I voti comprati a Barletta o in una qualsiasi altra città, non sono diversi da quelli comprati a Molfetta.
Dopo la conclusione del processo contro Pino Amato e l’inizio del processo contro l’assessore Michele Palmiotti per voto di scambio ed altri reati, potrebbe aprirsi a Molfetta un altro filone d’indagine sul voto di scambio.
Si accettano segnalazioni di semplici elettori "rappresentanti di lista" o “raccoglitori di voti” che sono stati pagati nello stesso modo nelle ultime consultazioni elettorali regionali. Sappiamo che ci sono e sono anche tanti.
La compravendita dei voti va quasi in diretta tv col servizio mandato in onda mercoledì scorso dalle «Iene» su “Italiauno” e la città reagisce come al solito: più silenzi che voci. Perché, mai forse come in questi casi, il silenzio è d’oro, anzi, di platino. E una parola sarà pure insufficiente ma due fin troppe.
Così quasi nessuno parla, tranne sparute eccezioni.
Dice Fabio Lattanzio, animatore dell’associazione Fraternità per il diritto alla casa: «A mio avviso – sottolinea – c’è un legame tra il servizio delle Iene del marzo scorso sulla compravendita in nero delle case a Barletta e questo ulteriore sulla compravendita dei voti alle scorse regionali. C’è un legame ben definito tra il nero nel settore nell’edilizia e la compravedita dei voti: così la città sceglie ed incorona la sua classe dirigente. Le fila vengono mosse da apparati importanti del mondo dell’edilizia, ma con ciò non intendo solo i costruttori, ma un ampio prezzo dell’affare immobiliare che si ispira a queste logiche. La politica cittadina è inquinata da una logica clientelare e servile».
«Durante la campagna elettorale – aggiunge Lattanzio – ho ricevuto più volte contatti da vari esponenti del mondo della politica cittadina, che m’invitavano a cambiare atteggiamento nei confronti dei costruttori: in cambio avrei potuto godere di sostegno economico per la mia campagna elettorale. Ho annotato tutti questi incontri, messaggi e queste telefonate: presto completerò la relazione che voglio inviare alla Procura della Repubblica ed alla Guardia di Finanza, ad integrazione della denuncia depositata lo scorso anno dopo il servizio delle “Iene”. Quella denuncia l’ho presentata ipotizzando l’evasione fiscale ma soprattutto l’estorsione. Nel video si vede fin troppo bene: si chiedono soldi in nero, in mancanza, niente casa. Sono certo che una parte di quei soldi finisce per finanziare le campagna elettorali della classe politica barlettana, per mantenere in piedi un vero e proprio sistema di potere. Ho più volte invitato con appelli pubblici gli imprenditori a denunciare, nel caso in cui fossero vittime della classe politica della città. Ho solo ricevuto dei chiari messaggi a cambiare atteggiamento, perché così avrei potuto godere del contributo economico di alcuni di essi per la mia campagna elettorale. Cosa che naturalmente non ho accettato in passato, né intendo accettare in futuro».
Compravendita di voti? «Se il gravissimo episodio registrato in tv si è verificato realmente a Barletta, ciò andrebbe, non solo a riscontrare quanto da me e dalla Stella Mele denunciato lo scorso anno, ma addirittura sarebbe rafforzativo di quella denuncia e collegabile alla stessa, visto che il venditore di voti si lamenta che nella scorsa competizione il candidato avrebbe pagato il doppio di quanto promesso e l’acquirente dei voti replica con affermazioni del tipo "questa volta è diverso"».
Così Michele Cianci, avvocato penalista: «Da quanto mi risulta – aggiunge l’avvocato – credo che l’indagine incardinata a seguito della mia denuncia sia stata robustamente riscontrata dal lavoro certosino svolto dalla Compagnia dei Carabinieri di Barletta. Pertanto, sono convinto che le forze dell’ordine avranno modo di fornire alla Procura della Repubblica tutto il materiale necessario per un approfondimento della vicenda».
