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Ecco tutti gli affari sospetti di Verdini e dei fratelli Dell’Utri


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La P3 non era soltanto una loggia che "condizionava le istituzioni" ma anche "una centrale d'affari". Il ruolo di Bankitalia sulle segnalazioni delle operazioni anomale. Tra i finanziamenti poco chiari anche bonifici a un casinò di Las Vegas di FABIO TONACCI, FRANCESCO VIVIANO e CORRADO ZUNINO

ROMA – Seguire i soldi. Come suggeriva Giovanni Falcone. Ripercorrere a ritroso il fiume di denaro che transita nelle mani dei manovratori, per poi dipanarsi in mille torrenti, in Italia e all'estero. Solo così si riesce a ricomporre la ragnatela di affari della P3. Interessi che partono da società editoriali a Firenze, sbarcano in Sardegna per l'eolico, si allungano a sorpresa fino a un casinò di Las Vegas. 

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I conti bancari dei ventiquattro indagati – con particolare attenzione per quelli del deputato Denis Verdini e del senatore Marcello Dell'Utri, per la Procura i veri punti di riferimento dell'associazione segreta – sono stati scoperchiati e scandagliati. Sul tavolo dei pm romani Capaldo e Sabelli sono arrivate, negli ultimi mesi, decine di segnalazioni di "operazioni sospette" da parte dell'Unità di informazione finanziaria della Banca d'Italia. Carte che hanno allargato gli orizzonti d'azione dei magistrati.

La P3 non era soltanto una loggia che "condizionava le istituzioni", ma anche "una centrale d'affari" che gestiva passaggi oscuri di denaro. Bonifici milionari non giustificati, come i nove milioni e mezzo girati da Silvio Berlusconi a Dell'Utri. Operazioni immobiliari sospette. Assegni a cifra tonda senza l'intestatario. Tutto è nelle 66 mila pagine depositate l'8 agosto per la chiusura delle indagini.

I FRATELLI DELL'UTRI
Marcello Dell'Utri deve ancora spiegare perché il premier, beneficiario ultimo di molte operazioni della P3, gli abbia fatto a titolo di "prestito infruttifero" tre bonifici (il primo il 22 maggio del 2008, gli altri due tra febbraio e marzo di quest'anno) per un totale di nove milioni e mezzo di euro. Ma non è l'unico nodo che il senatore del Pdl dovrà sciogliere. 

Ci sono i due assegni da 50 mila euro pagati il 5 e l'8 gennaio 2010 da Antonella Pau, la compagna del faccendiere sardo Flavio Carboni, anche lei indagata. Per la Procura sarebbero una mazzetta per oliare l'ingresso di due imprenditori di Forlì nell'affare dell'eolico in Sardegna. 

E vengono segnalate nove cambiali per un totale di 55.454 euro che il 29 marzo del 2010 Dell'Utri ha ricevuto senza giustificazione apparente dalla cagliaritana Publiepolis Spa, una società che si occupa della raccolta di pubblicità per il network Epolis. 

Nelle carte depositate dai pm spunta anche un finanziamento tutto da chiarire per un casinò di Las Vegas da parte di Dell'Utri. Non Marcello, ma Alberto. Il fratello del senatore, che non è indagato nell'inchiesta P3. I tecnici della Banca d'Italia hanno deciso di segnalare ai magistrati un passaggio di 500 mila euro da Alberto a Marcello datato 7 aprile 2006. 

Poi hanno indicato "tre operazioni sospette, partite dalla Banca Popolare di Milano che non trovano riscontro nelle causali dei trasferimenti". Sempre a nome Alberto Dell'Utri. Sono due bonifici a vantaggio del Wynn Las Vegas Resort, un hotel extra lusso con casinò, a Las Vegas. 

Il primo è datato 17 settembre 2007 per un valore di 246 mila euro. Il secondo, da 232 mila euro, è del 18 novembre. Entrambi sono giustificati con un inverosimile "saldo soggiorno". Il fratello del senatore ha anche aperto un conto sulla Bank of America di Las Vegas, sul quale il primo febbraio del 2008 ha depositato 150 mila euro. 

VERDINI E PARISI
Denis Verdini finisce nelle informative della Banca d'Italia per i bonifici da 8,3 milioni di euro arrivati dal re delle cliniche e senatore Antonio Angelucci a estinguere il mutuo per l'acquisto di Villa Gucci a Firenze. Ancora, per la presunta mazzetta da 800 mila euro ricevuta per l'eolico dagli imprenditori forlivesi. Nelle 66 mila carte depositate compaiono, poi, tre segnalazioni dell'Uif riferite ad altrettanti prestiti erogati dal Credito cooperativo fiorentino, cioè la banca di cui Verdini è stato presidente: servivano per finanziare preliminari d'acquisto di appartamenti. 

"Sono operazioni – scrivono i tecnici della Banca d'Italia – messe in piedi solo per creare le condizioni per erogare da parte della banca finanziamenti a favore di soggetti che poi trasferiscono tutto a società del Gruppo Fusi-Bartolomei".

Ruota attorno a uno di questi contratti preliminari di vendita fasulli la posizione di Massimo Parisi, coordinatore del Pdl in Toscana, indagato nell'inchiesta P3 per finanziamento illecito ai partiti. I sospetti dell'Uif partono da un bonifico da 595 mila euro fatto da Parisi sul conto di Denis Verdini e di sua moglie Maria Simonetta Fossombroni con causale "restituzione anticipazioni". 

Dietro a questa somma si ricostruisce una complessa operazione di cessione di un contratto preliminare di vendita, sottoscritto l'8 settembre 2004. Con questo contratto la Società Toscana di Edizioni, editrice del Giornale della Toscana, si impegnava ad acquistare da Denis Verdini e Massimo Parisi il 70 per cento delle quote della Nuova Toscana Editrice, per un importo pari a 2,6 milioni di euro. 

"Il contratto però non verrà mai perfezionato. Soltanto nel 2009 risulterebbe ceduto dalla Società Toscana Edizioni al signor Giuseppe Tomassetti, conosciuto come un imprenditore collaboratore di Flavio Carboni, per un importo di appena 300 mila euro, registrando così una perdita di 2,3 milioni di euro". Dove sono finiti quei soldi?

L'AZIENDA P3
Era una holding industriale criminale, quindi, l'organizzazione messa su da Flavio Carboni. Aveva separato le due branche: affari e industria da una parte, rapporti con le istituzioni e la magistratura dall'altra, affidata questa ai "due pensionati" Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino (illustrati in altre zone del poderoso dossier investigativo). 

Sul fronte "ramo industria" il maggiore del nucleo speciale di polizia valutaria, Andrea Salpietro, ha individuato le aree di business del gruppo di potere e segnalato come la banda avesse radicato la sua forza nel business emergente: l'energia eolica. Parchi eolici da creare nella provincia di Carbonia-Iglesias, decine di pale progettate sulle coste. In parallelo il cartello segreto portava avanti una politica di acquisizione di discariche da bonificare, alcune addirittura tra i siti di interesse nazionale (in condizione di grave crisi, quindi). Ecco la Calancoi di Sassari, le Saline di Cagliari e quelle dei Conti-Vecchi.

 Il senatore Marcello Dell'Utri e il deputato Denis Verdini, asseriscono gli investigatori, "sono direttamente cointeressati negli affari dell'organizzazione di cui ne rappresentano il punto di riferimento. Sono altresì attori di interferenze a livello politico per le quali hanno ottenuto dall'organizzazione somme di denaro e contributi illeciti per il partito cui appartengono". 

Il "gruppo Carboni" usa la sua forza con protervia intimidatoria: affianca società che già lavorano nel campo delle energie alternative offrendo loro di realizzare l'intero investimento per garantire al suo sodalizio illegale la metà degli utili. Senza il minimo rischio. Inoltre, il "gruppo Carboni" si scopre attivo in operazioni immobiliari a Porto Rotondo e nell'hinterland di Cagliari, nella compravendita (e il riciclaggio) di opere d'arte. In un appunto sequestrato al grande collettore Carboni si legge, "per piazzare lo stock del maestro Alberto Burri bisogna attendere alcuni mesi". 
 

Bnl-Unipol, Fazio e Consorte condannati . Per Caltagirone tre anni di carcere

di WALTER GALBIATIwww.repubblica.it
MILANO – Il tribunale di Milano (prima sezione) ha condannato l'ex governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, a 3 anni e 6 mesi nell'ambito del processo sulla mancata scalata a Bnl da parte di Unipol. Per l'ex numero uno di Unipol, Giovanni Consorte, la condanna è di tre anni e dieci mesi, mentre Carlo Cimbri, attuale amministratore delegato della compagnia assicurativa, e l'ex numero due Ivano Sacchetti hanno rimediato tre anni e sette mesi. Accolta per Fazio la pena che avevano chiesto i pm Luigi Orsi e Gaetano Ruta, mentre per Consorte avevano chiesto 4 anni e sette mesi. Tra i big condannati figura anche l'immobiliarista ed editore, Francesco Gaetano Caltagirone, oggi al vertice del Monte dei Paschi di Siena , che ha riportato una condanna di tre anni e sei mesi, mentre Francesco Frasca, ex capo della vigilanza di Bankitalia è stato assolto. 

Condannati anche a tre anni e sei mesi di reclusione e a 900 mila euro di multa ciascuno gli immobiliaristi Danilo CoppolaStefano Ricucci e Giuseppe Statuto, il finanziere Emilio Gnutti (il pm aveva chiesto l'assoluzione), i fratelli Ettore e Tiberio Lonati, il banchiere Guido Leoni (presidente della Bper), Vito Bonsignore, l'europarlamentare dell'Udc e vicepresidente del gruppo Ppe. Tutti i condannati sono interdetti dai pubblici uffici per cinque anni, "nonché interdetti dalla professione, dagli uffici 
direttivi delle persone giuridiche e delle imprese e incapaci di contrattare con la pubblica amministrazione" per due anni. Per Unipol i giudici di Milano hanno disposto una multa di 720 mila euro, mentre a Consorte, Sacchetti, Cimbri, Bonsignore, Caltagirone, Coppola, Ricucci, Lonati, Statuto e Fazio hanno imposto una provvisionale di 15 milioni di euro. Assolti, invece, Giovanni Berneschi, Filippo De Nicolais, Rafael Gil Alberdi, Giulio Grazioli, Divo Gronchi, Pierluigi Stefanini, Alberto Zonin. 

