Archivio mensile:novembre 2010

Don Ciotti: "Quello che per me significa legalità"

Dalla quarta puntata di  "Vieni via con me" di Fazio e Saviano trasmessa ieri

Non un treno passeggeri, ma un vagone merci

treni_pendolaridi Matteo d'Ingeo

Dopo circa un mese nulla è cambiato sulla linea Molfetta-Bari. Sembrava una giornata come tante, quella d’inizio mese con la fila in biglietteria per il rinnovo dell’abbonamento mensile.
Lascio 50,00euro e ne ricevo solo 5. Il costo della tratta Molfetta-Bari è lievitato improvvisamente da 39,00 a 45,00 euro.

Siamo rimasti tutti sorpresi, aspettavamo l’aumento ma non di 6,00 euro.

Parato il colpo lo sguardo va al monitor per sperare che almeno il treno delle 7,08 arrivi in orario, ma i monitor sono fuori uso e l’altoparlante avvisa che ci sono quasi dieci minuti di ritardo.
Come sempre, ci si stringe nelle spalle, e con la pazienza trentennale del pendolare, si aspetta il primo treno utile.
Nell’attesa si riflette e ci si chiede come sarà il treno in arrivo, corto, lungo, a due piani, vivalto o minuetto; e vada il ritardo, l’aumento del prezzo dell’abbonamento anche, ma almeno che il “materiale” (così lo chiamano gli addetti ai lavori) in arrivo sia spazioso, confortevole con l’aria condizionata (così avevano promesso i vertici di Trenitalia qualche anno fa).
Nulla di tutto questo, le aspettative dei circa 300 passeggeri che attendono il treno regionale 12457, sono subito deluse. Il treno è già pieno, non si può entrare, ma quelli come me che devono per forza prendere quel treno, altrimenti perdono la coincidenza per proseguire, spingendo e sgomitando riescono ad entrare e guadagnare un posto in corridoio.
Il viaggio è appena cominciato e a Giovinazzo il treno è già stracolmo, i passeggeri rimangono quasi tutti a terra, a Santo Spirito e Palese si ferma solo per far scendere qualcuno ma riparte subito lasciando a terra studenti che arriveranno puntualmente in ritardo a scuola, sono quasi tutti miei alunni.
In treno prosegue per Bari a velocità ridotta perché il macchinista è consapevole delle responsabilità che ha, insieme al capotreno, nel far viaggiare quel treno con circa 600 persone in 4 carrozze che si tengono in piedi solo perché pigiate una all’altra e senza maniglie per aggrapparsi in caso di frenata brusca.
Siamo a pochi minuti dalla stazione centrale di Bari e una giovane studendessa comincia a sentirsi male, pallida in viso e livida nelle labbra, reclama ossigeno che nel frattempo nelle carrozze è esaurito.
Per fortuna il treno è in stazione, appena in tempo, per aprire quelle poche finestre  apribili per ossigenare la malcapitata ed evitare il peggio.
Ma l’avventura non è ancora conclusa; appena il treno è fermo, i 150 passeggeri dell’ultima carrozza (questa è la stima fatta, ma in difetto) sono riusciti a guadagnare l’uscita e il marciapiede solo dopo 10 minuti perché era bloccata una delle due porte dell’ultima carrozza.
Questo è il diario di bordo del treno Molfetta–Bari (Mola) del 3.11.2010, non un racconto di fantasia, ma è la storia, ordinaria, quotidiana di centinaia di pendolari che viaggiano ancora come viaggiavano 20 anni fa.
Le tariffe aumentano e il servizio peggiora; è possibile nel 2010, pur pagando il servizio, viaggiare come bestie mandate al macello?  Quelle viaggiano con più spazio e aria, e con tutto il rispetto per le bestie, credo che i cittadini meriterebbero di più. Non so se prendermela con il Governo o con l’assessore regionale alla mobilità Guglielmo Minervini; forse sarebbe il caso che l’assessore abbandonasse qualche volta le auto, più o meno “blu”, e viaggiasse con noi prima di decidere di aumentare gli abbonamenti.

La città che vorrei? No, il centrosinistra che vorrei

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di Matteo d'Ingeo

Una via di mezzo tra gli elenchi di “Vieni via con me” e la lettera a san Nicola …
 