E poi: «Devo però aggiungere che a Barletta non esistono solo candidati o capofila sostenitori che sfruttano l’indigenza della gente per acquistare i voti e sostenere i propri interessi nell’ambito delle pubbliche amministrazioni, ma vi sono ed è bene sottolinearlo anche candidati seri e cittadini che esprimono la propria preferenza elettorale per l’interesse ed il bene comune».
Il mondo è cambiato. L'Italia e Berlusconi se ne sono accorti solo ieri. Anche secondo il Giornale di Feltri, con buona pace degli editoriali di Sallusti, la cifra più probabile degli ascolti cumulativi di AnnoZero, in diretta streaming, radiofonica e satellitare da Bologna, è prossima a quella che usualmente sbanca lo share su RaiDue ogni giovedì sera. Chi ha pagato la trasmissione di ieri? Gli sponsor. Gli sponsor e i privati cittadini. L'abbiamo pagata noi. L'abbiamo pagata e ce la siamo guardata. Alla faccia dell'AGCOM, in barba a Mauro Masi e al CdA Rai, facendo un grosso marameo a Silvio Berlusconi, a Paolo Romani e alle loro televisioni obsolete e presto fallimentari. Questa è la vittoria della gente contro la politica degli arraffoni. Ma soprattutto è la vittoria della rete. Dove credete che si siano informati, coordinati, organizzati gli italiani per darsi appuntamento, per inviare denaro, per allestire le centinaia di piazze che hanno portato l'allegra brigata di Santoro a fare il suo sporco lavoro – ma qualcuno dovrà pur farlo – nonostante le veline diramate dal Minculpop? In rete, in rete e poi ancora in rete!
Questo dimostra che ce la possiamo fare, che possiamo scalzare questo governo del telecomando, mandare in soffitta questa cultura del tubo catodico e delle trasmissioni soporifere, ripiene di polpette avvelenate. Possiamo organizzare la televisione del futuro, interattiva, collettiva, autentica e partecipativa, scegliere chi vogliamo ascoltare, scegliere quando e come vogliamo ascoltarlo, scegliere se esserci attraverso una televisione, un monitor del pc, uno smartphone, una radio, un proiettore di piazza, un qualsiasicosa utile a metterci in collegamento con chi sta trasmettendo qualcosa di interessante.
Silvio Berlusconi è molto più sfortunato rispetto a Benito Mussolini. Nel ventennio l'unica alternativa era una trasmissione radio abusiva, Radio Londra. Oggi la comunicazione non si può più fermare: ruscella in mille rivoli, sgorgando da mille buchi diversi, e né Gasparri né Cicchitto né La Russa potranno mai tapparli tutti. Caro Presidente, il tuo impero mediatico, costruito sul principio piduistico del controllo dei mezzi di informazione, non vale più nulla. Le tue dichiarazioni demagogiche ed irrealistiche, che reggevano solo grazie ai TG minzoliniani, i tuoi "siamo in un milione", nulla possono contro le macchinette fotografiche compatte digitali, le videocamere consumer e i blog che ti sbugiardano in diretta prima ancora che ci pensino le questure.
Oggi siamo entrati definitivamente nell'era di internet. Fattene una ragione!
CHE COSA indica la decisione del Tar del Lazio che, ritenendo inapplicabile l’assai controverso decreto del Governo, ha confermato l’esclusione della lista del Pdl dalle elezioni regionali in questa regione? In primo luogo rivela l’approssimazione giuridica del Governo e dei suoi consulenti, incapaci di mettere a punto un testo in grado di superare il controllo dei giudici amministrativi. Ma proprio questa superficialità è il segno della protervia politica, che considera le regole qualcosa di manipolabile a proprio piacimento senza farsi troppi scrupoli di legalità. E, poi, vi è una sorta di effetto boomerang, che mette a nudo le contraddizioni di uno schieramento politico che, da una parte, celebra in ogni momento le virtù del federalismo e, dall’altra, appena la convenienza politica lo consiglia, non esita a buttarlo a mare, tornando alla pretesa del centro di disporre anche delle materie affidate alla competenza delle regioni.