I reati contestati vanno dall'aggiotaggio informativo all'insider trading, all'ostacolo alle funzioni di vigilanza. Il parterre degli altri imputati è formato dai membri del cosiddetto «contropatto», quello che all'epoca dei fatti deteneva il 27% delle azioni della Bnl. "Di vicende così gravi, in giro per il mondo ce ne sono poche, perché si è trattato di una manipolazione di tipo sistemico. A mettere in piedi una cordata italiana raccogliticcia fu il Governatore di Bankitalia. E la Banca d'Italia di Fazio non era un organismo di vigilanza ma uno dei giocatori in campo", hanno detto nella requisitoria i pubblici ministeri. Fazio avrebbe agito da "direttore d'orchestra", "il motore immobile" della tentata scalata alla Bnl, "il vigilatore che invece di vigilare promuove il reato". Nella ricostruzione dei pm, i banchieri degli istituti popolari coinvolti sono "la guardia pretoriana del governatore", mentre i contropattisti "si muovono nella più assoluta coesione, tutti alle spalle e sulla scia di Caltagirone", che è colui "che decide". 

Sentenza

Escort, gli atti in procura a Bari l'inchiesta al vice di Laudati

Sarà Pasquale Drago a occuparsi del caso. I pm baresi dovranno formalizzare le accuse al premier, che sarà iscritto nel registro degli indagati. Tensione in procura, giornalisti allontanati dai carabinieri

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Il procuratore generale presso la Corte d'appello di Bari, Antonio Pizzi, ha assegnato al procuratore vicario del tribunale del capoluogo pugliese, Pasquale Drago, gli atti dell'indagine sui soldi che Gianpaolo Tarantini ha ricevuto dal premier Silvio Berlusconi tramite il faccendiere Valter Lavitola. Le carte dell'indagine sono arrivate in mattinata a Bari, dalla procura di Roma. La decisione sull'assegnazione del fascicolo è arrivata dopo la lettera con cui il procuratore capo Laudati, indagato a Lecce, si è fatto da parte. Drago ha deciso che coordinerà personalmente l'indagine senza delegarla a un sostituto del suo ufficio. Il magistrato ha ribadito che non intende fornire alcun'altra indicazione sul contenuto del fascicolo sul caso Berlusconi-Lavitola.

Berlusconi sarà indagato – I pm baresi devono formalizzare nei confronti del Presidente del Consigliol'accusa di induzione al silenzio e alla falsa testimonianzadi Gianpaolo Tarantini (reato comune, punito con la reclusione da due a sei anni). E, contestualmente, e per lo stesso reato, a rinnovare al gip la richiesta di custodia cautelare disposta dal tribunale del Riesame di Napoli il 26 settembre nei confronti del latitante Valter Lavitola. 

I giornalisti 
allontanati – Tensione nel palazzo di giustizia in mattinata, dove il terzo e quarto piano – gli uffici dei pm – sono stati vietati ai giornalisti, allontanati dai carabinieri. Dura la protesta dell'Ordine dei giornalisti che in una nota esprime "preoccupazione e disappunto", auspicando che la procura "riveda questa decisione consentendo ai giornalisti, nel rispetto reciproco dei ruoli, di svolgere il loro lavoro garantendo ai cittadini una informazione corretta e completa su una vicenda che, per la rilevanza delle persone coinvolte, è certamente di grande interesse pubblico".

La precisazione di Drago – "Il terzo e quarto piano della Procura di Bari – dove si trovano gli uffici dei sostituti, degli aggiunti e del procuratore – sono rimasti solo per qualche ora interdetti ai giornalisti per garantire il normale svolgimento dell'attività giudiziaria che non riguarda solo le inchieste Tarantini", scrive lo stesso Drago in una nota. "Non vi è stata quindi nessuna intenzione da parte di quest'ufficio (né vi sarà in seguito) di non garantire il sacrosanto diritto di cronaca allontanando i giornalisti, i quali non fanno altro che il proprio lavoro in condizioni logistiche che penalizzano tutti gli operatori della Giustizia". "La decisione di interdire l'accesso – aggiunge Drago – dopo aver constatato l'impossibilità di gestire il flusso di decine e decine di giornalisti, è stata, di conseguenza resa necessaria dall'esigenza di assicurare l'ordinato lavoro di tutti i magistrati inquirenti a fronte di una situazione eccezionale e, si spera, irripetibile". 

Avvocati, medici, politici e dirigenti ecco i nomi baresi della rete di Gianpi

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LA RETE pugliese di Gianpi costruita attraverso favori e amicizie può contare su almeno cinquanta collaboratori. Imprenditori, dirigenti sanitari, politici, avvocati, professori, medici. Tutti compiacenti. Accettano i regali di Tarantini, manipolano le delibere, assegnano gli appalti. E a loro volta presentano a Gianpi altri amici. Ai magistrati della Procura di Bari Tarantini fa l'elenco dei suoi contatti. È il 6 novembre del 2009. L'imprenditore barese decide di vuotare il sacco e di confessare tutto. L'interrogatorio si svolge negli uffici della tenenza della guardia di finanza di Ariano Irpino. Lontano dai riflettori. Dalle 18.33 alle 01.56. Quasi otto ore. I pm Giuseppe Scelsi, Eugenia Pontassuglia e Ciro Angelillis ascoltano Gianpi che da accusato diventa accusatore.

AUTO E CHAMPAGNE: I PRIMI REGALI
Tarantini comincia a raccontare la sua storia imprenditoriale. Una carriera iniziata nel 2000 quando eredita dal padre, morto nel 1999, la Tecno Hospital. "Decisi di aumentare il volume d'affari nel settore dell'ortopedia attraverso la Permedica di Merate nel 200, 2001 iniziando a collaborare con il dottor Canfora, primario a Barletta con il quale avevo un rapporto di amicizia. Iniziai a fargli i regali: nel 2003 una Audi TT (che intestai ad una società che avevo creato), magnum di champagne, inviti a congressi". Così iniziano i primi affari sulle protesi. "La fattura veniva liquidata nella consapevolezza che c'era qualcosa che non andava e io provvedevo a fare regali per tenere buoni i funzionari delle diverse amministrazioni con cui avevo contatti regalando buoni benzina, raccomandazioni, telefonini".

I CONTATTI CON IL FIGLIO DI TEDESCO
Gianpi entra in affari con il figlio dell'assessore Alberto Tedesco. "Con Permedica feci un contratto con Giuseppe Tedesco, socio dell'American Surgery, attraverso la Tecno Hospital dando a lui la distribuzione per Salento, per l'ospedale Di Venere e Policlinico di Bari, in particolare la clinica del prof. Patella. Successivamente litigai con Giuseppe Tedesco perché i pagamenti non avvenivano nei tempi con lui concordati".

I FAVORI ALL'AMICO TATO
"Nel 2002 avevo costituito la GSH srl per partecipare ad alcune gare in maniera tale da fare apparire due aziende diverse; all'epoca il mio amico Tato Greco, in cambio di un mio interessamento legato alla sua nomina a consigliere regionale di Forza Italia (impegno che poi non c'è stato), mi chiese di far lavorare la sua fidanzata Annarita De Carne che divenne socia alla stessa percentuale mia e di mio fratello nella predetta società".

GLI AFFARI CON L'AVVOCATO TOTO'
"Nel 2005 costituì la System Medical sr. con mia cugina Alessia Acquaviva e Totò Castellaneta; era l'anno in cui fu eletto Vendola. Castellaneta lo avevo conosciuto perché ero amico di Roberto De Santis; questi mi chiese di aiutarlo mettendolo in società; De Santis mi disse che in cambio mi avrebbe dato una mano rilevante con i politici del centrosinistra in ragione della circostanza che era uno dei più stretti collaboratori dell'onorevole D'Alema. Nominammo amministratore Michele Sica, collega di Totò Castellaneta. Il fatturato non fui rilevante tanto che entrai in contrasto con Castellaneta. Non ebbi favori da De Santis per la società; vincemmo una gara al Policlinico ma solo per merito mio".

LE AMICIZIE CON I PRIMARI 
"In quel periodo Ciappetta era stato appena nominato direttore della Neurochirurgia di Bari; lo invitai subito a fare un viaggio all'estero a mie spese pagandogli viaggio e albergo. (…). Il prof. Pagliarulo, primario in Urologia, mi avvantaggiò solo per via del rapporto personale avuto con mio padre". 

I BUONI BENZINA AI DIPENDENTI ASL
"Nel 2007-2008 ebbi qualche piccola aggiudicazione con la Asl Bari con trattative private fatte sfruttando l'amicizia che avevo con il dott. Colella, già direttore amministrativo dell'ospedale San Paolo e poi capo area gestione patrimonio Asl Bari. Colella poi mi presentò Michele Vaira e Giovanni Tursi, entrambi dipendenti Asl, i quali mi agevolavano nella gestione delle trattative private (…). Al Vaira fornivo buoni benzina; al Tursi feci il favore di assumere il figlio presso l'edicola gestita da mia madre presso la stazione ferroviaria di Bari".

GLI OROLOGI DI GIANPI
Tarantini è in difficoltà economiche perché, da quando ha nominato l'amico Massimo Verdoscia amministratore di una delle sue società, attinge dalle casse aziendali soldi per esigenze personali. Così chiede aiuto al commercialista barese Fabrizio Pulpo. "Il dottor Pulpo mi ha aiutato economicamente sia prestandomi soldi (da me restituitigli attraverso emissioni di fattura) che acquistando nel luglio di quest'anno, miei orologi di valore che poi lui ha a sua volta venduto a Riccardo Rolli, attuale segretario della Fiera del Levante".

