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PERCHE'?

Ieri mattina mentre era ancora in corso l'operazione "LE MANI SULLA CITTA' " la Gazzetta del Mezzogiorno riportava la nota da noi inviata agli organi di stampa nei giorni scorsi; stranamente però l'articolo firmato da Antonello Norscia e non dalla corrispondente locale era ospitato sulla pagina di Bitonto.
Sarebbe interessante capirne il perchè.

artic gazzetta 23.6.2011001

Professione reporter. Intervista a Giorgio Fornoni

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di 
Mariagloria Fontana – repubblica.it/micromega-online

Ha viaggiato in tutto il mondo realizzando dal 1993 al 2010 più di cento inchieste e videoreportage, documentando guerre, violazioni dei diritti civili e incontrando personaggi di spicco. Nato ad Ardesio dove vive e lavora (ha uno studio da commercialista), nel 1999 Milena Gabanelli lo 'scopre' attraverso il suo straordinario 'materiale', fino ad allora inedito. Inizia così una proficua collaborazione con la trasmissione “Report” di Raitre. Il suo primo libro, accompagnato da un dvd, si intitola “Ai confini del mondo” e racchiude le esperienze giornalistiche (im)possibili di un uomo 'comune'.

LEGGI UN ESTRATTO   Giorgio Fornoni intervista Anna Politkovskaja
 

Chi la conosce sostiene che il suo giornalismo sia 'mistico'. Trova confacente questa definizione?
Ho avuto la fortuna di potermi occupare di ciò che più mi stava più a cuore, vale a dire: tematiche sociali ed ambientali. Quando ho realizzato l'inchiesta sulla pena di morte nel mondo per 'Report' mi sono sentito preso da una sorta di viaggio mistico. Indagare sulla sofferenza dell'uomo che procura altra sofferenza è un'esperienza inenarrabile. Grigorij Pomeranc (intervistato da Fornoni nel 2007, nda) dice che il male non è percepito dall'uomo medio e per citare De André: “per tutti il dolore degli altri è dolore a metà” (tratto dalla canzone “Disamistade”, nda). Penso che sia arrivato il momento della cultura, il momento in cui l'uomo debba ridare un messaggio di vita e non di distruzione. Non so se questo mio modo di fare giornalismo sia 'mistico', ma voglio stare un po' più in là in questa vita. Ciò significa andare alla ricerca della verità dei fatti e raccontare quello che vedo.

Come nasce la voglia di viaggiare in giro per il mondo e di documentare situazioni pericolosissime?
Quand'ero giovane volevo diventare un missionario. Quindi, a undici anni, andai in collegio grazie ad un prete comboniano che conoscevo. Dopo quaranta giorni, mio padre, al quale mancava suo figlio, venne a riprendermi. Dopo tutti questi anni, posso dire che fece la cosa giusta. Successivamente ho lavorato come garzone di bottega per ben dodici ore e mezza al giorno ed è stato così fino all'età di diciotto anni. Quando finalmente capii che non volevo continuare a fare quella vita, mi rimisi a studiare. Di giorno lavoravo e di sera frequentavo la scuola. 

Poi cosa accadde?
Mi diplomai e mi iscrissi all'università. In seguito, aprii uno studio da commercialista che tutt'ora possiedo, ma che gestiscono per me delle persone fidate. Più il mio lavoro andava bene e più mi dava la possibilità di essere libero nelle scelte e nei viaggi che facevo. Intendo dire che non mi serviva pubblicare un pezzo o mandare in onda un mio filmato per vivere. La mia passione giornalistica era svincolata da tutto. Lo studio da commercialista mi ha sponsorizzato la vita. Ogni volta che partivo e che vedevo tutta quella sofferenza per me era come una “droga”. Ma dove c'era sofferenza c'era anche tanta dignità. 

Ha un ricordo in particolare? 
Sì, nel 1994 all'ospedale militare di Preah ket in Cambogia. Mi tornano in mente i giovani soldati mandati a combattere i khmer rossi. Ricordo le immagini di questi uomini terribilmente mutilati e sofferenti, ma pronti a tornare a sorridere. 

A quando risale il suo primo 'incontro' significativo da un punto di vista giornalistico?
Nel 1993 arrivai in Angola e riuscii ad intervistare Jonas Savimbi (politico e guerrigliero angolano, è stato il leader del movimento UNITA-Unità Nazionale per l'indipendenza totale dell'Angola, nda), nemmeno la Cnn e la Bbc erano riuscite ad ottenere una sua intervista. Documentai i brogli elettorali successivi alle elezioni presidenziali del 1992 e che ufficialmente decretarono la vittoria di Dos Santos. Migliaia di schede con la preferenza per Savimbi e l'UNITA erano state nascoste e, volutamente, non conteggiate. 