Vorrei un centrosinistra deciso a sconfiggere la nostra destra, “sinistra” e arrogante, che abbiamo, purtroppo, già battuto nel ‘94, senza ricorrere all’ormai tipico “vogliamoci tutti bene ora” per battere il nemico comune;
vorrei un centrosinistra proiettato interamente in un’operazione di rinascimento etico per questa città, in cui ognuno deve fare la sua parte, senza perdere di vista gli oltre sedicimila elettori astensionisti che potrebbero fare la differenza;
vorrei un centrosinistra deciso a giocarsi la partita finale mettendo in campo il meglio di sé; il meglio delle intelligenze, delle professionalità e delle energie che questa nostra città, offesa e martoriata da gente senza scrupoli, arrogante e affarista, ha ancora da offrire e mettere in gioco; fuori gli indagati, i condannati anche in primo grado, gli affaristi, i collusi e i professionisti della politica; fuori anche chi indirettamente ha conflitti d’interesse familiari e non può sentirsi libero nella propria azione politica quotidiana;
vorrei un centrosinistra in cui chi ha avuto in passato, responsabilità dirette di governo della città, si metta da parte mettendo a disposizione solo le proprie competenze;
vorrei un centrosinistra che non abbia alcuna presenza ambigua e ingombrante con casacche buone per ogni stagione;
 – vorrei un centrosinistra che dica qualcosa sulle mafie di questa città, che avvii una riflessione seria sull’omicidio Carnicella, che si costituisca parte civile nei processi della criminalità di “casa nostra” e per quelli per  voto di scambio, che si pronunci sulla condanna di Pino Amato, personaggio creato dal centrosinistra molfettese;
vorrei un centrosinistra che si esprima chiaramente sulle ultime vicende giudiziarie che ha visto condannato in primo grado il presidente della cooperativa edilizia Antares, l’Ing.Sallustio, delle altre cooperative edilizie e della truffa del consorzio Meral;
vorrei un centrosinistra che si esprima pubblicamente sulla vicenda Powerflor; vorrei sapere il perché del silenzio di certa sinistra sulla vicenda della famiglia Ciccolella spa, vorrei sapere chi è favorevole a quella centrale elettrica e ad altre previste nella zona ASI;
vorrei un centrosinistra convinto nel dire no alle centrali nucleari, non solo nella nostra regione ma su tutto il territorio nazionale; che dica no all’erosione del territorio agricolo per far spazio a “coltivazioni” di pannelli fotovoltaici;
vorrei un centrosinistra che dica sì alle fonti di energia rinnovabili ma compatibili e rispettose del territorio; che dica un no convinto alla privatizzazione dell’acqua;
vorrei un centrosinistra distante dalle lobby imprenditoriali che stanno macchiando ancor più di quanto lo faccia la cattiva amministrazione Azzollini, e mi riferisco alla Ciccolella spa con il suo amministratore delegato Corrado Ciccolella indagato per associazione a delinquere e bancarotta fraudolenta e alla Migro Ingross Levante con il suo amministratore Renzo Amato;
vorrei un centrosinistra che non perda tempo a discutere dell’isola felice del “corso Umberto che vorrei” ma che denunci la colonizzazione del nostro territorio da parte della finanza del nord e bresciana che ha distrutto la nostra economia; che denunci l’occupazione del nostro territorio da parte del commercio cinese, dei Compro oro”, delle decine e decine di spacci di negozi ex “Millelire”; l’operazione “Gibbanza” in questo caso potrebbe essere d’aiuto per capire;
vorrei un centrosinistra che per realizzare tutto questo abbandoni l’autoreferenzialità, apra il recinto delle sigle dei partiti per farci entrare i movimenti, le associazioni, i comitati e quant’altro di buono sia presente sul territorio, abbandoni i tavoli che creano la maggioranza politica numerica fine a se stessa, esca fuori dagli studi professionali e si apra a questa bella città che nonostante tutto noi amiamo ancora.

 – vorrei un nuovo centrosinistra che….

Eolico, la Consulta cancella regolamento della Regione Puglia

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di Massimiliano Scagliarini – lagazzettadelmezzogiorno

Da ieri in Puglia le autorizzazioni uniche per gli impianti eolici tornano ad essere regolate dalla sola legge nazionale. La Corte Costituzionale ha infatti cancellato una norma del bilancio per il 2008 e, di conseguenza, anche l’intero regolamento regionale 16/2006. Scompaiono i piani regolatori per gli impianti eolici, viene abolita la valutazione ambientale comparativa, sono stati cancellati tutti i limiti di tutela introdotti dalla Regione con quel regolamento: la Puglia – ha detto la Consulta (sentenza 344/2010, relatore Saulle) – non aveva titolo per manomettere la normativa nazionale di settore. La pronuncia, prevedibile, ha però conseguenze disastrose perché nel 2007 la Regione decise di dare dignità di legge al regolamento, condannandolo così a morte certa. 

L’assessore regionale all’Ambiente, Lorenzo Nicastro – che non ha responsabilità dirette: la paternità del regolamento è del predecessore Michele Losappio – dice di «non essere particolarmente preoccupato», in quanto quel regolamento è «ad oggi superato dalla recente regolamentazione nazionale», ovvero dalle linee guida ministeriali del 10 settembre. Il problema, infatti, è per tutte le domande presentate da ottobre 2006 a settembre 2010 e respinte dalla Regione in base ad un regolamento che non esiste più: tutti i ricorsi al Tar dei privati (più di 50 quelli pendenti a Bari) saranno ora automaticamente accolti. E senza voler considerare, naturalmente, le inevitabili richieste di danni. 