LE FESTE IN SARDEGNA CON MANNARINI
"Dal febbraio/marzo 2008 iniziai a pagare Mannarini 1500/2000 euro al mese in quanto mi faceva da autista; dal giugno 2008, in occasione dell'affitto della villa in Sardegna, iniziò ad occuparsi della custodia della villa, della guida del gommone e dell'organizzazione delle feste. Negli ultimi anni complessivamente ho svuotato la Tecnohospital per un importo di 4 o 5 milioni di euro. In quegli anni ho condotto una vita esagerata spendendo molti soldi". 

LA COLLABORAZIONE CON INTINI
"Nel 2008, cedute le quote Tecnohospital, iniziavo una collaborazione informale con Intini, presidente e amministratore della Sma di Noci, e costituivo la GC Consulting con mio fratello Claudio. All'epoca stavamo lavorando bene su Finmeccanica".

IL TENTATIVO SU FINMECCANICA E I RAPPORTI CON BERTOLASO
"I contatti con Finmeccanica li avevo avviati io a seguito di un incontro che io e Intini avevamo avuto con Bertolaso. A Bertolaso arrivammo perché fui presentato a lui dal Presidente Berlusconi durante una cena; successivamente presi un appuntamento con lo stesso per il tramite di Berlusconi. Avendo conosciuto Berlusconi e non avendogli mai chiesto niente fino a ottobre/novembre 2008, nella consapevolezza di poter trarre vantaggio da questo rapporto che diveniva sempre più confidenziale, conoscendo Intini come grossa azienda, pensai  –  per l'amicizia che avevo con quest'ultimo e in considerazione dell'importanza della sua società  –  di rivolgermi a lui per il tramite dell'avvocato Castellaneta, proponendogli di chiedere qualcosa al Presidente; Intini mi rappresentò il desiderio di entrare in rapporto con la Protezione Civile. Bertolaso ci disse che Finmeccanica aveva costituito una società mista con la Protezione Civile e ci invitò ad andare da Finmeccanica. Fui io attraverso Rino Metrangolo, persona che avevo conosciuto attraverso Lea Cosentino, e che è un dirigente di Finmeccanica, a prendere contatti con Lunanuova, dirigente della società mista; preciso che fu Metrangolo a presentarmi quest'ultimo dicendogli chi ero e parlandogli, almeno così mi disse, dei miei rapporti con Berlusconi. Mi dissero che avremmo potuto partecipare all'interno di un'Ati nella quale avrebbe potuto trovare posto la Sma di Intini. Iniziammo a vedere lavori, progetti ecc; non si concretizzò nulla perché, sebbene il terremoto a L'Aquila avrebbe consentito di realizzare opere stradali attraverso la Sma di Intini, la notizia pubblica della perquisizione da me subita determinò una presa di distanza da parte di Metrangolo e Lunanuova".

IL BUSINESS DELLE RINNOVABILI E GLI IMPRENDITORI BARESI
Tarantini è un fiume in piena e parla ai magistrati di tutti i suoi progetti, anche quelli mai andati in porto. E a questo proposito spunta anche il nome dell'ex presidente della Fiera del Levante e candidato sindaco di centro-destra Luigi Lobuono. "Tra le altre società a me riconducibili vi è Adrimare, società costituita nel 2007 con Luigi Lobuono, Vito Ladisa e Francesco Ritella; questa società costituita per creare energia da fonti rinnovabili (eolico) ma non fu mai attivata alla camera di commercio".

LE ESCORT INVIATE AL DIRIGENTE ASL
"Riguardo ai favori fatti a Colella riferisco di avergli portato da De Nicolò, pagando due o tre incontri con la stessa per l'importo di 500 euro a prestazione. Il Colella mi aveva chiesto di dare mensilmente 2000 euro al figlio; glielo promisi ma, a seguito delle rimostranze di mio fratello, la dazione si concretizzò in una sola occasione. Colella mi chiede di chiedere alla Cosentino di affidare delle consulenze legali della Asl al figlio; quest'ultimo è avvocato, credo amministrativista. Non ho mai dato soldi a Colella, forse gli ho pagato un weekend a Roma; a Natale 2008 credo di avergli regalato una magnum di champagne ed una cassa di olio. Il suo obiettivo era quello di sistemare il figlio. Da quando è arrivato Colella, la maggior parte delle gare della Asl erano pilotate da me".

LA CONOSCENZA CON L'IMPRENDITORE DALEMIANO ROBERTO DE SANTIS
"Con riferimento ai miei rapporti con Roberto De Santis riferisco di averlo conosciuto nel 2003 perché aveva una relazione con Barbara Barattolo, mia cara amica; con lui avviai un rapporto di amicizia che proseguì anche dopo che i due si lasciarono. Nel 2005-2006 De Santis mi presentò Frisullo e Cosentino, persone con cui strinsi subito amicizia; la Cosentino mi fu presentata in via Piccinni nel bar di fronte alla salumeria "Il Salumaio". Con De Santis parlammo di tante iniziative da fare nel mondo della sanità ma non se ne è mai concretizzata alcuna. A maggio 2009, dopo la perquisizione, chiesi a De Santis durante una cena alla Pignata di informarsi per capire che tipo di indagine si stava svolgendo sul mio conto; feci questa richiesta immaginando per via delle sue conoscenze con persone di sinistra che avrebbe potuto farlo; notai un atteggiamento distaccato di De Santis; questi, tuttavia, mi assicurò che mi avrebbe fatto sapere contattando, in mia assenza, mio fratello. Claudio mi disse però che non aveva risposto ad una sua telefonata".

LE VACANZE PAGATE A SAINT TROPEZ
"Per ricompensarlo (De Santis) delle conoscenze che mi aveva fatto fare gli pagai una vacanza in barca a Saint Tropez nel luglio 2008 pagando l'intero viaggio a lui, a Castellaneta, Francesco Nettis (titolare di una ditta che eroga gas) e delle ragazze loro amiche; gli ho inoltre regalato 2 o 3 orologi costosi del valore complessivo di circa 60mila euro comprati da Verdoscia che li aveva acquistati a particolari condizioni in una gioielleria di via Andrea da Bari".

LE AMICIZIE DEL PD
"De Santis mi presentò anche Michele Mazzarano, vice coordinatore regionale Pd, Mario Loizzo, assessore ai trasporti, una volta mi inviò dal ministro Livia Turco, ministro Sanità nel governo Prodi, per un progetto sulla tracciabilità delle sacche di sangue".

LA PARTITA DI BURRACO CON D'ALEMA
"Ho conosciuto tramite De Santis, l'on. D'Alema; l'incontro avvenne a Ponza nell'estate 2007; io De Santis e Giuseppe Fortunato, all'epoca capo della segreteria di D'Alema, fummo invitati con le nostre mogli a fare una vacanza sulla barca di Francesco Maldarizzi; prima di imbarcarci avevamo saputo che a Ponza c'era D'Alema con un'altra barca. Ci imbarcammo a Gaeta sulla barca di Maldarizzi e raggiungemmo D'Alema a Ponza; la sera andammo a cena a ristorante con D'Alema, la moglie i figli e altre coppie amiche loro. Ricordo che in quell'occasione parlai con D'Alema e facemmo un burraco insieme". 

LA CENA ALLA PIGNATA
"Ho rivisto D'Alema in più occasioni durante la campagna elettorale 2008 a casa di Maldarizzi e in occasione della famosa cena alla Pignata. Pagai quella cena su richiesta di Mazzarano e De Santis; lo feci senza ricevere nulla in cambio, in compenso invitammo sia io che Mazzarano quasi tutti i direttori generali delle cliniche baresi, ritenni comunque che la cosa avrebbe potuto avvantaggiarmi in quanto mi avrebbero visto con D'Alema".

LA CAMPAGNA ELETTORALE
"Mazzarano mi chiese di finanziare il Pd durante la campagna elettorale del 2008; gli dissi che ne avrei parlato con De Santis; quest'ultimo mi disse di finanziare dando buoni benzina, per un valore di 1500 euro a Gianni Sicolo, collaboratore del De Santis che svolge per lui anche mansioni di autista".

LA PROPOSTA DI MURDOCH
"Dopo che era esploso lo scandalo D'Addario, ero stato contattato anche da Murdoch che mi aveva proposto un contratto miliardario che avevo rifiutato".

IL LITIGIO CON PATRIZIA
Tarantini presenta la escort barese D'Addario a Berlusconi. Con lei il premier passa una notta. Sono le rivelazioni di Patrizia a far partire le indagini sul giro di prostituzione a Palazzo Grazioli. Così Gianpi e Patrizia litigano. "La D'Addario mi ha rovinato la vita; ha distrutto il mio rapporto con il presidente Berlusconi; mi ha distrutto economicamente".

LE PAPI GIRL
L'affannosa ricerca di donne da portare a Berlusconi porta Gianpi a spese pazze. "Complessivamente avrò speso circa 50mila euro tra pagamenti di viaggi, soggiorni e gettoni alla ragazze; per me il solo fatto di aver conosciuto Berlusconi mi entusiasmava; inoltre quei soldi ritenevo di poterli recuperare nella prospettiva di avviare rapporti con la Protezione Civile e Finmeccanica".

LA GARA PER LE PULIZIE
"Le telefonate ricevute da Mazzarano nelle quali lo stesso mi convocava alla sede del partito erano finalizzate a farmi richiedere a tale Michele D'Alba, titolare della cooerativa Tre Fiammelle di Foggia (pulizie e lavanderia industriale) un finanziamento per il Pd, Mazzarano mi disse che alla Asl Taranto stava per far vincere a D'Alba una gara facendomi intendere che se lui voleva che la delibera fosse firmata avrebbe dovuto pagare circa 10mila euro. D'Alba mi ha confermato di aver pagato e di aver vinto la gara".

AL MATRIMONIO CON FITTO
"I contatti con Fitto li volevo intensificare per avere in Puglia un referente del Pdl. Abbiamo stretto amicizia al matrimonio dell'onorevole Savino".