Proprio su quest’ultima constatazione è sostanzialmente fondata la sentenza del Tar del Lazio. La materia elettorale, hanno sottolineato i giudici, è tra le competenze delle regioni e, partendo appunto da questo dato normativo, la Regione Lazio ha approvato nel 2008 una legge che ha disciplinato questa materia.Lo Stato non può ora invadere questo spazio, sostituendo con proprie norme quelle legittimamente approvate dal Consiglio regionale. Il decreto, in conclusione, non è applicabile nel Lazio. I giudici amministrativi, inoltre, hanno messo in evidenza come non sia possibile dimostrare alcune circostanze che, in base al decreto del 5 marzo, rappresentano una condizione necessaria per ritenere ammissibile la lista del Pdl. In quel decreto, infatti, si dice che il termine per la presentazione delle liste si considera rispettato quando "i delegati incaricati della presentazione delle liste, muniti della prescritta documentazione, abbiano fatto ingresso nei locali del Tribunale". Il Tar mette in evidenza due fatti. Il primo riguarda l’assenza proprio del delegato della lista che ha chiesto la riammissione. E, seconda osservazione, non è possibile provare che lo stesso delegato, presentatosi in ritardo, avesse con sé il plico contenente la documentazione richiesta.
Se il primo rilievo sottolinea l’approssimazione di chi ha scritto il decreto, il secondo svela la volontà di usare il decreto per coprire il "pasticcio" combinato dai rappresentanti del Pdl. Che non è frutto, lo sappiamo, di insipienza. È stato causato da un conflitto interno a quel partito sulla composizione della lista, trascinatosi fino all’ultimo momento, anzi oltre l’ultimo momento fissato per la presentazione della lista. È una morale politica, allora, che deve essere ancora una volta messa in evidenza. Per risolvere le difficoltà di un partito non si è esitato di fronte ad uno stravolgimento delle regole del gioco. La prepotenza ha impedito anche di avere un minimo di pazienza, visto che la riammissione da parte dei giudici dei listini di Formigoni e Polverini ha eliminato il rischio maggiore, quello di impedire in regioni come la Lombardia e il Lazio che il partito di maggioranza avesse un suo candidato. Si dirà che, una volta di più, i giudici comunisti hanno intralciato l’azione di Berlusconi e dei suoi mal assortiti consorti? È possibile. Per il momento, però, dobbiamo riconoscere che proprio i deprecati giudici hanno arrestato, sia pure provvisoriamente (si attende la decisione del Consiglio di Stato), una deriva verso la sospensione di garanzie costituzionali.
Non possiamo dimenticare, infatti, che la democrazia è anche procedura: e il decreto del governo manipola proprio le regole del momento chiave della democrazia rappresentativa. La democrazia è tale solo se è assistita da alcune precondizioni: e le sciagurate decisioni della Commissione parlamentare di vigilanza e del Consiglio d’amministrazione della Rai hanno obbligato al silenzio una parte importante dell’informazione, rendendo così precaria proprio la precondizione che, nella società della comunicazione, ha un ruolo decisivo. Non dobbiamo aver paura delle parole, e quindi dobbiamo dire che proprio la congiunzione di questi due fatti, se dovesse permanere, altererebbe a tal punto le dinamiche istituzionali, politiche e sociali da rendere giustificata una descrizione della realtà italiana di oggi come un tempo in cui garanzie costituzionali essenziali sono state sospese.