Il regolamento 16 del 4 ottobre 2006 è già stato oggetto di varie pronunce, sia di legittimità che di merito. Nel 2007, per vincere il contenzioso amministrativo con Agrozootecnica Franchini, il consulente legislativo Mimmo Clarizio, con l’assenso del dirigente di settore Antonello Antonicelli, suggerì di legificare il regolamento: e così, nella legge di bilancio per il 2008 (legge 40/2007), all’articolo 3, comma 16 è stata inserita una normetta secondo cui «la realizzazione dei parchi eolici è disciplinata dalle direttive di cui al regolamento regionale 4 ottobre 2006, n. 16». Ed ecco che la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tar di Bari, che avrebbe potuto essere limitata a soli due articoli del regolamento (il 10, che riguarda i criteri per la relazione di impatto ambientale, e due commi dell’articolo 14 che contiene le disposizioni transitorie) ha finito per trascinare nel baratro il richiamo all’intero corpo regolamentare. Un autogol clamoroso. 

Quest’anno la Consulta si è già occupata dell’eolico, stabilendo (sentenza 171) che la Puglia non ha competenza sull’eolico in mare. E cancellando poi anche due articoli della legge 31/2008: la possibilità di realizzare impianti con Dia oltre i limiti previsti dalla legge nazionale e i divieti alla localizzazione degli impianti in aree protette. Un punto, quest’ultimo, toccato dalla Consulta anche stavolta: la Regione – hanno ribadito i giudici delle leggi – non può occuparsi di questioni ambientali, demandate in questo caso alla Conferenza Unificata. I paletti all’autorizzazione unica inseriti nel regolamento (ad esempio il piano regolatore dell’eolico, o l’obbligo di esame congiunto di tutti i progetti che insistono sulla stessa area), oltre a invadere la competenza statale, secondo la Consulta manomettono i «canoni di semplificazione» cui si ispira il Dlgs 387/2003. In altre parole: le Regioni non possono limitare la proliferazione dell’energia eolica ponendo ostacoli alle procedure. 

Ma il presidente del consiglio regionale, Onofrio Introna, nella passata legislatura assessore all’Ambiente, giudica comunque utile l’aver emanato il regolamento 16. «Ha sin qui garantito – dice – la tutela del territorio e del paesaggio, pur sapendo che si trattava di una sorta di forzatura nei confronti del governo nazionale, che dal 2003 si era impegnato ad approvare linee guida arrivate solo a settembre 2010». Adesso, annuncia Introna, la Puglia correrà i ripari con le nuove linee guida regionali: «Sono già pronte, saranno recepite dalla giunta fin dalla prossima settimana. Il consiglio farà la propria parte per consentire un percorso sollecito al provvedimento». 

A proposito. Qualche giorno fa l’ingegner Antonicelli è stato nominato direttore dell’area Ambiente, mantenendo anche l’interim del settore Ecologia. L’incarico di consulenza legislativa dell’avvocato Clarizio è invece terminato il 31 dicembre 2009. 

Mafie: quello che Maroni non dice

maroni-savianodi Lorenzo Frigerio   LiberaInformazione 

Dopo una settimana di alta tensione e di continui richiami alla necessità di garantire il giusto contradditorio al Governo, a seguito delle presunte accuse di collusione con la ‘ndrangheta al Nord rivolte da Roberto Saviano alla Lega, lunedì sera il ministro dell’Interno Roberto Maroni è approdato finalmente negli studi di “Vieni via con me”. Qui ha potuto ripetere, seguendo il format della fortunata trasmissione, cioè la lettura di un elenco, quello che è andato ripetendo per una settimana dai teleschermi di tutte le trasmissioni possibili immaginabili a marchio RAI e Mediaset. Ci saremmo aspettati uno spunto di novità, un qualche elemento peculiare che spiegasse a tutti gli italiani perché, dopo sette giorni passati nella trincea televisiva, il ministro leghista aveva chiesto a gran voce una sorta di riparazione al duo Fazio-Saviano. E invece niente, o meglio, tutto, stando all’impostazione data da Maroni al suo intervento: una lista di successi nella lotta alle mafie che – è sottinteso ovviamente – fanno di lui il miglior ministro degli Interni mai avuto prima e del Governo in carica il migliore in assoluto della storia repubblicana. 

Certo, difficile eccepire su quanto riportato da Maroni, ma noi di Libera Informazione ci proviamo lo stesso, a garanzia di quel contraddittorio mancato ieri sera.  È vero, signor ministro: le mafie si combattono arrestando i superlatitanti – 28 quelli presi finora e all’appello mancano solo Michele Zagaria e Matteo Messina Denaro – ed è legittimo il suo orgoglio, soprattutto quando arriva dopo il necessario e non scontato ringraziamento a magistratura e forze dell’ordine. È vero, signor ministro: le mafie si combattono sequestrando gli ingenti patrimoni dei boss e delle cosche – 35.000 beni per un valore di circa 18 miliardi di euro – che tolgono ricchezza e sviluppo a larga parte del territorio italiano.
È vero, signor ministro: le mafie si combattono contrastandone l’insediamento sul territorio ed è bene che si ricordi – come ha fatto lei stesso ieri sera – che la ‘ndrangheta è presente da tre decenni al nord e che il piano straordinario di lotta alle mafie deve andare nella direzione di perseguire uomini e affari delle famiglie mafiose.