Le telefonate tra il premier e Tarantini. "Tutte le ragazze sull'aereo presidenziale"

bari.repubblica.it

BARI – Oltre 3500 fogli. Informative del nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza, trascrizioni integrali di una parte (quella ritenuta penalmente rilevante dal procuratore di Bari, Antonio Laudati e dai sostituti Eugenia Pontassuglia e Ciro Angelillis) delle centomila telefonate e conversazioni di Gianpaolo Tarantini intercettate in due anni di indagine. Gli atti istruttori dell’inchiesta cosiddetta delle escort – pubblicati suRepubblica  – conclusa con l’avviso agli otto indagati di questa vicenda, sono uno tsunami che travolge il presidente del consiglio. Ne demolisce la credibilità di uomo di Stato, documenta l’ossessione compulsiva per le decine di giovani donne che ordina al suo amico Gianpi a ogni ora del giorno e della notte. 

A ogni pausa dei suoi impegni di premier: mentre è in corso la vertenza Alitalia, durante una visita di Stato dell’allora presidente egiziano Mubarak, alla vigilia di un importante riunione con Angela Merkel e Gordon Brown. "A tempo perso faccio il primo ministro e me ne succedono di tutti i colori", confidava ridendo alla modella dominicana Marysthell Garcia Polanco (finita anche nella vicenda Ruby) in una telefonata del novembre del 2008. La ragazza si era lamentata perché era andata due volte a trovarlo e non lo aveva trovato. 

LE INTERCETTAZIONI
"Ieri sera avevo la fila, qui ce ne sono quaranta"
"Le ragazze sono foraggiatissime, non prendiamole alte"
"Cancelliamo la Arcuri, è volgare"IL VIDEO: L'intervista alle Iene che non piace al premier
La selezione delle ragazze, "facili" o "d'immagine"

GLI ATTI
Escort prigioniere a Palazzo Grazioli: "Berlusconi ti darà i soldi"
La pm e gli omissis per salvare la dignità delle donne
Escort anche per un magistrato, a cena con il manager Finmeccanica
Ricche e annoiate, le amiche di Nicla dal premier

Il presidente del consiglio da due anni ripete di aver semplicemente organizzato cene eleganti con amiche che non ha mai immaginato essere delle prostitute. Nelle carte dell’indagine è documentato che il presidente del consiglio in più di un’occasione paga le sue ospiti dopo aver goduto dei loro favori sessuali. Il premier ha sempre negato che ci fosse qualsiasi baratto tra lui e Gianpaolo Tarantini. Che la loro solo una bella amicizia. Nell’inchiesta è provato invece che in più occasioni Gianpi chiede e ottiene al Cavaliere contatti, favori, entrature negli appalti gestiti da Protezione civile e Finmeccanica.

FOTO: TUTTE LE "FIDANZATE" PER IL PRESIDENTE

Non ultimo quello per l’organizzazione del G8 a L’Aquila. Il 23 settembre del 2008 per esempio Berlusconi dice a Tarantini: “Magari invitiamo anche Fabrizio Del Noce il direttore della fiction della rete uno della Rai?”, “Così le ragazze sentono che c’è lì qualcuno che ha il potere di farle lavorare”». Dopo due mesi, è il 26 novembre, Berlusconi e Tarantini sono diventi buoni amici. Hanno organizzato una festa ma Berlusconi ha un impegno: «Devo purtroppo partire per Milano perché mi è successo un guaio su là devo essere domani mattina prestissimo e poi l’aereo c’è solo stasera, quindi purtroppo ho cambiato tutti i programmi e parto per Milano. Se tu credi di poter arrivare qui adesso e che vi offro che so un gelato».

Tarantini non si perde d’animo: «Ma no, sennò venivamo insieme a lei a Milano (ride)”, “(rivolgendosi a Marysthel e a qualcun’altra "andiamo a Milano ora, vi va? Con l’aereo con lui. Le sue interlocutrici rispondono di sì) (Gianpaolo comunica al Presidente), va bene, se ci dà mezz’ora, il tempo di fare la valigia, veniamo”. E tutto il gruppo, annota la Guardia di Finanza, «partono insieme a bordo dell’aereo presidenziale». 

Tarantini e Berlusconi parlano spesso anche di affari. Agli atti c’è per esempio una telefonata nella quale Tarantini «chiaramente interessato, chiedeva a Silvio Berlusconi di invitare anche il Responsabile della Protezione civile: «……vabbè Presidente se riesce, anche a chiamare Bertolaso, così lo coinvolgeremmo». «Ecco…mi sembrava che ci fosse qualcuno da chiamare! si si appunto, ecco vedi… Bertolaso! Bertolaso, ecco. Va bene chiamo Bertolaso…». L’incontro ci sarà e «si rivelerà proficuo per la prosecuzione dei progetti con il gruppo Intini di Noci».

Le carte dell'inchiesta escort
 

Le telefonate tra il premier e Tarantini – 
Foto 
Ricche e annoiate, ecco le mogli della Bari bene
 

Intercettazioni: "Ieri c'era la fila" – 
"Sono foraggiatissime" .
La pm salva la dignità delle donne – 
Video : "La Arcuri no"

  Le carte dell'inchiesta escort      Le telefonate  tra il premier e Tarantini  -    Foto     Ricche e annoiate, ecco le mogli della  Bari bene

Donne e affari in un perverso intreccio che documenta l'ossessione di Silvio Berlusconi. "A tempo perso faccio il premier". Gli ordini al suo amico. "Non ti preoccupare, chiamo anche Bertolaso". E Del Noce: "Così sentono che c’è qualcuno che ha il potere di farle lavorare". La vicenda dell'attrice e il caso del magistrato Cosimo Bottazzi, l'allora procuratore facente funzioni del tribunale di Brindisi, ora sostituto procuratore generale presso la Corte d'appello di Bari. Era con Metrangolo e l'imprenditore salentino Macchitella. Le amiche di Nicla ai party. Cancellati gli apprezzamenti troppo pesanti  di C. BONINI, G.FOSCHINI E F. VIVIANO

La provocazione di Pasquale Profiti, magistrato “eversore e disturbato”


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Pubblichiamo l'intervento del presidente dell'Associazione nazionale dei magistrati del Trentino Alto Adige all'inaugurazione dell'anno giudiziario 2011.

Sono un magistrato italiano ed oggi rappresento molti altri magistrati, come me.A nome mio ed a nome loro, oggi, finalmente, confessiamo.

 
Confessiamo di essere effettivamente degli eversori, come qualcuno ritiene. Applichiamo, infatti, le regole della nostra Costituzione e delle nostre leggi con la stessa imparzialità ed impegno agli immigrati clandestini ed ai potenti, agli emarginati ed a coloro che gestiscono le leve della finanza, della politica, dell’informazione. E’ vero, siamo degli eversori perché, insieme a CALAMANDREI, riteniamo la Costituzione e la Corte Costituzionale una “garanzia con cui il singolo è messo in grado di difendere il suo diritto contro gli attentati dello stesso legislatore o del governo”. Questo, oggi, vuol dire essere eversori.
 
Confessiamo di essere veramente, come è stato sostenuto, disturbati mentali, perché solo chi è tale continua a credere nel servizio giustizia, quando non sai se il giorno dopo ci sarà qualcuno che presterà assistenza al tuo computer, quando vedi che gli indispensabili collaboratori che vanno in pensione non sono  sostituiti, quando per poter lavorare condividi stanze anguste con colleghi o assistenti, quando in ferie scrivi sentenze o prepari provvedimenti, quando, nonostante ciò, sei accusato di protagonismo e di perder tempo in conferenze o convegni.
 
Confessiamo di non poter sempre soddisfare l’opinione pubblica se la Costituzione e le leggi ce lo vietano,  perché assolviamo chi riteniamo innocente anche se ciò non porta consensi,  condanniamo chi riteniamo colpevole sulla base della rigorosa valutazione delle prove anche quando i sondaggi, veri o falsi che siano, non ci confortano, e valutiamo la responsabilità dei singoli anche quando chi governa  vorrebbe una risposta dura, anche a scapito del singolo, a fenomeni di violenza collettiva.
 
Confessiamo, è vero, di sovvertire il voto degli italiani perché avendo giurato sulla Costituzione Repubblicana,  riteniamo, con Einaudi, che quella Costituzione imponga  ai magistrati di utilizzare i freni che “hanno per iscopo di limitare la libertà di legiferare e di operare dei ceti politici governanti, scelti dalla maggioranza degli elettori. Quei freni che “tutelano la maggioranza contro la tirannia di chi altrimenti agirebbe in suo nome”, quei freni che impongono la disapplicazione delle leggi in contrasto con le norme europee o l’incostituzionalità quando violano norme di diritto internazionale.
 
Confessiamo di essere politicizzati e non vogliamo essere apolitici come dichiaravano di esserlo la maggioranza dei magistrati fascisti o i magistrati iscritti alla P2 o i magistrati che per avere qualche posto direttivo o semidirettivo si appoggiano a potenti o faccendieri di turno, frequentano salotti buoni, fanno la telefonata agli amici o utilizzano il loro ruolo per avere sconti, gadget, ingressi o servizi gratuiti. Siamo politicizzati e vogliamo esserlo perché applichiamo la legge con il giusto rigore anche a chi governa, a chi potrebbe favorirci, consapevoli che saremmo apolitici solo se non disturbassimo le classi dirigenti, le élite al potere che vogliono essere al di sopra delle regole.
 
Confessiamo anche di fare proselitismo della nostra eversione, raccontando in Italia ed all’estero le ragioni della nostra autonomia e della nostra indipendenza, i motivi per cui riteniamo che nel nostro paese, oggi più di ieri, quell’assetto costituzionale della magistratura sia essenziale per evitare che gli interessi di parte prevalgano sempre e comunque sugli interessi della collettività, perché l’Italia non possa permettersi un diverso assetto della magistratura quando tra i suoi rappresentanti in Parlamento o negli enti locali siedono condannati per reati gravissimi e la giustizia sia terreno di aggressioni inimmaginabili per gli altri paesi democratici.
 