Comunque si concluda questa vicenda, il confine dell’accettabilità democratica è stato comunque varcato. Una crisi di regime era già in atto ed oggi la viviamo in pieno. Nella storia della Repubblica non era mai avvenuto che una costante della vita politica e istituzionale fosse rappresentata dall’ansiosa domanda che accompagna fin dalle sue origini gli atti di questo Governo e della sua maggioranza parlamentare: firmerà il Presidente della Repubblica? Questo vuol dire che è stata deliberatamente scelta la strada della forzatura continua e che si è deciso di agire ai margini della legalità costituzionale (un tempo, quando si diceva che una persona viveva ai margini della legalità, il giudizio era già definitivo). Questa scelta è divenuta la vera componente di una politica della prevaricazione, che Berlusconi ha fatto diventare guerriglia continua, voglia di terra bruciata, pretesa di sottomettere ogni altra istituzione. Da questa storia ben nota è nata l’ultima vicenda, dalla quale nessuno può essere sorpreso e che, lo ripeto, rivela piuttosto quanto profondo sia l’abisso nel quale stiamo precipitando,
A questo punto, la scelta di Napolitano, ispirata com’è alla tutela di "beni" costituzionali fondamentali, deve assumere anche il valore di un "fin qui, e non oltre", dunque di un presidio dei confini costituzionali che arresti la crisi di regime. Ma non mi illudo che la maggioranza, dopo aver lodato in questi giorni l’essere super partes di Giorgio Napolitano, tenga domani lo stesso atteggiamento di fronte a decisioni sgradite in materie che già sono all’ordine del giorno.
Ora i cittadini hanno preso la parola, e bene ha fatto il Presidente della Repubblica a rispondere loro direttamente. Qualcosa si è mosso nella società e tutti sappiamo che la Costituzione vive proprio grazie al sostegno e alla capacità di identificazione dei cittadini. È una novità non da poco, soprattutto dopo anni di ossessivo martellamento contro la Costituzione. Oggi la politica dell’opposizione dev’essere tutta politica "costituzionale". Dopo tante ricerche di identità inventate o costruite per escludere, sarebbe un buon segno se la comune identità costituzionale venisse assunta come la leva per cercar di uscire da una crisi che, altrimenti, davvero ci porterebbe, in modo sempre meno strisciante, a un cambiamento di regime.
Decreto salvalista (espandi | comprimi)La materia elettorale è delicatissima, è la più refrattaria agli interventi di urgenza e soprattutto non è materia di governo in carica, del primo potenziale interessato a modificarla a suo vantaggio.
Legge danneggia concorrenti (espandi | comprimi)In più qui câè un problema che ha messo in rilievo tra gli altri Zagrebelski, che il Decreto è stato fatto dal beneficiario del Decreto medesimo direte: dovâè la novità ? Effettivamente Berlusconi ha obiettivo spessissimo delle leggi ad personam, che servivano per lui, ma qui stiamo parlando non di una legge che è stata fatta semplicemente per lui, ma di una legge che danneggia tutti gli altri, chi danneggia? Danneggia i concorrenti, quelli che avrebbero avuto il diritto di correre senza la concorrenza di liste presentate fuori legge e danneggia coloro che hanno presentato le liste fuori legge che non vengono riammesse, quindi stiamo parlando non solo di una legge che favorisce lui e basta, ma di una legge che per favorire lui, danneggia tutti gli altri.
La firma di Sarajevo (espandi | comprimi)Concludo con quello che è veramente successo in quello che lui stesso, il Capo dello Stato definisce un teso incontro giovedì sera, serie tensioni istituzionali, ha scritto Il Messaggero, Marco Conti âIl Premier disse al Colle, scateno la piazza, il Cavaliere pronto a tutto, avanti anche da solo, la tua firma non è indispensabileâ a pag. 3, taglio basso, le notizie vere si nascondono, lâha scritto Luc Felese su Il Fatto âLa difesa del Quirinale e le minacce di Bâ lâha scritto Bruno Vesca, sempre molto informato su quello che o avviene nei corridoi, ha fatto un editoriale su Il Mattino di Napoli e ha detto che prima della firma del Decreto si era venuta a creare una situazione simile allo sparo di Sarajevo, quello in cui Gavrilo Princip sparò allâArciduca Francesco Ferdinando innescando, come casus belli la Prima Guerra Mondiale, 1914, Vespa che parla di spari, dice che câè stata una tempesta tra Napolitano e Berlusconi, nelle ore che hanno preceduto e seguito il colloquio di mercoledì con il Capo dello Stato, Berlusconi ha pensato di far saltare il tavolo, lâindisponibilità presentata da Napolitano a firmare il Decreto che firmasse la lista Pdl e la posizione di Formigoni in Lombardia, sarebbe stato lo sparo di Sarajevo, come lâassassinio dellâArciduca Francesco Ferdinando dâAustria e di sua moglie il 28 giugno del 1914, con il pretesto di scatenare la Prima Guerra Mondiale, così lâeventuale sacrificio dei candidati alla conquista e alla conferma delle due regioni più importanti dâItalia, sarebbe stato lâinnesco di una bomba ben più micidiale.