È vero, signor ministro: le mafie si combattono rendendo le istituzioni locali impermeabili alle lusinghe mafiose. Lei giudica offensivo e ingiusto sostenere che la ‘ndrangheta interloquisca con la Lega e a supporto cita le tante operazioni antimafia – Cerberus, Parco Sud, Crimine, Infinito – portate a termine dalla DDA milanese senza che un esponente leghista finisse in manette. È vero, signor ministro: le mafie si combattono eliminando gli squilibri tra nord e sud del Paese e per ciò chiama in causa Salvemini, per ribadire che il federalismo è l’unica soluzione per la questione meridionale. È vero, signor ministro: battere le mafie passa da qui, da tutto quello che lei ha elencato ma anche e soprattutto da tutto quello che lei ha dimenticato, ci auguriamo almeno inconsapevolmente.

Le mafie si combattono, sicuramente catturando i latitanti, ma facendo in modo che la magistratura e le forze dell’ordine siano messe in condizione di lavorare meglio. Perché, se tutti questi successi arrivano oggi, pur in carenza di risorse, pensiamo a cosa succederebbe se le poste di bilancio per il funzionamento dei comparti della sicurezza e della giustizia fossero all’altezza di un paese civile. Non dovremmo vedere magistrati portarsi in tribunale la carta per le fotocopie o i poliziotti pagare di tasca propria la benzina per pedinare un mafioso. E forse si potrebbe davvero scrivere la parola “fine” al potere delle mafie.

Le mafie si combattono, sicuramente catturando i latitanti, ma facendo in modo anche che la carriera criminale non sia l’unica alternativa praticabile alla disoccupazione, al sud come al nord. Se invece l’aspettativa massima per un adolescente è finire in televisione, si comprende purtroppo come ogni mezzo diventi lecito, compresa l’illegalità e il reato. Le mafie si combattono, sicuramente sequestrando i patrimoni alle mafie, ma distinguendo tra quanto viene sequestrato e quanto viene realmente confiscato e non si perde nei meandri della burocrazia. Se non si vuole fare solo propaganda, occorre spiegare ai cittadini che l’iter che porta alla confisca è lungo e per nulla scontato. Le mafie si combattono, sicuramente sequestrando i patrimoni alle mafie, ma facendo in modo che tutte queste  ingenti ricchezze finiscano alla collettività, grazie all’uso istituzionale e/o sociale dei beni sottratti alle cosche. 
Le mafie si combattono, sicuramente sequestrando i patrimoni alle mafie, ma rendendo operativa l’Agenzia creata appositamente con una dotazione di risorse e di competenze all’altezza della sfida, che è culturale, politica ed economica.

Le mafie si combattono, sicuramente sequestrando i patrimoni alle mafie, ma anche impedendo che i proventi di corruzione e collusione e gli investimenti delle mafie droghino l’economia legale. Un provvedimento come quello approvato dal Governo per il cosiddetto “scudo fiscale” non aiuta nella lotta alle mafie, anzi produce l’effetto contrario. Le mafie si combattono, sicuramente contrastandone l’insediamento sul territorio, ma a tutti i livelli, quello politico compreso, senza che si sbandierino patenti di aprioristica diversità da parte di questo o di quel partito. Da questo punto di vista, il riconoscimento della presenza della ‘ndrangheta al nord è una precondizione a qualsiasi tipo di bonifica sociale, economica, politica. Le mafie, infatti, da sempre, cercano costantemente il rapporto con chi comanda, con la politica, senza badare ai colori e agli schieramenti; viceversa sarebbero una banda di rapinatori o spacciatori, un problema di ordine pubblico come tanti altri. 

E il ministro non si deve risentire, se nelle carte processuali da lui citate è finito anche Angelo Ciocca, un consigliere leghista eletto in Regione Lombardia che, pur non essendo allo stato indagato, è stato ripreso in compagnia di un avvocato in odore di mafia, tale Pino Neri. Le mafie si combattono, sicuramente rendendo le istituzioni locali impermeabili, ma lo si deve fare distinguendo il giudizio politico da quello giudiziario. Se veramente si vuole evitare che la magistratura faccia politica, la politica non aspetti la Cassazione per isolare i suoi rappresentanti che hanno relazioni che sono già discutibili per un normale padre di famiglia…
E il ministro Maroni ci spieghi la coerenza con quanto dichiarato ieri sera con la scelta tenuta in Parlamento dal suo partito, che ha votato contro l’utilizzo delle intercettazioni nel caso Cosentino. 

Le mafie si combattono, sicuramente eliminando gli squilibri tra nord e sud, ma la risposta federalista, in una condizione come quella attuale, sembra più la traduzione in legge dell’aspirazione leghista a lasciare il sud del Paese al proprio destino. Ricordiamoci, infatti, delle parole del professor Miglio, per anni ideologo della Lega che diceva: “Io sono per il mantenimento anche della mafia e della ‘ndrangheta. Alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate”.
Le mafie si combattono, infine, signor ministro, aiutando i cittadini a collaborare con la giustizia, sostenendo gli imprenditori nella denuncia del racket delle estorsioni, ribadendo a gran voce che non sono consentiti rapporti di alcun genere tra politica e mafia.