Confessiamo, una volta per tutte, di essere toghe rosse; siamo rossi, rubando ancora una volta le parole a Piero CALAMANDREI, “perché sempre, tra le tante sofferenze che attendono il giudice giusto, vi è anche quella di sentirsi accusare, quando non è disposto a servire una fazione, di essere al servizio della fazione contraria”; siamo rossi anche se non sappiamo cosa ciò esattamente significhi, perché per noi il rosso è principalmente il sangue dei colleghi uccisi per il loro lavoro.
 
Confessiamo anche di avere dei correi, il personale amministrativo senza il quale non potremmo commettere da soli le nostro colpe; molti di loro condividono la nostra eversione ed i nostri disturbi mentali se è vero che accettano di svolgere lavori superiori alle loro mansioni ed al loro stipendio, condividono le nostre stesse stanze anguste, le nostre incertezze sul futuro dei progetti organizzativi ministeriali.
Ci spiace confessare che anche numerosi appartenenti alle forze dell’ordine, incredibilmente, ritengono, come noi, che nessuno sia sopra la legge e vedendoci lavorare quotidianamente si rendono conto che l’eversione di molti di noi è uguale alla loro: rendere alla collettività il servizio per il quale siamo pagati, senza concedere che qualcuno possa stare al di sopra delle regole.
 
Confessiamo, infine, che per noi il 29 gennaio è la data in cui ricordiamo Emilio Alessandrini, Pubblico Ministero a Milano che oggi, 32 anni fa, veniva ucciso dagli eversori, quelli veri, quelli che al posto della nostra arma, la Costituzione, utilizzavano le pistole. Mi piacerebbe, sig. Presidente, che al termine del mio intervento non vi fossero applausi, rituali o spontanei, formali o calorosi che siano, ma il silenzio, magari in piedi, dedicato al collega ucciso dai terroristi, affinché la sua memoria ci illumini oggi e, ancor di più, da domani.

Caso Ruby, lite in diretta Masi-Santoro

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Scontro in diretta su Raidue tra Michele Santoro, conduttore di Annozero che stasera torna sul caso Ruby, e il direttore generale Mauro Masi. Dopo l'anteprima, in cui sono stati proposti stralci delle intercettazioni sulle feste di Arcore, Masi ha telefonato in trasmissione dissociarsi dall'impostazione della puntata. "Non sono mai intervenuto direttamente – ha esordito Masi al telefono rivolgendosi a Santoro – anche quando mi ha citato in diretta. Ma stavolta faccio un'eccezione. A tutela dell'azienda di cui sono direttore generale e che è anche la sua azienda, mi debbo dissociare nella maniera più chiara dal tipo di trasmissione che lei sta impostando, ad avviso mio e dei nostri legali in base al codice di autoregolamentazione sulla rappresentazione dei processi in tv, tema sollevato non più tardi di venerdì scorso anche dal presidente della Repubblica Napolitano".

IL VIDEO  DELLA LITE IN DIRETTA 1

Santoro, che aveva aperto la puntata prendendo le distanze dalla circolare di Masi sulla necessità di una partecipazione paritetica del pubblico rispetto alle posizioni degli ospiti, ha allora incalzato il dg chiedendogli se a suo avviso la trasmissione violasse le regole e dunque se volesse chiuderla. 


Per qualche minuto la trasmissione si trasforma in un duro botta e risposta in diretta fra i due: "lei – dice il conduttore – ci sta dicendo di non fare la trasmissione? lei si prende la responsabilità di fermare la trasmissione?". "Io non interrompo la trasmissione", dice Masi. "Allora ritira quello che ha detto, che violiamo le regole?". "Ho sempre garantito  – precisa il dg – che lei andasse in onda". "Noi stiamo violando regole? risponda", insiste Santoro. "Non sono io che lo debbo dire", frena Masi. "Allora quello che ha detto finora cos'era?", lo incalza il giornalista. Masi replica tornando alla dichiarazione iniziale ma corretta con il condizionale: "Dissocio me stesso e l'azienda da un tipo di trasmissione che potrebbe violare il codice di autoregolamentazione". "Ah potrebbe, anche lei potrebbe…", Lo ferma santoro. "Abbiamo capito com'è lei come direttore generale, buonanotte". "Buonanotte", scontro chiuso. 

Un intervento – ha spiegato Masi – "a tutela dell'azienda", ricordando che la trasmissione così com'era impostata potrebbe violare il codice di autoregolamentazione in materia di rappresentazione delle materie giudiziarie. "Non potevo fare altrimenti – ha poi commentato il Masi dopo l'intervento telefonico nella trasmissione – "perché avevo il dovere di difendere l'azienda dalle possibili conseguenze derivanti dalla violazione di quanto previsto dal Codice di autoregolamentazione. Negli ultimi mesi, e soprattutto negli ultimi giorni, ho più volte richiamato i responsabili editoriali al rigoroso rispetto di queste norme, peraltro richiamate qualche giorno fa dallo stesso Presidente della Repubblica. Ancora stasera, dopo aver preso visione della scaletta della trasmissione, avevo ribadito per iscritto al conduttore di 'Annozero' la preoccupazione per un taglio del programma che metteva al rischio l'azienda da nuove sanzioni, anche economiche". Per Masi "è arrivato il momento in cui ognuno deve assumersi le proprie responsabilità ed io mi sono assunto le mie, ripeto, a tutela dell'azienda e dei cittadini telespettatori". 
 
Il caso Sisto. L'esponente Pdl Francesco Paolo Sisto dice di non essere stato ammesso all'ultimo momento alla trasmissione. "Erò lì, in camerino, al trucco insieme alla Bindi, a Mieli e a Belpietro e mi dicono che non posso partecipare alla trasmissione…". In origine era prevista in trasmissione la presenza di Fabrizio Cicchitto. 

Le reazioni. Il Pd chiede le dimissioni di Masi. "Dopo l'intervento di stasera ad Annozero dovrebbe lasciare", dice Paolo Gentiloni. "Con una telefonata, iniziata con toni da censura golpista e conclusa con un balbettio da operetta, Masi conferma che non può continuare a guidare la Rai. Milioni di telespettatori hanno constatato l'assoluta inadeguatezza di un vertice ridotto a fare minacciose telefonate su commissione nei confronti del programma di informazione di punta della propria azienda".

Analoga richiesta arriva dal consigliere Rai Nizzo Nervo: "La telefonata preventiva in diretta ancora mancava nel repertorio delle direttive di questo Direttore generale. Invece di far dissociare l'azienda da Annozero, spero che presto Masi si dissoci da se stesso per avere ancora una volta dimostrato che non è in grado di guidare il servizio pubblico e che, prendendo coscienza della sua imperizia, tolga il disturbo".

"Quanto è avvenuto questa sera ad Annozero è gravissimo", dice il portavoce dell'Idv Leoluca Orlando. "La telefonata in diretta di Masi rappresenta un'intollerabile intromissione nel lavoro di Michele Santoro e della sua redazione". Per Donadi, sempre dell'Idv, il Direttore generale Rai "è un pessimo imitatore di Berlusconi".

Dal Pdl invece parte subito l'attacco a Santoro.  "Forse ha dimenticato che non è il padrone della Rai – dice il portavoce Capezzone -, ma qualcuno a cui il principesco stipendio è pagato con i soldi dei cittadini. Il modo in cui si è rivolto al direttore generale Masi e al pubblico fa pensare a una nuova Piazza Venezia. Negli anni Trenta c'era la radio, ora il balcone è televisivo. Stasera Annozero sta superando ogni limite".

Per Romani, che è ministro dello Sviluppo, "anche stasera Annozero ha superato ogni limite del decoro, della decenza e del rispetto della deontologia giornalistica".

Filtrano anche le parole del premier Berlusconi. Che si sarebbe detto "infuriato" dal comportamento del giornalista, avrebbe contestato la gestione della trasmissione considerata "vergognosa", e si sarebbe detto "infuriato" per il fatto che Santoro non avrebe fatto entrare in studio sessanta ragazzi simpatizzanti del centrodestra.
 
L'Usigrai: "Mai visto prima". "Mai prima alla Rai una cosa del genere e siamo certi neanche nello Zimbabwe. Il delirio di Masi ad 'Annozero' svela agli italiani il perchè del nostro referendum di sfiducia, che ha raggiunto percentuali in Italia sconosciute. Un kamikaze dell'azienda contro la sua stessa azienda davanti a tutti i suoi utenti". Lo afferma in una nota Carlo Verna, segretario nazionale dell'Usigrai.

Masi ribadisce: processo tv. A trasmissione finita arriva un'altra nota del dg, nella quale si legge: "Ribadisco che i processi si fanno in tribunale e non in tv è questo è un innegabile dato di civiltà prima che giuridico. E' indegna l'attività istruttoria parallela che svolgono taluni sulla televisione del servizio pubblico come se avessero ricevuto chissà quale delega dall'autorità giudiziaria che ancora una volta dovrà verificare l'attendibilità di un teste di accusa che anche questa sera ha rivelato in diretta televisiva fatti e circostanze oggetto di un procedimento penale ancora in fase di indagine preliminare"
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Mafia, processo in Cassazione: Cuffaro condannato va in carcere

 

103800173-bdb01ee9-5583-4c9c-85e7-17b09561ccaedi ALESSANDRA ZINITI – palermo.repubblica.it


L'ex governatore della Sicilia è stato condannato a sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra. Il procuratore generale aveva chiesto uno sconto di pena. "Questa prova ha rafforzato in me il rispetto delle istituzioni", ha detto Cuffaro poco prima di entrare nel carcere di Rebibbia.

I giudici della seconda sezione penale della Corte di Cassazione, presieduta da Antonio Esposito, hanno confermato, a carico dell'ex governatore della Sicilia Salvatore Cuffaro, la condanna a sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra e violazione del segreto istruttorio nell'ambito del processo "Talpe alla Dda". Cuffaro, eletto al Senato con l’Udc, è poi passato ai Popolari Italia Domani che sostengono il governo. 



Cuffaro e le talpe di Cosa nostra



L'ex governatore della Sicilia ha atteso nella sua abitazione romana di essere tradotto in carcere, a Rebibbia. In mattinata Cuffaro aveva pregato nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva nei pressi della sua abitazione romana, di fronte al Pantheon, in attesa della sentenza. A Roma con lui il fratello Silvio, la moglie Giacoma e i due figli.