Eppure, nonostante fosse un'esclusiva mondiale, nessuno pubblicò la sua intervista. 
Sì, allora non ero conosciuto e pur avendo un'esclusiva del genere nessuno la volle. La proposi a diverse testate nazionali, ma non se ne fece nulla. 

Quando intervistò Anna Politkovskaja le chiese se avesse paura. Ora io lo chiedo a lei.
Nel mezzo dell’azione si ha paura, però o vai avanti o torni indietro. Vorrei ricordare Anna Politkovskaja. L’incontro con lei non fu casuale. Stavo cercando la voce più credibile, la giornalista più attendibile ed era lei. La Politkovskaja dava voce ai civili ceceni e anche ai terroristi ceceni, che erano l’altra parte di un conflitto interno nel quale l’Europa si dimenticò di intervenire. Nessuno ha fermato il genocidio di massa. La Politkovskaja mi disse che scriveva quello che vedeva ed era l’unica ‘regola’ alla quale doveva attenersi un giornalista. Invece, ci sono tanti, troppi giornalisti che scrivono senza nemmeno andare sul posto. È necessario scrivere quel che si vede perché solo stando sul campo puoi trasporre nel tuo pezzo ciò che hai provato a contatto con quella gente. Per questo motivo devi essere lì dove accadono gli avvenimenti. 

Cosa pensa dei giornalisti ‘embedded’?
Una delle numerose volte che sono tornato in Cecenia sono stato nei carri armati con i soldati russi, è stata un’esperienza molto breve, ma l'ho fatto per avere anche un’altra prospettiva. A parte questa eccezione, ritengo che sia giusto stare sempre in mezzo alla gente. È necessario capire i guerriglieri e i militari, ma è fondamentale stare dalla parte delle persone comuni che vivono la guerra sulla loro pelle. Solo stando in mezzo alla gente puoi raccogliere le storie vere. Per tornare alla Politkovskaja, anche lei tentava di dare voce alla gente comune. La Politkovskaja è stata uccisa perché ha attaccato i poteri forti. Lei diceva: “paura o no, devo raccontare quello che vedo, questa è la mia professione”.

Che idea si è fatto del caso Wikileaks-JulianAssange?
Non mi stupisco per le rivelazioni di Wikileaks, anzi, ritengo che servirebbe molta più trasparenza. Se uno pensa solo all’interesse che c’è intorno al gas in Russia, viene la pelle d'oca. L’Eni, importatrice e produttrice, compra il gas, ma a quale prezzo? Sono tante le domande da farsi. In fondo, Wikileaks ha parlato del Presidente dell'Afghanistan Hamid Karzai, ma non di fatti determinanti. Bisognerebbe rivelare altro, raccontare dei reali interessi per i quali siamo in Afghanistan e di quelli che io chiamo ‘aerei di offesa’ e non di difesa. Si tratta di aerei da combattimento carichi di munizioni. Sono aerei che uccidono, ti uccidono i figli, i fratelli, i genitori, le mogli. Fanno vittime soprattutto tra i civili. Non definiamole “missioni di pace”. Non parliamo di difendere l’Afghanistan, non lo stiamo difendendo. Ho avuto la fortuna di essere a Kabul quando i talebani entravano e presidiavano la città nel 1996. Sono riuscito a filmarli, c'era una strana calma. Kabul era una città fantasma, quasi irreale. La guerra è anche una lunga attesa. Sono tornato più volte, nel 2001, dopo l’assassinio del generale Massud, e quando i talebani si sono ritirati, dopo che gli americani e gli inglesi sono entrati a Kabul.

Come reporter è tornato più volte in Cecenia durante la guerra. Cosa ne pensa dell’amicizia fra l’ex Presidente russo Vladimir Putin e il nostro Premier?
Non mi stupisce nemmeno questo. Perché ci sono cose che ignoriamo e che viaggiano sopra le nostre teste, ci tengono sotto scacco. Tutto sta cadendo nell’oblio, non si parla del mondo oscuro della Russia e del fatto che il governo sia gestito ancora dai servizi segreti. Il 67% dei deputati russi proviene dal Kgb. Ci sono troppi interessi in ballo.

