Francesco Padre». Una così intensa attività mi litare in passato aveva già portato a numerosi incidenti con la ma rineria pugliese. Lo stesso «Francesco Padre» (luglio 1993) aveva rischiato di affondare per aver preso nelle reti un sommergibile Nato, e il peschereccio «Modesto Senior» (novembre 94) era stato mitragliato per errore da un velivolo Nato, solo per citare alcuni episodi.

La documentazione sull’attività militare in quei giorni in Adria tico è di difficile accesso, ma in alcuni casi i magistrati non l’hanno neppure richiesta . Un tale dispiegamento di forze navali serviva a far rispettare l’embargo alla ex Jugoslavia, ma non solo perché in quel tratto di Adriatico passava ogni tipo di traffico, la droga proveniente dall’Asia e dalla Turchia, armi balcaniche a buon mercato, si garette di contrabbando, stimate in 561mila tonnellate l’anno. Tali quantità che, nel febbraio del 1994, spinsero le autorità di si curezza pugliesi a chiedere l’in tervento massiccio della Marina per bloccare i contrabbandieri e i trafficanti.

Ma in quel tratto di mare operava anche ciò che ri maneva della Marina jugoslava rimasta in mano ai serbo-montenegrini con base a Tivat nelle Bocche di Cattaro. Nei primi anni Novanta era stata protagonista di diverse battaglie navali contro le forze croate che utilizzavano anche veloci scafi da diporto opportunamente armati. Molte zone dell’Adriatico erano state minate da entrambi gli schieramenti, per queste operazioni la Marina serba (che tra l’altro disponeva di diversi sommergibili classe Heroj e Sava) utilizzava speciali minisommergibili R1 ed R2 detti «tascabili» per le loro ridotte di mensioni (4 metri), dotati di tubi lanciasiluri.

Nel 1994 l’attività operativa delle unità di Belgrado era limitata, ma si segnalano diversi episodi di scontro tra croati e serbi (soprattutto per il controllo dei traffici di armi) e tra questi e le forze Nato come nel caso di una petroliera che cercava di violare l’embargo. E non mancano casi di mitragliamento nei confronti di alcuni pescherecci da parte di unità serbo-montenegrine che nel giugno 1993 causano proprio alla marineria molfettese una vittima, Antonio Gigante ucciso a raffiche di mitra. La notte dell’incidente, nella relazione dello Stato Maggiore si dice che non vi erano altre unità in zona, ma chi ci assicura che non vi fosse uno scontro, coperto da segreto militare, e il peschereccio molfettese ne sia rimasto vittima? Per trovarne le tracce biso gna recuperare il relitto, rifare le perizie sulla tipologia di esplo sivo che causò l’affondamento. Anche su questo punto non c’è chia rezza, le perizie sul la natura dell’esplosivo trovato nei frammenti del peschereccio non sono univoche. In molte carte processuali si riferisce sempre che gli esplosivi fossero di tipo civile, (gelatina quella usata nelle cave), ma in realtà due esperti in chi mica degli esplosivi (Massari, Vadalà) indicano la presenza di esplosivo di tipo civile e militare (molti degli ordigni che venivano adoperati nella guerra nei Balcani erano costruiti artigianalmente con miscele di esplosivi).

Le perizie contrastano anche su dove sia partita l’esplosione che secondo diversi periti tra cui il capitano Francesco Mastro pierro (del quale abbiamo riferito le osservazioni) è avvenuta all’esterno e non dall’interno del natante.

“Francesco Padre”: sciacallaggio di avvocati e Gazzetta del Mezzogiorno

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Gianni Lannes

di Gianni Lannes (www.italiaterranostra.it/…)

Ci hanno ferito una seconda volta. Seguitano a strumentalizzare la morte orrenda di cinque uomini tra cui mio padre – mi racconta Maria Pansini visibilmente scossa – Mi fanno schifo questi soggetti che continuano a calpestare i sentimenti umani per avere un loro momento di gloria”.

Al peggio, purtroppo sotto queste latitudini non c’è mai fine, come insegna il quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno. Il foglio pugliese della famiglia sicula dei Ciancio Sanfilippo manda ora in onda a puntate una macabra operazione speculativa imperniata sul dolore di persone indifese. A metà degli anni ‘90 qualche firma dello stesso giornale infamava l’equipaggio del motopeschereccio affondato da un sommergibile della Nato il 4 novembre 1994.
L’accusa campata in aria era disarmante: l’equipaggio trasportava esplosivi. Ora, il direttore responsabile Giuseppe De Tomaso e il direttore editoriale Carlo Bollino vanno oltre e sbattono i resti umani di quei lavoratori del mare in fondo all’Adriatico addirittura sul telefonino.
A pagina 5 infatti si legge: “La diretta. Il video del relitto sul fondo del mare. Guarda sul telefonino il drammatico video girato a 243 metri di profondità che mostra il relitto del peschereccio Francesco Padre”. Insomma, cucinano una vergognosa operazione commerciale. Il “pezzo” di Nicolò Carnimeo (17 febbraio 2010, prima parte) spaccia addirittura le immagini Rov (robot con telecamera subacquea) come recenti: in realtà sono state girate nel 1996. Esseri umani assassinati per ragioni di Stati dell’Alleanza atlantica, uccisi una seconda volta dalla testata barese e da alcuni avvocati ingordi a caccia di notorietà a buon mercato.

Nel ‘94 l’avvocato Ragno ci ha messo alla porta perché non avevamo i soldi per permetterci il suo patrocinio – rivela Rosalia Giansante, vedova di Giovanni Pansini – ora dopo l’uscita del libro che racconta cosa è successo veramente vuole difenderci gratis”. Dopo 15 anni di assordante silenzio viene pubblicato un libro d’inchiesta che svela le  dinamiche di quella strage. Risultato?
Si sveglia dal letargo la procura della Repubblica di Trani che la scorsa estate aveva imposto alla figlia del comandante Giovanni Pansini di produrre un certificato storico di famiglia per visionare i faldoni giudiziari. In Puglia, o meglio in Italia, nessuno aveva mai realizzato uno straccio di inchiesta per tentare di capire cos’era accaduto alla barca molfettese.
Adesso i pennivendoli nostrani si azzuffano all’ultimo sangue per vendere più copie. Calpestano i vivi e i morti, in barba non solo alla deontologia professionale ma alla pietas. E’ lo specchio dei tempi: affari e mistificazioni in una girandola vorticosa pur di instascare soldoni sonanti e successo facile. Il temerario Carnimeo ha pure scopiazzato il noto testo qua e là, pardon estrapolato. Bravo: complimenti.
Dottor Carlo Maria Capristo è lei che ha messo sul mercato il video o in ogni caso ha autorizzato la messa in onda e comunque ne sa qualcosa? Porrà termine istantaneamente allo sciacallaggio della Gazzetta? Vorrei saperlo prima di avvertire, eventualmente, il Consiglio superiore della magistratura e aprire un’autentica indagine giornalistica sul suo disincantato operato.
Non basta riaprire, si fa per dire, un procedimento giudiziario, occorre approdare seriamente ad un processo e inchiodare sul banco degli imputati gli assassini in alta uniforme, nonché i governanti complici. Fate tutti attenzione: terremo sempre gli occhi aperti. Per dirla con Einstein: “Il mondo è quel disastro che vedete, non tanto per i guai combinati dai malfattori, ma per l’inerzia dei giusti che se ne accorgono e stanno lì a guardare”.