Come si concilia “l’antimafia del fare” da lei sostenuta con il fatto che quest’estate il ministro Bossi, leader del suo partito, ha dichiarato di non essere riuscito ad aprire una sede della Lega in Calabria per la presenza della ‘ndrangheta? Ha denunciato il ministro Bossi quanto accaduto ad un magistrato della Repubblica oltre che ai giornali? Come si concilia “l’antimafia del fare” da lei sostenuta con il fatto che il presidente del Consiglio dei Ministri, quando era un imprenditore in ascesa, ha pagato il pizzo per due decenni alle cosche palermitane, per il tramite di un suo collaboratore, oggi senatore della Repubblica?

Questo è solo parte di quel contraddittorio che ieri sera è mancato, di fronte alla lettura dei successi incontrovertibili di questo Governo. Siamo purtroppo quasi certi che nessuno scriverà al Presidente Napolitano o ai vertici della RAI per lamentare l’assenza di un simile contraddittorio.   

Rapine a raffica contro i tabaccai; emergenza, convocati in questura

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Un nuovo esercizio commerciale a Molfetta  (foto Liberatorio)

Il comitato per l'ordine e la sicurezza annuncia anche più controlli sulle attività di "compro oro". La richiesta agli esercenti di dotarsi di collegamenti informatici. 

di FRANCESCA RUSSI –  Repubblica Bari

Corso Vittorio Emanuele, via Trevisani, Via Pizzoli, via Principe Amedeo, via Andrea da Bari, via Giulio Petroni e via Catino. Non è solo un elenco di strade, ma la mappa di tutti i tabaccai di Bari finiti nel mirino dei rapinatori negli ultimi dieci giorni. Un'escalation pericolosa di colpi che ieri è stata al centro della riunione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza.


"Le rapine ai danni delle tabaccherie sono un fenomeno che ci preoccupa – spiega il prefetto di Bari Carlo Schilardiper questo dobbiamo elaborare un piano di controlli dettagliato. Come già fatto in passato per le farmacie, ci sarà una suddivisione precisa delle aree tra le forze dell'ordine per intensificare il pattugliamento in prossimità delle rivendite di tabacchi".

La città insomma sarà divisa in quadranti e spetterà a carabinieri e polizia presidiare le strade a rischio soprattutto nel tardo pomeriggio, orario preferito dai rapinatori per entrare in azione. Ma non è l'unica iniziativa che il prefetto ha intenzione di adottare.
 
"Dobbiamo chiedere alle tabaccherie di dotarsi di collegamenti informatici perché si possa agire, se non in flagranza di reato, almeno a livello investigativoincalza Schilardii commercianti devono capire che devono armarsi di tecnologie di videosorveglianza perché nelle rivendite si pagano anche le bollette e ormai c'è un flusso di danaro notevole. Le tabaccherie sono diventate dei veri e propri sportelli postali".

E proprio di sistemi di sicurezza oggi si discuterà nel vertice convocato in Questura. I rappresentati dei tabaccai baresi incontreranno questa mattina alle dieci il questore di Bari Giorgio Manari. Primo ed unico punto all'ordine del giorno l'allarme rapine. Da settembre ad oggi sono stati più di venti i colpi messi a segno, in due casi seguiti da violente aggressioni ai danni di titolari e clienti.
Ad agire sono quasi sempre minorenni: in tre o quattro fanno irruzione nei locali, minacciano i gestori con coltelli o pistole e si fanno consegnare gli incassi della giornata. Ragazzini terribili che si allenano nella palestra della criminalità. Le rapine infatti sono la prima tappa di un percorso criminale molto più lungo, un bigliettino da visita da presentare per poter entrare a pieno titolo nei clan.
Ieri sera a tarda ora l'ultimo colpo: i malviventi hanno preso di mira il supermercato "Sidis" a Palese che era pieno di clienti. Un bandito era all'esterno a fare il "palo", mentre il complice armato di pistola s'è fatto consegnare il denaro. Entrambi sono poi fuggiti in moto.

Altro allarme finito ieri mattina sul tavolo del comitato per l'ordine e la sicurezza è quello dei compro oro. Sono cento in tutto, secondo i dati della guardia di finanza, gli esercizi commerciali che acquistano gioielli in tutta la provincia. Un boom economico sospetto su cui gli investigatori vogliono vederci chiaro. È probabile infatti che dietro i compro oro ci sia un giro d'affari molto più ampio che nasconde attività illecite. Non è un caso che nei quartieri in cui hanno aperto negozi che commerciano oro e argento, ci sia stata un'impennata dei reati predatori del 70 per cento, soprattutto scippi e furti in appartamento.

Ed effettivamente, conferma il comandante provinciale della guardia di finanza, il generale Vito Straziota, ci sono già state delle denunce per ricettazione. A sollecitare l'intervento delle forze di polizia, dopo l'inchiesta di Repubblica, è stato anche il consiglio nazionale degli orafi che si è tenuto due settimane fa proprio nella camera di commercio di Bari.