Cuffaro prega in chiesa prima della sentenza



Poco dopo la sentenza, Cuffaro ha lasciato la sua abitazione romana con tre carabinieri del Ros che lo hanno condotto alla stazione Farnese per la notifica della condanna definitiva. Subito dopo è stato tradotto a Rebibbia. L'ex governatore della Sicilia è stato portato in una cella singola al piano terra del penitenziario romano, al reparto G12. Ma è una sistemazione provvisoria. "Voglio affrontare il carcere con tranquillità", avrebbe detto Cuffaro ai poliziotti penitenziari. Ogni 15-20 minuti un agente controllerà le sue condizioni: non si tratta di una sorveglianza a vista (il più delle volte disposta per scongiurare il pericolo di atti di auolesionismo) ma una vigilanza 'marcata' e più attenta.



"Sono stato un uomo delle istituzioni, ho avuto un grande rispetto per la magistratura – ha detto Cuffaro uscendo da casa – Questa prova non è stata e non è facile da portare avanti ma ha rafforzato in me il rispetto delle istituzioni. La magistratura è una istituzione quindi la rispetto anche in questo momento di prova, ha accresciuto in me la fiducia nella giustizia e soprattutto ha rafforzato la mia fede. Se ho saputo resistere in questi anni difficili è soprattutto perché ho avuto tanta fede e la protezione della Madonna".



L'ANALISI: Condannato un sistema di potere



Il procuratore generale Giovanni Galati, nella sua requisitoria, per Cuffaro aveva chiesto la riduzione della pena, soprattutto aveva chiesto di fare cadere l'aggravante del favoreggiamento alla mafia. Se fosse stata accolta questa richiesta sarebbe stato necessario un nuovo verdetto da parte della Corte d’appello: considerati i tempi, per i reati contestati al senatore del Pid sarebbe scattata nel giro di pochi mesi la prescrizione. Ma i giudici di Cassazione non hanno ascoltato il procuratore Galati confermando la sentenza di appello. A questo punto il verdetto di condanna è definitivo. La Cassazione ha condannato anche gli altri imputati, fra questi il manager della sanità privata siciliana Michele Aiello al quale sono stati inflitti 15 anni e mezzo di reclusione. Riduzione di poco per l'ex maresciallo del Ros di Palermo Giorgio Riolo che passa da una pena di 8 anni a 7 anni, 5 mesi e 10 giorni. Il radiologo Aldo Carcione è stato condannato definitivamente a 4 anni e 6 mesi.



"E' una sentenza che desta stupore e rammarico anche perché la Procura della Cassazione, con una richiesta molto argomentata, aveva chiesto l'annullamento dell'aggravante mafiosa per l'episodio di favoreggiamento ad Aiello, richiesta che se accolta avrebbe sgonfiato del tutto la condanna". Lo ha detto l'avvocato Oreste Dominioni, difensore di Cuffaro, insieme a Nino Mormino, al termine della lettura del verdetto.



LE REAZIONI: Politici divisi sulla sentenza



Al posto di Salvatore Cuffaro in Senato entrerà Maria Pia Castiglione. Candidata nella lista dell'Udc, anche la Castiglione ha aderito al Pid, Popolari Italia Domani, il movimento siciliano in rotta con Casini. Nata 55 anni anni fa a San Vito Lo Capo, in provincia di Trapani, Castiglione è neurologo e svolge attività specialistica a Trapani, Pantelleria e Castellammare del Golfo. "Provo per Totò – dice – un grande dispiacere. Per me resta un amico dotato di grande umanità, disponibilità e generosità. Tutti gli dobbiamo tanto".



Alle politiche del 2008 gli unici tre senatori dell'Udc sono stati eletti in Sicilia. Ora il gruppo è diviso. Con Casini è rimasto Giampiero D'Alia, eletto nella circoscrizione orientale; Cuffaro e Aparo Burgaretta (subentrato ad Antonello Antinoro che aveva optato per il seggio di eurodeputato) sono passati al Pid. Ora la Castiglione rimpiazza Cuffaro senza alterare gli equilibri in Senato.

Cuffaro, Cassazione conferma condanna a sette anni per fatti di mafia

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Totò Cuffaro va in carcere. La Cassazione ha infatti reso definitiva la condanna a sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e rivelazione di segreto istruttorio emessa nell’ambito del processo ‘talpe alla dda’ nei confronti di Cuffaro, ex governatore della Sicilia ed oggi senatore del Pid (Popolari Italia Domani). In particolare, la seconda sezione penale presieduta da Antonio Esposito ha rigettato il ricorso di Cuffaro confermando così il verdetto emesso lo scorso 23 gennaio dalla Corte d’Appello di Palermo.
 

”Rispetto la magistratura, adesso andrò a costituirmi”, ha detto Cuffaro, appena uscito di casa per dirigersi al carcere di Rebibbia. L’ex governatore ha atteso la sentenza nella sua abitazione in centro a Roma, vicino al Pantheon, dove dopo la sentenza è cominciato un via vai di amici e colleghi. Tra questi, l’avvocato Piero Lipera ha detto prima di scoppiare a piangere: “E’ stato condannato un innocente, senza che sia stata accertata la verità. Prima di essere uno dei suoi legali, sono un cuffariano convinto”. In mattinata Cuffaro aveva passato le ore prima della sentenza raccogliendosi in preghiera nella Chiesa della Minerva.
 

L’avvocato Oreste Domignoni, difensore di Cuffaro in Cassazione insieme a Nino Mormino, ha parlato di “sentenza che desta stupore e rammarico anche perché, ieri, la Procura della Cassazione, con una richiesta molto argomentata, aveva chiesto l’annullamento dell’aggravante mafiosa per l’episodio di favoreggiamento ad Aiello, richiesta che se accolta avrebbe sgonfiato del tutto la condanna”. Secondo il procuratore capo di Palermo Francesco Messineo, “la sentenza della Corte di Cassazione conferma l’impianto accusatorio sostenuto dalla procura in primo grado. In primo grado il nostro impianto accusatorio era stato accolto dai giudici solo parzialmente, la Corte d’Appello lo confermò e adesso arriva la sentenza definitiva”.
 

Una delle conseguenze della conferma della condanna a 7 anni di reclusione è quella della decadenza dal seggio di palazzo Madama, dove Cuffaro sostiene il governo Berlusconi. ”In uno Stato di diritto la politica deve rispettare le sentenze – ha commentato il portavoce dell’IdvLeoluca Orlando -. In uno Stato democratico, la politica deve però rilevare, come da anni facciamo in tanti, che dopo una stagione di forte indignazione e risveglio, proprio dal 2001, quando Salvatore Cuffaro è diventato presidente della Regione, in Sicilia c’è stato un progressivo deterioramento economico, culturale ed etico che tuttora pesa come un macigno sui diritti dei siciliani e sullo sviluppo dell’Isola”. In un comunicato congiunto Pier Ferdinando Casini e Marco Follini si dicono “umanamente dispiaciuti per la condanna di Totò Cuffaro” ed esprimono “rispetto per la sentenza, come è doveroso in uno Stato di diritto e tanto più da parte di dirigenti politici. Ma, non rinneghiamo tanti anni di amicizia e resta in noi la convinzione che Cuffaro non sia mafioso”. Fabrizio Cicchitto e Gaetano Quagliariello del Pdl esprimono la loro solidarietà all’amico Totò Cuffaro per la scelta che ha compiuto. Quanto al merito della vicenda, ci ha convito più la procura della Cassazione che il collegio giudicante”.
 

La Cassazione ha confermato le condanne anche per gli altri imputati. E’ diventata così  definitiva quella a 15 anni di carcere per l’ex manager della sanità privata Michele Aiello, ritenuto vicino aBernardo Provenzano. E’ stata invece leggermente ritoccata, per una piccola prescrizione, la condanna a 8 anni di reclusione per l’ex maresciallo del Ros, Giorgio Riolo: ora la pena è di 7 anni, 5 mesi e 10 giorni. Definitiva anche la condanna a 3 anni per il dirigente della Sezione Anticrimine della Questura di Palermo, Giacomo Venezia. Sono stati inoltre dichiarati “inammissibili” i ricorsi degli altri imputati del processo ‘talpe alla Dda’: 4 anni e 6 mesi sono, dunque, diventati la condanna definitiva per il radiologo Aldo Carcione; quella a un anno per Roberto Rotondo, a 9 mesi per Michele Giambruno; a 4 anni e 6 mesi per Lorenzo Iannì (direttore del distretto sanitario di Bagheria); a 6 mesi per Antonella Buttitta; a 9 mesi per Salvatore Prestigiacomo e a 2 anni per Angelo Calaciura.
 

L’ex governatore Cuffaro è attualmente imputato in un altro processo a Palermo, dove risponde di concorso esterno in associazione mafiosa. Il 28 giugno scorso in questo dibattimento i pm Nino Di Matteo e Francesco Del Bene, a conclusione di una requisitoria durata per quattro udienze, ne hanno chiesto la condanna a 10 anni di reclusione. La richiesta di 10 anni è comprensiva dello sconto di un terzo della pena previsto per il rito abbreviato scelto da Cuffaro. Tra le vicende oggetto di questo processo, noto come ‘Cuffaro bis’, quella delle candidature di Mimmo Miceli e Giuseppe Acanto, detto Piero, nelle liste del Cdu e del Biancofiore alle elezioni regionali del 2001. Entrambi, secondo l’accusa, furono sponsorizzati da Cosa nostra e Cuffaro per questo motivo li accettò come candidati nelle liste a lui collegate.