Crede che ci sarà mai giustizia per Anna Politkovskaja e molti altri, fra giornalisti e operatori, uccisi mentre stavano svolgendo la loro professione?
Chissà… Comunque sono convinto che non si tratti di cercare giustizia, ma di avere più rispetto, più tutela per chi prende seriamente il proprio lavoro. Tutti quelli che raccontano la verità dovrebbero diventare 'intoccabili'. Ci sono ancora giornalisti veri, non quelli da scrivania. In Russia non è facile fare questo mestiere, perché se non è Putin, sono gli oligarchi che decidono, omettono, mistificano la verità. Lo avevo denunciato anche nella mia inchiesta sul gas. Il mio prossimo progetto sarà un'inchiesta sui giornalisti russi uccisi. Un lavoro difficile, perché dovrò entrare nelle maglie dell'ex Kgb, dell'attuale FSB, più in generale dei servizi segreti e del Cremlino. 

Quando torna dai suoi viaggi come fa a reinserirsi nella nostra ‘civilissima’ realtà?
Infatti, sento sempre il bisogno di disinfettare la mia 'ferita'. Mi è accaduto soprattutto dopo aver assistito alla pena di morte di un condannato attraverso un'iniezione letale. Mi rifugio in un eremo che mi sono costruito dopo che tornai dal Tibet e che ero scampato al dirottamento dell'aereo sul quale viaggiavo. Due volte all'anno lascio una parte di questo eremo a dei frati francescani che anni fa mi chiesero se potevo ospitarli.

Ha mai provato rancore nei confronti di chi ha avuto più fortuna di lei?
No, non faccio nulla per successo personale. In questo senso mi rappresenta bene la frase della Gabanelli che di me disse: “giornalista non per interesse giornalistico, ma per documentare le tragedie umane a se stesso”. Questo libro è nato dalla volontà del direttore editoriale di Chiarelettere che mi ha chiesto di raccontare la mia esperienza e, giunti alla mia età, ne sono contento. Gli uomini non dovrebbero nascere per le gratificazioni, ma semplicemente per vivere.

Con il suo 'misticismo', il giornalismo come vocazione e la sua lunga barba canuta mi ha ricordato un autorevole giornalista: Tiziano Terzani.
Ma scherza? No, non posso accettarlo. Mi lusinga, ma non reggo al paragone. Lui era coltissimo, coniugava la 'missione' per il giornalismo con un'eleganza, una professionalità e una cultura fuori dal comune.

Caso Ruby, lite in diretta Masi-Santoro

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www.repubblica.it

Scontro in diretta su Raidue tra Michele Santoro, conduttore di Annozero che stasera torna sul caso Ruby, e il direttore generale Mauro Masi. Dopo l'anteprima, in cui sono stati proposti stralci delle intercettazioni sulle feste di Arcore, Masi ha telefonato in trasmissione dissociarsi dall'impostazione della puntata. "Non sono mai intervenuto direttamente – ha esordito Masi al telefono rivolgendosi a Santoro – anche quando mi ha citato in diretta. Ma stavolta faccio un'eccezione. A tutela dell'azienda di cui sono direttore generale e che è anche la sua azienda, mi debbo dissociare nella maniera più chiara dal tipo di trasmissione che lei sta impostando, ad avviso mio e dei nostri legali in base al codice di autoregolamentazione sulla rappresentazione dei processi in tv, tema sollevato non più tardi di venerdì scorso anche dal presidente della Repubblica Napolitano".

IL VIDEO  DELLA LITE IN DIRETTA 1

Santoro, che aveva aperto la puntata prendendo le distanze dalla circolare di Masi sulla necessità di una partecipazione paritetica del pubblico rispetto alle posizioni degli ospiti, ha allora incalzato il dg chiedendogli se a suo avviso la trasmissione violasse le regole e dunque se volesse chiuderla. 


Per qualche minuto la trasmissione si trasforma in un duro botta e risposta in diretta fra i due: "lei – dice il conduttore – ci sta dicendo di non fare la trasmissione? lei si prende la responsabilità di fermare la trasmissione?". "Io non interrompo la trasmissione", dice Masi. "Allora ritira quello che ha detto, che violiamo le regole?". "Ho sempre garantito  – precisa il dg – che lei andasse in onda". "Noi stiamo violando regole? risponda", insiste Santoro. "Non sono io che lo debbo dire", frena Masi. "Allora quello che ha detto finora cos'era?", lo incalza il giornalista. Masi replica tornando alla dichiarazione iniziale ma corretta con il condizionale: "Dissocio me stesso e l'azienda da un tipo di trasmissione che potrebbe violare il codice di autoregolamentazione". "Ah potrebbe, anche lei potrebbe…", Lo ferma santoro. "Abbiamo capito com'è lei come direttore generale, buonanotte". "Buonanotte", scontro chiuso. 