"È un settore in cui troppo spesso si lascia spazio all'improvvisazione – aveva accusato il presidente nazionale della Federazione Dettaglianti Orafi, Giuseppe Aquilinochiediamo regole ad hoc".
Dalla Questura promettono adesso un giro di vite. "Svolgeremo un'attività sinergica tra polizia, carabinieri e guardia di finanza – spiega il questore Giorgio Manariintensificheremo i controlli passando al setaccio tutti i negozi per verificare il rispetto delle regole come la tenuta dei registri. Ma esiste poi un'attività a monte che consente lo screening dei compro oro: controlliamo i requisiti di chi chiede di aprire un negozio e consegniamo le licenze". 

MOLFETTA. Frodi fiscali: 142 rinvii a giudizio. Tra gli imputati il legale rappresentante della Ingross Levante

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Scritto da Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trani – (www.ilfatto.net/…)

Molfetta – La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trani ha richiesto in data 19/11/2010 il rinvio a giudizio di n. 142 persone imputate del reato di associazione a delinquere con sede in Molfetta finalizzata alla emissione di fatture soggettivamente inesistenti, alla dichiarazione dei redditi fraudolenta e alla omessa dichiarazione dei redditi.

 

Tra gli imputati figura il legale rappresentante della società p.a. di Molfetta (Bari) INGROSS LEVANTE -operante in tutta Italia con il noto marchio MIGRO CASH & CARRY attraverso una rete di n.11 centri di distribuzione di beni food e no food- per gli stessi fatti tratto in arresto nel luglio del 2005, unitamente ad altre n. 48 persone, dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Bari in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Trani su richiesta di questo Ufficio inquirente.

Il sistema di frode, scoperto grazie alle complesse investigazioni (intercettazioni telefoniche, attività di pedinamento, acquisizione di documentazione) della polizia giudiziaria poste in essere in conseguenza di una verifica fiscale avviata nel 2004 nei confronti della MIGRO, si sostanziava nel fare risultare cartolarmente come destinate a ditte estere operanti in paesi comunitari (Grecia, Spagna, Francia, Germania, Austria, Inghilterra e Portogallo) -sono state individuate circa n. 40 ditte fantasma appositamente create all’estero ma solo sulla carta- merci in realtà vendute dai vertici della INGROSS LEVANTE consapevolmente -come ritenuto dal Tribunale del Riesame di Bari in più ordinanze passate in giudicato- a cittadini italiani operanti in Campania e in Puglia e non all'estero.

In tal modo, tra il 1999 e il 2005, per un verso veniva omesso dalla MIGRO il pagamento dell’i.v.a. su quelle vendite (infatti, secondo la normativa comunitaria e le disposizioni fiscali nazionali, le cessioni di beni effettuate da società italiane all’ordine di imprese comunitarie consentono la fatturazione senza addebito dell’i.v.a. perché questa imposta deve essere versata nel paese di destinazione delle merci) per quasi 40 milioni di euro (emettendo fatture soggettivamente false per oltre 190 milioni di euro) e per altro verso gli acquirenti pugliesi e campani acquistavano le merci in nero rivendendole·poi a supermercati, a piccole imprese e a società italiane a prezzi notevolmente vantaggiosi.

Nelle indagini risultano coinvolti anche decine di autisti e di vettori (incaricati di carichi di merce solo fittiziamente destinata all'estero), oltre 100 imprese nazionali di autotrasporti (di cui almeno la metà completamente sconosciute al Fisco), mentre ulteriori 164 persone sono state denunziate per analoghi reati, secondo la rispettiva competenza, alle Procure di Napoli, di Nocera Inferiore e di Bari.

Migro: false fatturazioni, chiesti 142 rinvii a giudizio

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di g.d.b. –  LA REPUBBLICA

La Procura di Trani ha chiesto il rinvio a giudizio per 142 persone imputate del reato di associazione a delinquere finalizzate all' emissione di fatture inesistenti, alla dichiarazione dei redditi fraudolenta e alla omessa dichiarazione dei redditi. Tra gli imputati figura Oronzo Maria Amato, legale rappresentante della Migro cash & carry di Molfetta, colosso della distribuzione di prodotti food e no food.
Secondo l' accusa le vendite da Molfetta erano solo "simulate" perché la merce non usciva mai dai confini nazionali, e finiva "a nero" nei supermercati di Puglia e Campania.
E dunque l' Iva veniva in pratica evasa. L'inchiesta culminò il 5 luglio del 2005 nel blitz che portò all' arresto di 48 persone. All' epoca fu accertata una "maxi evasione fiscale" di oltre 40 milioni di iva, ma la commissione tributaria provinciale di Bari fu di avviso diverso sostenendo che il denaro non doveva essere riscosso dall' Agenzia delle entrate. 