Dalla questura al sesso con Ruby, le dieci menzogne di Berlusconi

070843244-33f989b7-7f56-444b-b8ef-47eaa1632f87di GIUSEPPE D'AVANZO – www.repubblica.it

Si contano dieci menzogne nell'intervento televisivo di Silvio Berlusconi. Qui di seguito dimostriamo come le parole del premier siano variazioni falsarie. Costruiscono per l'opinione pubblica una fiction che appare in gran parte fasulla anche alla luce di quel che è già emerso dai documenti dell'inchiesta di Milano. Le bugie nelle dichiarazioni del presidente del Consiglio devono negare come e perché sia riuscito ad esfiltrare dalla questura, sottraendola alla tutela dello Stato, una minorenne accusata di furto. Una minorenne con la quale il capo del governo ha intrattenuto, per lo meno per tre mesi, una relazione molto intensa, al punto che ci sono tra i due 67 contatti telefonici in 77 giorni. Impossibilitato a raccontare la verità su quella relazione, il premier è costretto a mentire ancora: parla di persecuzione giudiziaria; inventa una violazione della sua privacy; accusa la polizia di aver maltrattato le sue amiche: è un'autodifesa che non accetta di essere verificata. "Non mi devo vergognare", dice Berlusconi. Le sue dieci bugie lo dovrebbero convincere non solo a vergognarsi, ma anche ad assumersi la responsabilità di fare chiarezza davanti ai giudici e dinanzi al Paese. Ecco dunque le dieci bugie che, se necessario, integreremo nel corso del tempo.

1. "Non ho minacciato nessuno"
Dice il premier: "Vi leggo le risposte del funzionario al pubblico ministero dove descrive la mia telefonata: "L'addetto alla sicurezza mi disse: dottore, le passo il presidente del Consiglio perché c'è un problema. Subito dopo il presidente del Consiglio mi ha detto che vi era in questura una ragazza di origine nord africana che gli era stata segnalata come nipote di Mubarak e che un consigliere regionale, la signora Minetti, si sarebbe fatta carico di questa ragazza. La telefonata finì così". Ma vi pare che questa possa essere considerata una telefonata di minaccia?". 
Berlusconi sa di mentire perché non ci fu una sola telefonata con il capo di gabinetto. Come si legge nell'invito a comparire il funzionario riceve ripetute e "ulteriori chiamate dalla presidenza del Consiglio" (la procura ha escluso tutti i contatti telefonici di Berlusconi e non è ancora pubblico il numero esatto). Devono essere state così urgenti e incombenti da consigliare al capo di gabinetto di telefonare 24 volte al funzionario di servizio, al suo diretto superiore, al questore. La prima telefonata è delle 00.02.21, l'ultima addirittura delle 6.47.14. Non importa se il capo di gabinetto abbia o meno avvertito "una minaccia" nelle parole del presidente. E' indiscutibile che il funzionario si dà molto da fare. L'esito è l'affidamento di Ruby, di fatto, a una prostituta, Michele Coincecao, eventualità che il pubblico ministero per i minori, Anna Maria Fiorillo, aveva escluso. Questo è il risultato della pressione di Berlusconi: la polizia non rispetta le disposizioni del magistrato.

2. "Non ho fatto sesso con Ruby"
Dice il premier: "Mi si contestano rapporti sessuali con una ragazza minore di 18 anni, Ruby. Questa ragazza ha dichiarato agli avvocati e mille volte a tutti i giornali italiani e stranieri che mai e poi mai ha avuto rapporti sessuali con me". 
E' utile ricordare come Ruby sia stata "avvicinata" dagli avvocati, da quali avvocati, in quale occasione. E' il 6 ottobre 2010, Ruby deve incontrare il suo avvocato non quello di oggi (Massimo Di Noja) che sarà nominato soltanto il 29 ottobre, ma Luca Giuliante, difensore anche di Lele Mora. Ruby raggiunge lo studio del legale accompagnata da un amico Luca Risso. Risso, via sms, fa a una sua amica il resoconto di quel che accade. Sono utili cinque messaggi. 1. "Sono nel mezzo di un interrogatorio allucinante… Ti racconterò, ma è pazzesco!". 2. "E' sempre peggio quando ti racconterò (se potrò…). 3. L'amica scrive: "Perché stanno interrogando Ruby?". 4. Scrive Risso: "C'è Lele (Mora), l'avv., Ruby, un emissario di Lui. Una che verbalizza. Sono qui perché pensano che io sappia tutto". 5. "Sono ancora qua. Ora sono sceso a fare due passi. Lei è su, che si sono fermati un attimino perché siamo alla scene hard con il pr… con la persona". Da queste informazioni si deducono un paio di scene. Ruby è stata protagonista di "scene hard" con il presidente. Lele Mora, un inviato di Berlusconi e l'avvocato Giuliante la "interrogano" per conoscere che cosa ha raccontato ai pubblici ministeri. E' un vero e proprio debriefing che può consentire di conoscere le accuse, prevedere le mosse dei pubblici ministeri, ribaltare i ricordi della ragazza con la dichiarazione giurata che oggi Berlusconi sventola. Inutilmente perché appare più il frutto o di una violenza morale o di una corruzione, se si prende per buono quel che Ruby dice al padre: "Sono con l'avvocato, Silvio gli ha detto: dille che la pagherò il prezzo che lei vuole. L'importante è che chiuda la bocca". E' il 26 ottobre 2010.

3. "Anche Ruby mi scagiona" 
Dice il premier: "Vi leggo quello che ha detto la stessa Ruby in una dichiarazione firmata e autenticata dai suoi avvocati: "Non ho mai avuto alcun tipo di rapporto sessuale con l'onorevole Silvio Berlusconi. Nessuno, né l'onorevole Berlusconi né altre persone, mi ha mai prospettato la possibilità di ottenere denari o altre utilità in cambio di una disponibilità ad avere rapporti di carattere sessuale con l'on. Silvio Berlusconi. Posso aggiungere che, invece, ho ricevuto da lui, come forma di aiuto, vista la mia particolare situazione di difficoltà, una somma di denaro. Quando ho conosciuto l'on. Berlusconi, gli ho illustrato la mia condizione personale e famigliare nei seguenti termini: gli ho detto di avere 24 anni, di essere di nazionalità egiziana (non marocchina), di essere originaria di una famiglia di alto livello sociale, in particolare di essere figlia di una nota cantante egiziana. Gli ho detto anche di trovarmi in difficoltà per essere stata ripudiata dalla mia famiglia di origine dopo che mi ero convertita al cattolicesimo". Ecco perché vorrei fare il processo subito, con queste prove inconfutabili, ma con giudici super partes. 
Più che inconfutabili, queste fonti di prova appaiono insincere. Abbiamo visto in quale clima e dinanzi a quali attori nasca lalettera di Ruby che assolve Berlusconi. La favola poteva essere congegnata meglio. Anche a dimenticare quelle "scene hard", ci sono almeno alcune rilevanti condizioni che la scompaginano e dicono quanto Berlusconi non racconti la verità. Il premier sapeva della minore età di Ruby e non ha mai creduto che fosse di "una famiglia di alto livello sociale" perché è Emilio Fede che la scrutina in un concorso di bellezza in Sicilia nel 2009. Il giornalista sa che è una "sbandata". C'è un video che lo mostra quando, in quell'occasione, dice: "C'è una ragazza di 13 anni, se non sbaglio egiziana, mi sono commosso, ho solidarizzato (perché) la ragazza non ha più i suoi genitori… ". Per "solidarietà", Fede indirizza la teenager da Lele Mora che la "svezza" e in quello stesso anno la destina alle serate di Berlusconi. Alcuni testimoni riferiscono che nel 2009 Ruby frequenta in due occasioni Villa San Martino. Lei lo conferma: "Frequento Berlusconi da quando avevo sedici anni". L'incontro con il Sovrano non sarà occasionale. Il Drago ne incapriccia. Dal 14 febbraio al 2 maggio 2010 si contano 67 contatti telefonici tra Ruby e il presidente. Una telefonata al giorno, quasi.

4. "E' la 28esima persecuzione"
Dice il premier: "Ho avuto finalmente modo di leggere le 389 pagine dell'ultima vera e propria persecuzione giudiziaria, la ventottesima in 17 anni". Il numero dei processi di Berlusconi è un mistero misericordioso che cambia a seconda delle ragioni. Dice il Cavaliere: "In assoluto [sono] il maggior perseguitato dalla magistratura in tutte le epoche, in tutta la storia degli uomini in tutto il mondo. [Sono stato] sottoposto a 106 processi, tutti finiti con assoluzioni e due prescrizioni" (10 ottobre 2009). Nello stesso giorno, Marina Berlusconi ridimensiona l'iperbole paterna: "Mio padre tra processi e indagini è stato chiamato in causa 26 volte. Ma a suo carico non c'è una sola, dico una sola, condanna. E se, come si dice, bastano tre indizi per fare una prova, non le sembra che 26 accuse cadute nel nulla siano la prova provata di una persecuzione?" (Corriere, 10 ottobre 2009). Qualche giorno dopo, Paolo Bonaiuti, portavoce del premier, pompa il computo ancora più verso l'alto: "I processi contro Berlusconi sono 109" (Porta a porta, 15 ottobre 2009). Lo rintuzza addirittura Bruno Vespa che avalla i numeri di Marina: "Non esageriamo, i processi sono 26". Ventotto, ventisei, centosei o centonove, e quante assoluzioni? In realtà, i processi affrontati dal Cavaliere come imputato sono sedici. Quattro sono ancora in corso: corruzione in atti giudiziari per l'affare Mills; frode fiscale per i diritti tv Mediaset (in dibattimento a Milano); appropriazione indebita nell'affare Mediatrade; e quest'ultimo per concussione e favoreggiamento della prostituzione minorile. Nei processi già conclusi, in soltanto tre casi le sentenze sono state di assoluzione. In un'occasione con formula piena per l'affare "Sme-Ariosto/1" (la corruzione dei giudici di Roma). Due volte con la formula dubitativa: i fondi neri "Medusa" e le tangenti alla Guardia di Finanza, dove il Cavaliere è stato condannato in primo grado per corruzione; dichiarato colpevole ma prescritto in appello grazie alle attenuanti generiche; assolto in Cassazione per "insufficienza probatoria". Riformato e depenalizzato il falso in bilancio dal governo Berlusconi, l'imputato Berlusconi viene assolto in due processi (All Iberian/2 e Sme-Ariosto/2) perché "il fatto non è più previsto dalla legge come reato". Due amnistie estinguono il reato e cancellano la condanna inflittagli per falsa testimonianza (aveva truccato le date della sua iscrizione alla P2) e per falso in bilancio (i terreni di Macherio). Per cinque volte è salvo con le "attenuanti generiche" che (attenzione) si assegnano a chi è ritenuto responsabile del reato. Per di più le "attenuanti generiche" gli consentono di beneficiare, in tre casi, della prescrizione dimezzata che si era fabbricato come capo del governo: "All Iberian/1" (finanziamento illecito a Craxi); "caso Lentini"; "bilanci Fininvest 1988-'92"; "fondi neri nel consolidato Fininvest" (1500 miliardi); Mondadori (l'avvocato di Berlusconi, Cesare Previti, "compra" il giudice Metta, entrambi sono condannati). Più che persecuzione giudiziaria, siamo dinanzi a un'avventura fortemente segnata dall'illegalità.