Ieri mattina si è tenuto il secondo dei quattro incontri organizzati dall’Amministrazione comunale su temi sensibili per la città (bando cooperative edilizie; Pip, lame e opere di mitigazione; piano strategico comunale; vincoli paesaggistici nelle nuove zone di urbanizzazione).
È stato un incontro davvero sorprendente
1. Perché la maggioranza di destra anziché fare comizi e iniziative di partito sceglie di organizzare incontri istituzionali nel pieno della campagna elettorale.
2. Perché l’Amministrazione organizza incontri riguardo il tema del rischio idrogeologico su cui da un anno e mezzo a questa parte ha sempre liquidato il tutto con battute e spallucce, irridendo l’opposizione e le associazioni ambientaliste.
3. Dopo aver appreso nei giorni scorsi della bocciatura da parte del Tribunale superiore delle acque pubbliche del ricorso del Comune che chiedeva la sospensiva della delibera dell’Autorità di Bacino, ascoltiamo l’Assessore Uva che afferma di voler avere una linea collaborativa con l’Autorità di Bacino.
4. Grazie all’intervento molto interessante e intellettualmente onesto del prof. Romanazzi abbiamo appreso ieri che il canale di mitigazione, che dovrebbe far defluire eventuali piene dalla zona Pip alla dolina Gurgo, è ancora in una fase iniziale di studio mentre a gennaio scorso l’Amministrazione comunale indiceva una conferenza stampa per “vendere” la cosa come quasi in dirittura d’arrivo e su cui c’era già un assenso informale dell’Autorità di Bacino (assenso smentito invece dall’Autorità di Bacino nel corso di un incontro pubblico tenutosi qualche settimana fa).
5. Sempre per bocca del prof. Romanazzi abbiamo appreso che è in corso uno studio di fattibilità di questo canale in cemento armato e che la dolina in questione – tra l’altro sottoposta a vincoli dal Piano Regolatore Generale – potrebbe anche non avere i requisiti necessari ovvero la capienza prevista per fungere da “vasca raccoglitrice” delle acque di un’eventuale piena.
6. Ancora, abbiamo appreso che qualora la dolina non fosse abbastanza capiente si potrebbero anche ipotizzare trivellazioni per costruire pozzi di deflusso delle acque e che si potrebbe realizzare anche un laghetto artificiale!
Ora, noi sicuramente non siamo esperti ingegneri e costruttori ma alcune considerazioni molto elementari siamo in grado di farle.
Da mesi l’Amministrazione ha negato che ci fosse un problema di rischio idrogeologico, adesso invece si affanna per trovare soluzioni tra un ricorso bocciato e l’altro, con il rischio di ulteriori stravolgimenti del territorio.
Inizialmente nei mesi scorsi si è affermato che eventuali acque di piena mai e poi mai, a causa delle pendenze, avrebebro potuto interessare la futura zona Pip e anche l’attuale, adesso invece si afferma che il canale da costruire metterà al riparo i capannoni delle presente e della futura zona artigianale (dobbiamo dare ascolto all’Ing. Altomare dei mesi scorsi fa oppure a quello ascoltato ieri?).