Operazione Gibbanza: Quintavalle, i segreti nella pen drive tirati in ballo altri commercialisti

Tangenti per aggiustare le sentenze nei contenziosi tributari, il verbale d’interrogatorio del principale accusato depositato al Riesame: stretto riserbo sui nomi

di Mara Chiarelli – (www.bari.repubblica.it/…)

Una piccola chiave Usb, ma tanto capiente, rischia ora di inguaiare nuovi commercialisti baresi, che si vanno ad aggiungere a quelli già arrestati il 3 novembre scorso nell’operazione “Gibbanza”. La pen drive è stata scoperta e sequestrata dai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Bari nel vaso di una pianta, all’interno dell’abitazione di Oronzo detto “Sandro” Quintavalle, 53 anni, giudice della commissione tributaria regionale di Bari. 
Dopo averla esaminata, gli investigatori coordinati dal pm Isabella Ginefra, hanno accertato che conteneva un ricco archivio di sentenze, già scritte e pronte al deposito. E a prepararle, con esiti favorevoli ai ricorrenti amici, sarebbe stato un commercialista amico di Quintavalle, un nome che ancora non era emerso durante le indagini che hanno portato agli arresti. Il decreto di sequestro è stato depositato ieri in udienza, dinanzi ai giudici del riesame di Bari, dall’accusa prima che si discutessero i ricorsi presentati da alcuni degli arrestati tre settimane fa.
 
Con la scoperta dei file, si apre ora un nuovo filone di inchiesta, che si arricchisce tra l’altro delle dichiarazioni rese dallo stesso Quintavalle, interrogato per diverse ore sabato scorso. In un lungo verbale di 24 pagine, il giudice, vero e proprio perno dell’inchiesta, conferma i punti che sono alla base dell’ordinanza di custodia cautelare ma aggiunge nuovi spunti investigativi, facendo il nome di un segretario della commissione tributaria, capace di dare notizie utili sul deposito di atti. 
Ma non solo: il giudice, anche lui commercialista, ha fatto precisi riferimenti a un personaggio, abile quanto lui nel pilotare le sentenze da discutere nelle sezioni delle commissioni provinciale e regionale. Si tratta di una professionista, che come Quintavalle conosceva bene i protagonisti e i meccanismi dell’illecito sistema, incancrenitosi all’interno della tributaria. E che, dunque, avrebbe goduto di favori nell’assegnazione delle cause a giudici amici e, di conseguenza, nella pronuncia favorevole agli imprenditori amici. 

Gli arresti del 3 novembre, infatti, hanno svelato un intreccio finalizzato ad evitare che i titolari delle imprese, precedentemente sanzionati dalla Guardia di finanza, fossero costretti a pagare le multe salate. Quintavalle e soci avrebbero ricevuto in cambio consulenze e partecipazioni in collegi sindacali, denaro e regali di vario genere, dall’olio ai televisori. Oltre a Quintavalle, sono finiti in carcere i commercialisti Gianluca Guerrieri, di 50 anni, Michele Di Fonzo, di 49, e Franco Balducci, di 48. 
Ai domiciliari, invece, sono Sabino Romano, direttore della commissione provinciale, Elvira Bellomo, funzionaria della commissione regionale, Donato Radogna, commercialista e consigliere comunale barese, Paolo Centrone, Giuseppe Elefante, Leonardo Mariella, Francesco Della Corte e Giuseppe Signorile, tutti commercialisti, l’avvocato Alessandro Carbone (con studio a Castellana Grotte) gli imprenditori Angelo Piccininno, Giorgio Grimaldi ed Edmondo Caccuri (figlio di Franco), il funzionario di banca in pensione (nonché fratello del giudice), Sisto Quintavalle

Nelle prossime ore, i giudici del riesame decideranno sulle istanze presentate ieri, mentre altre posizioni saranno discusse giovedì prossimo dallo stesso collegio. A breve, infine, arriverà la pronuncia del gip Sergio Di Paola sulla richiesta di interdizione presentata dalla Procura nei confronti di altri cinque giudici coinvolti nella vicenda: i baresi Aldo D’Innella, magistrato in pensione di 72 anni, Francesco Ferrigni, di 70, Vittorio Masiello, di 73, Francesco Paolo Moliterni, materano di 67, e Giuseppe Savino, di 71, di Sammichele.

Dopo Dell’Utri anche Lombardo a Molfetta; gli uomini in “odore di mafia” sotto il patrocinio del sindaco Azzollini

berlusconi-dellutriSe si trattasse solo di uomini politici non ci sarebbe nulla di strano, ma quando due protagonisti della vita politica italiana hanno in comune la parola “mafia” l’evento diventa più interessante.
Marcello Dell’Utri è stato a Molfetta il 14 gennaio 2006 per inaugurare il “Circolo Giovani” molfettese insieme al nostro senatore Azzollini rimanendo a Molfetta per il weekend ed incontrando privatamente il nostro sindaco con alcuni suoi fedelissimi. Già allora Dell’Utri era indagato per concorso esterno in associazione mafiosa ed oggi condannato in via definitiva.
Il governatore Raffaele Lombardi, in questi giorni, è indagato dai giudici di Catania, insieme al fratello Angelo, di concorso esterno in associazione mafiosa e verrà a Molfetta come ospite d’onore in una manifestazione presso il cine-teatro Odeon in cui si presenterà il libro “Terroni” di Pino Aprile.

lombardo_cuffaroFin qui nulla di strano, ma la ciliegina finale sulla serata ce la offre Renzo Amato, responsabile de “La Città–Casa Editrice” e “ZonaFranca” organizzatrici della serata; entrambe le sigle fanno capo alla MIGRO-Ingross Levante s.p.a., coinvolta dal 2005 in una complessa indagine di evasione fiscale.
Secondo la Procura di Trani e la Guardia di finanzasi tratta di una delle più grandi evasioni fiscali della storia recente pugliese e italiana: 73 milioni di eurosottratti alle casse dello stato nel giro di cinque anni. Secondo la commissione tributaria provinciale di Bari, no: nel procedimento ci sono vizi procedurali e soprattutto la buona fede degli imprenditori, che hanno sì evaso, ma senza esserne consapevoli”; questo si leggeva su Repubblica del 15 marzo 2008.
 