5. "Mi spiano dal gennaio 2010"
Dice il premier: "Pensate che la mia casa di Arcore è stata sottoposta a un continuo monitoraggio che dura dal gennaio del 2010 per controllare tutte le persone che entravano e uscivano e per quanto tempo vi rimanevano. Hanno utilizzato tecniche sofisticate come se dovessero fare una retata contro la mafia o contro la camorra". "Sappiate che la Procura di Milano mi ha iscritto come indagato soltanto il 21 dicembre scorso, guarda caso appena sette giorni dopo il voto di fiducia del Parlamento, e quindi tutte le indagini precedenti erano formalmente rivolte verso altri ma sostanzialmente tenevano sotto controllo proprio la mia abitazione e la mia persona". 
Dio solo sa che cosa c'entra il voto di fiducia. Che cosa avrebbe detto se quel voto fosse stato per lui negativo? Avrebbe detto che, caduto il governo, la magistratura avvia la sua vendetta. Berlusconi deve lasciarlo credere per politicizzare una malinconica storia di prostitute minorenni e abusi di potere che con la politica non c'entra nulla. E' falso sostenere che la sua casa di Arcore sia stata tenuta sotto controllo da un anno. Dopo le dichiarazioni di Ruby (3 agosto 2010), le indagini si muovono con molta cautela. Inizialmente contro Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti. Soltanto in autunno emergono le possibili responsabilità dirette del premier. Prima di iscrivere al registro degli indagati Berlusconi, i pubblici ministeri come sempre vagliano una prima e approssimata attendibilità delle accuse. Chiedono i tabulati delle telefonate di Ruby dal gennaio 2010: davvero conosce il capo del governo? Quindi gli accertamenti sono fatti a ritroso e non in tempo reale come maligna, mentendo, il capo del governo.

6. "Hanno violato la mia casa"
Dice il premier: "Nella mia casa da sempre svolgo funzioni di governo e di parlamentare, avendolo addirittura comunicato alla Camera dei deputati sin dal 2004, e la violazione che è stata compiuta è particolarmente grave perché va contro i più elementari principi costituzionali". 
Da nessun atto dell'inchiesta si deduce che la dimora del presidente sia stata "violata". Si indaga su un prosseneta. Lo si tiene d'occhio. L'uomo si muove con prostitute al seguito. Lo si segue. Si scopre che il corteo di auto, spesso scortato da auto di Stato, varca il cancello di Villa San Martino. Il domicilio non viene oltraggiato. Piuttosto ci si deve chiedere se non lo oltraggia Berlusconi. C'è qualche buona ragione per sostenerlo. Pretende che la sua casa privata sia considerata residenza di Stato. Bene. Per questa ragione e per un elementare principio costituzionale (art. 54 della Carta: "I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore) Berlusconi non dovrebbe affollarla di prostitute (in forza del necessario "onore" che dovrebbe accompagnare la sua responsabilità pubblica). Dovrebbe con "disciplina" proteggere se stesso e non trascurare la sua personale sicurezza, come gli accade aprendo la porta di casa a qualsiasi ragazza italiana e straniera disponibile a trascorrere la notte con lui. La sua vita disordinata lo ha reso vulnerabile e ricattabile. Berlusconi era continuamente taglieggiato dalle sue ospiti, come si apprende dalle indagini. Viene da chiedere: questi sono piccoli ricatti, ma in quante e quali occasioni, magari internazionali, Berlusconi ha reso possibile anche grandi ricatti e chissà possono essere ancora "vivi"?

7. "Milano è incompetente"
Dice il premier: "Come prescrivono la legge e la Costituzione, entro 15 giorni dall'inizio delle indagini la Procura avrebbe dovuto trasmettere tutti gli atti al Tribunale dei ministri, l'unico competente per tutte queste vicende. È gravissimo, ancora, che la Procura voglia continuare a indagare pur non essendo legittimata a farlo. Tra l'altro la Procura di Milano non era neppure competente per territorio. Infatti il reato di concussione mi viene contestato come se fosse stato commesso a Milano. Questo è palesemente infondato poiché il funzionario della questura che ha ricevuto la mia telefonata in quel momento era, come risulta dalle stesse indagini, a Sesto San Giovanni. Quindi la competenza territoriale era ed è del Tribunale di Monza". E' bizzarro che Berlusconi si travesta da azzeccagarbugli e disputi sulla competenza della procura di Milano in un video televisivo e non in aula. Qui avrebbe più difficoltà ad avere ragione perché la giurisprudenza è costante. La concussione è un abuso. E' di "potere" se chi lo pratica fa leva sulle "potestà funzionali per uno scopo diverso da quello per il quale sia stato investito" (Cassazione). Per capire, sarebbe stata una concussione di potere se a telefonare in questura a Milano "consigliando" la liberazione di Ruby fosse stato il ministro dell'Interno. L'abuso può essere anche di "qualità". In questo caso "postula una condotta che, indipendentemente dalla competenze del soggetto (il concussore), si manifesta come una strumentalizzazione della posizione di preminenza ricoperta". E' il caso di Berlusconi. Abuso di potere o abuso di qualità presuppongono due competenze diverse. L'abuso di potere di un ministro impone la competenza del tribunale dei ministri. L'abuso di qualità prescrive la competenza territoriale: dove è stato commesso il reato? Il capo di governo lo sa che questa è la domanda che decide e prova a truccare le carte. Dice: è competente Monza perché qui abita il capo di gabinetto della questura che riceve la mia telefonata. Errore. La concussione è un reato d'"evento" e non di "condotta" e dunque la competenza si radica dove si materializza "il vantaggio". E' fuor di dubbio che il vantaggio (Ruby affidata alla Minetti e sottratta alla tutela dello Stato) diventa concreto a Milano.

8. "150 poliziotti contro 10 ragazze, le mie amiche sono state maltrattate"
Dice il premier: "Gli stessi Pm. che hanno ordinato con uno spiegamento di forze di almeno 150 uomini una imponente operazione di perquisizione contro ragazze colpevoli soltanto di essere state mie ospiti in alcune cene (…) Queste perquisizioni nei confronti di persone che non erano neppure indagate ma soltanto testimoni sono state compiute con il più totale disprezzo della dignità della loro persona e della loro intimità. Sono state maltrattate". 
E' una bubbola. All'inchiesta hanno collaborato i dieci uomini della polizia giudiziaria presso la Procura, disponibili non solo per quest'inchiesta, ma per il lavoro di tutti i 90 pubblici ministeri di Milano. La squadra mobile di Milano, venerdì scorso, ha mandato 30 poliziotti (molte donne) a perquisire gli appartamentini delle dieci amiche del premier, abituali frequentatrici di Arcore. Maltrattamenti? Berlusconi viene smentito anche da Giuseppe Spinelli, il ragioniere di Arcore, ufficiale pagatore delle amiche del presidente: "Alle 7,30 ci siamo trovati in casa cinque poliziotti della Criminalpol. Non sono stati mica sgarbati… ".

9. "Non ho pagato mai una donna"
Dice il premier. "E' assurdo soltanto pensare che io abbia pagato per avere rapporti con una donna. E' una cosa che non mi è mai successa neanche una sola volta nella vita. E' una cosa che considererei degradante per la mia dignità". 
Già Patrizia D'Addario fu pagata, anche se da Giampaolo Tarantini, per tener compagnia al capo del governo nel lettone di Putin a Palazzo Grazioli. L'inchiesta milanese invece ci racconta come nessuna delle ragazze invitate ad Arcore lasciasse la villa senza la busta con i biglietti da 500 euro preparata dal ragioniere di casa. Anche chi, come M. T., di soldi non ne voleva, si vede offrire una busta con 500 euro. Un cip. Nulla a che fare con i "7mila euro" ricevuti da Ruby. E da Iris. E da Imma. E da Barbara… Si fa prima a dire quale ragazza non è stata pagata che elencare i nomi di chi si è intrattenuto nella sala del bunga bunga o tra le braccia del Drago in cambio di un compenso. Nessuna delle ragazze che dopo cena raggiunge il sotterraneo di villa San Martino va via a mani vuote. Inutile dire quanto appaia degradata la dignità del premier. 

10. "Non mi devo vergognare"
Dice il premier: "Non c'è stata nessuna concussione, non c'è stata nessuna induzione alla prostituzione, meno che meno di minorenni. Non c'è stato nulla di cui mi debba vergognare. C'è solo un attacco gravissimo di alcuni pubblici ministeri che hanno calpestato le leggi a fini politici con grande risonanza mediatica". 
Berlusconi non deve vergognarsi soltanto del disonore con cui ha travolto il Paese e del discredito che oggi insudicia la presidenza del Consiglio. Il 28 maggio del 2009, a un mese dall'inizio dell'affaire Noemi, disse: "Giuro sulla testa dei miei figli di non aver mai avuto relazioni "piccanti" con minorenni. Se mentissi, mi dimetterei immediatamente". Berlusconi deve vergognarsi per le relazioni intrattenute dal 2009 al 2010 con due minorenni (Noemi e Ruby). Deve vergognarsi per aver mentito al Paese. Deve vergognarsi per non essersi ancora dimesso.