Per bocca dello stesso prof. Romanazzi incaricato dall’Amministrazione per il progetto dell’opera apprendiamo che potrebbero anche non esserci le condizioni per realizzarlo (o che si potrebbero addirittura praticare trivellazioni). Che altro dire…
Paradossalmente questi irrituali incontri istituzionali in piena campagna elettorale (quando invece in altri periodi Sindaco e maggioranza rifiutano chiarimenti e si sottraggono ai confronti) consentono alla cittadinanza di conoscere le giravolte e le idee strampalate dell’Amministrazione su questioni serie che attengono allo sviluppo produttivo ma soprattutto alla messa in sicurezza del territorio e alla incolumità di cose e persone.
Sono profondamente deluso dalla scelta di Antonio Di Pietro di appoggiare De Luca in Campania allineandosi alle posizioni del PD e della scelta effettuata nelle Marche di aderire ad una coalizione con l’UDC, con un partito cioè che è presente in parlamento solo per i voti assicurati da Cuffaro, condannato già in secondo grado per i suoi rapporti con la mafia.
Avevo creduto nelle assicurazioni che mi erano sta fatte a Vasto da Di Pietro di volere rinnovare e ripulire il suo partito per farlo diventare il partito della Società Civile, il partito dei giovani dagli ideali puri, il partito di chi ha come ideali la Verità e la Giustizia, il partito della gente onesta, un partito fatto solo di persone degne di sollevare in alto la nostra Agenda Rossa.
Mi sono sbagliato, sono stato ingannato, sono vicino a Gioacchino Genchi che ha annullato tutti i suoi incontri in programma con esponenti e candidati dell’IDV, concordo con le parole di Sonia Alfano che ha definito quello fatto da Di Pietro al congresso IDV un tradimento morale, non ci si può alleare con l’UDC di Cuffaro nelle Marche e soggiacere alle scelte del PD appoggiando un pluriindagato in Campania, non si può per opportunità od opportunismi politici rinunciare alla questione morale. Non si può, soprattutto per il particolare momento in cui è stata fatta questa scelta, lasciare intendere di essere in qualche maniera ricattabile.
Sono profondamente deluso e mi confermo ancora di più nella decisione, che peraltro avevo già preso, di separare nettamente l’immagine del Movimento delle Agende Rosse da quella dell’IDV.
A Vasto avevo ad alta voce richiesto di far diventare l’IDV il partito della gente onesta, di chi ricerca, come noi la Verità e la Giustizia. Ritengo che la base di quel partito abbia gli stessi nostri ideali e le stesse nostre aspirazioni, ma le assicurazioni che mi sono state fatte in quell’occasione ed alle quali avevo dato credito senza però firmare alcuna cambiale in bianco, sono state disattese.
Di Pietro non ha saputo rinunciare ai voti clientelari, non ha capito che perdendo qualche migliaio di voti buoni per ogni stagione e per ogni bandiera avrebbe guadagnato molti più voti di giovani che per la Verità e per la Giustizia saranno sempre pronti a combattere. Continuerò a sostenere persone come Benny Calasanzio, Giulio Cavalli, Emiliano Morrone, Sonia Alfano, Luigi De Magistris, tutte quelle persone che, continuo a credere, potrebbero fare diventare l’IDV quello che non ha avuto il coraggio di diventare. Invece dei passi avanti che mi attendevo, sono stati fatti dei passi indietro e non accetterò più che le bandiere dell’IDV si mescolino al simbolo delle Agende Rosse. Se IDV ha dimostrato di essere un partito come gli altri non c’è nessuna ragione perchè venga da noi considerato in maniera diversa dagli altri.
Cinque anni fa, durante la campagna elettorale per le primarie, introducendo Vendola in un incontro pubblico a Molfetta, e prendendo in prestito "la grammatica della fantasia" di G. Rodari, paragonai la caduta di Nichi, nel nostro microcosmo politico, ad un " sasso nello stagno".