“Secondo i magistrati che a luglio del 2005 arrivarono anche ad arrestare i vertici della Migro (Renzo e Marco Amato, rispettivamente amministratore unico e responsabile delle vendite della Ingross Levante spa, il colosso del "cash and carry" titolare del marchio con l' accusa di associazione per delinquere finalizzata all' emissione di fatture false, alla frode fiscale e all' evasione di Iva) l' azienda che aveva fondato fittiziamente decine di società fantasma con sede in tutta Europa.
L' organizzazione – sostiene il sostituto procuratore Giuseppe Maralfa– acquistava merci di ogni tipo in Italia. Poi, solo sulla carta, per non pagare l'imposta di valore aggiunto, distribuiva i prodotti alle fittizie aziende comunitarie messe su in Grecia, Spagna, Germania, Austria, Francia, Inghilterra e Portogallo. Ma la merce scontata, anziché finire a negozi e bancarelle della Ue, veniva piazzata in nero a supermercati e botteghe disseminati tra Puglia e Campania. Insomma, un mercato parallelo e clandestino realizzato per non pagare l'Iva”.
 
Questo avveniva nel 2005, invece oggi una nuova indagine sta cercando di  chiarire il perchè la commissione tributaria dava ragione ai presunti evasori.
 
“Nell'operazione della Guardia di Finanza, chiamata "Gibbanza", sono stati emessi provvedimenti restrittivi dal gip del Tribunale di Bari Sergio Di Paola su richiesta del pm inquirente, Isabella Ginefraper 17 dei 47 indagati. I reati contestati a vario titolo sono di corruzione continuata in atti giudiziari, falsità materiale e ideologica, frode processuale in concorso, riciclaggio, sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, responsabilità amministrativa degli enti.
Le indagini, condotte dalla Gdf e dalla Procura di Bari, hanno consentito di portare alla luce un sistema di corruzione, utilizzato per pilotare sentenze relative a processi tributari che erano scaturiti da verifiche fiscali effettuate dalla Guardia di Finanza. Un sistema che avrebbe garantito un esito favorevole ai contribuenti, causando un danno all'Erario per oltre 100 milioni.

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Sotto la lente degli investigatori è finita proprio la sentenza sulla Ingross Levante spa. Gli inquirenti hanno messo agli atti la sentenza e scavato nel presunto giro di tangenti versate dal commercialista Gianluca Guerrieri per ottenere dal giudice Oronzo Quintavalle quella sentenza favorevole” .
 
Così i coniugi Amato cercavano di aggiustare i loro processi: (Repubblica — 4 novembre 2010 )
Caffè e non solo, anche nello studio del commercialista Gianluca Guerrieri. Dall'altra parte della scrivania, l' 8 aprile 2009, ci sono i coniugi Amato, interessati al buon esito della vicenda relativa alla loro impresa, Ingross Levante, di Molfetta. Una sentenza che, grazie all' intervento di Quintavalle, è a vantaggio degli imprenditori e che Guerrieri ben conosce, ancor prima che venga depositata. â€¨â€¨
Gianluca: «Va bene, va tutto bene».

Renzo Amato: «Fai tu, ma comunque, o bene. .. due sono le ipotesi. .. o va bene o va meglio».

Guerrieri: «Direi che va meglio. È andata bene, per telefono non ti potevo dire nulla… Perché non me l' hanno ancora depositata».


Guerrieri non mostra loro il file della sentenza, stranamente in memoria sul pc, e il nome del giudice (Quintavalle).


Renzo Amato.: «Questo è il giudice».
Guerrieri: «Si spiega tutto».

Passano poi ai commenti sulla controparte.


Renzo Amato: «Questa gente qua, sono dei cani… bastardi… così abominevoli che non mollano la presa… anche se te la devono venire a dare.

Guerrieri: Guarda, su questa cosa adesso ci sarà ancora particolare attenzione perché hanno preso una mazzata, in primo grado, pesante”.
 
Basterebbe solo questa cronaca dei fatti per chiedere al sindaco Azzollini di ritirare il patrocinio del Comune di Molfetta alla rassegna voluta da Renzo Amato e intitolata “ Premio Agorà”.
Vorremmo dare un consiglio anche a Renato De Scisciolo, responsabile dell’Assoc. Antiracketche in una intervista apparsa nell’ultimo numero de “il Fatto” di Molfetta, continua ad affermare che a Molfetta “non esistela criminalità e che il fenomeno è solo fisiologico, tipico di una città in sviluppo”.
Farebbe bene anche lui a ritirare la firma della sua associazione dall’organizzazione del “Premio Agorà” con una dichiarazione pubblica e di fare una ricerca approfondita sul significato di “criminalità” e “mafia”.