Uno straordinario evento che rompeva la monotonia, la pigrizia, il piattume e la routine del nostro sonnecchiante mondo politico. Quella novità, cascata con forza nella palude della politica, aveva costretto tutti a reagire ad una vera e propria provocazione. Quella caduta agì in profondità nelle coscienze. Man mano che cadeva suscitava altre sensazioni e, quando toccava il fondo della palude, sconvolgeva anche la fanghiglia e la sabbia ormai putrefatta restituendo oggetti dimenticati e sepolti. Innumerevoli eventi sono stati registrati in tempi brevissimi che anche a volerli contare, non si potrebbe elencarli tutti senza omissioni.
Ancora oggi subiamo gli effetti di quella caduta. In questi anni abbiamo subìto altre cadute di “sassi”, ma si è trattato più che altro di macigni nefasti, vedi la vittoria di Lillino Di Gioia alle primarie farsa, in cui furono assoldate truppe cammellate di ogni sorta. Qualcuno potrebbe obiettare che non si può paragonare Nichi Vendola a Lillino di Gioia, non v’è dubbio, non esiste alcuna possibilità di paragone personale, politico e culturale, entrambi però sono caduti nel nostro stagno, provocando reazioni contrarie, riflessioni, dibattiti, abbandoni, dimissioni, scissioni, commissariamenti di partito; ma soprattutto hanno portato una nuova consapevolezza d’identità culturali e politiche che sembravano fino ad oggi disperse negli ingranaggi della farraginosa macchina politica.
Dal 2005 ad oggi, quegli eventi continuano a sconvolgere lo stagno politico molfettese ormai privo di quiete. Con queste primarie lampo e con la candidatura di Nichi Vendola, solo con(tro)tutti, le coscienze sono state risvegliate bruscamente con la voglia di realizzare i loro sogni, rimasti nei cassetti, insieme a qualche utopia.
Nikita il rosso ha stravinto sfidando il padre padrone del Partito Democratico D’Alema e, salutando il popolo della “Fabbrica”, aveva scandito bene il suo obiettivo politico senza peli sulla lingua: " E’ la destra che voglio combattere… e non solo quella di Berlusconi, ma anche la destra che è nella sinistra".
I riferimenti erano espliciti e la destra della sinistra è quella dei “signori degli inciuci”, quella parte politica che dal “compromesso storico” PCI-DC, passando dalla fusione della MARGHERITA con i DS, oggi cerca il partito di Casini perché è convinto che il cambiamento di questo paese, e la sconfitta del Berlusconismo, possa passare dai tavoli di concertazione, dalle formule numeriche delle alleanze, dai compromessi sulle leggi “ad personam” che salvano anche la feccia politica di sinistra e i vari “furbetti del quartierino”.
Domenica 24 gennaio 2010 ha vinto la democrazia, la cittadinanza attiva, la partecipazione dal basso, la difesa del bene comune, la voglia di cambiamento e, perché no, un pizzico di follia. Nichi ha sconfitto l’idea ragionieristica della politica che da oltre 30 anni ha distrutto la “sinistra” storica.
E’ giunto il momento di mandare a casa i professionisti e i ragionieri della politica che troppo spesso hanno trasformato i partiti in agenzie di collocamento, affollate da creditori impazienti di riscattare piccole e grandi poltrone, convinti di detenere in modo permanente il monopolio legittimo della rappresentanza. I partiti non possono più pretendere il monopolio della rappresentanza politica, ma devono accettare la sfida della competizione e del confronto con la cittadinanza.
Se la difesa del bene comune è uno dei punti cardine del programma del candidato Governatore, il Liberatorio Politico chiede a Nichi Vendola di confrontarsi con i partiti, movimenti, associazioni e comitati che negli ultimi anni, a Molfetta, hanno lavorato su varie emergenze ambientali (la centrale elettrica Powerflor, il dissesto idrogeologico, la nave dei veleni Alessandro I, alga tossica e residuati bellici, il piano delle coste, l’inquinamento atmosferico, ecc) elaborando con loro un programma di governo che preveda la salvaguardia del territorio per evitare che venga ulteriormente saccheggiato e avvelenato.