Un intervento – ha spiegato Masi – "a tutela dell'azienda", ricordando che la trasmissione così com'era impostata potrebbe violare il codice di autoregolamentazione in materia di rappresentazione delle materie giudiziarie. "Non potevo fare altrimenti – ha poi commentato il Masi dopo l'intervento telefonico nella trasmissione – "perché avevo il dovere di difendere l'azienda dalle possibili conseguenze derivanti dalla violazione di quanto previsto dal Codice di autoregolamentazione. Negli ultimi mesi, e soprattutto negli ultimi giorni, ho più volte richiamato i responsabili editoriali al rigoroso rispetto di queste norme, peraltro richiamate qualche giorno fa dallo stesso Presidente della Repubblica. Ancora stasera, dopo aver preso visione della scaletta della trasmissione, avevo ribadito per iscritto al conduttore di 'Annozero' la preoccupazione per un taglio del programma che metteva al rischio l'azienda da nuove sanzioni, anche economiche". Per Masi "è arrivato il momento in cui ognuno deve assumersi le proprie responsabilità ed io mi sono assunto le mie, ripeto, a tutela dell'azienda e dei cittadini telespettatori". 
 
Il caso Sisto. L'esponente Pdl Francesco Paolo Sisto dice di non essere stato ammesso all'ultimo momento alla trasmissione. "Erò lì, in camerino, al trucco insieme alla Bindi, a Mieli e a Belpietro e mi dicono che non posso partecipare alla trasmissione…". In origine era prevista in trasmissione la presenza di Fabrizio Cicchitto. 

Le reazioni. Il Pd chiede le dimissioni di Masi. "Dopo l'intervento di stasera ad Annozero dovrebbe lasciare", dice Paolo Gentiloni. "Con una telefonata, iniziata con toni da censura golpista e conclusa con un balbettio da operetta, Masi conferma che non può continuare a guidare la Rai. Milioni di telespettatori hanno constatato l'assoluta inadeguatezza di un vertice ridotto a fare minacciose telefonate su commissione nei confronti del programma di informazione di punta della propria azienda".

Analoga richiesta arriva dal consigliere Rai Nizzo Nervo: "La telefonata preventiva in diretta ancora mancava nel repertorio delle direttive di questo Direttore generale. Invece di far dissociare l'azienda da Annozero, spero che presto Masi si dissoci da se stesso per avere ancora una volta dimostrato che non è in grado di guidare il servizio pubblico e che, prendendo coscienza della sua imperizia, tolga il disturbo".

"Quanto è avvenuto questa sera ad Annozero è gravissimo", dice il portavoce dell'Idv Leoluca Orlando. "La telefonata in diretta di Masi rappresenta un'intollerabile intromissione nel lavoro di Michele Santoro e della sua redazione". Per Donadi, sempre dell'Idv, il Direttore generale Rai "è un pessimo imitatore di Berlusconi".

Dal Pdl invece parte subito l'attacco a Santoro.  "Forse ha dimenticato che non è il padrone della Rai – dice il portavoce Capezzone -, ma qualcuno a cui il principesco stipendio è pagato con i soldi dei cittadini. Il modo in cui si è rivolto al direttore generale Masi e al pubblico fa pensare a una nuova Piazza Venezia. Negli anni Trenta c'era la radio, ora il balcone è televisivo. Stasera Annozero sta superando ogni limite".

Per Romani, che è ministro dello Sviluppo, "anche stasera Annozero ha superato ogni limite del decoro, della decenza e del rispetto della deontologia giornalistica".

Filtrano anche le parole del premier Berlusconi. Che si sarebbe detto "infuriato" dal comportamento del giornalista, avrebbe contestato la gestione della trasmissione considerata "vergognosa", e si sarebbe detto "infuriato" per il fatto che Santoro non avrebe fatto entrare in studio sessanta ragazzi simpatizzanti del centrodestra.
 
L'Usigrai: "Mai visto prima". "Mai prima alla Rai una cosa del genere e siamo certi neanche nello Zimbabwe. Il delirio di Masi ad 'Annozero' svela agli italiani il perchè del nostro referendum di sfiducia, che ha raggiunto percentuali in Italia sconosciute. Un kamikaze dell'azienda contro la sua stessa azienda davanti a tutti i suoi utenti". Lo afferma in una nota Carlo Verna, segretario nazionale dell'Usigrai.

Masi ribadisce: processo tv. A trasmissione finita arriva un'altra nota del dg, nella quale si legge: "Ribadisco che i processi si fanno in tribunale e non in tv è questo è un innegabile dato di civiltà prima che giuridico. E' indegna l'attività istruttoria parallela che svolgono taluni sulla televisione del servizio pubblico come se avessero ricevuto chissà quale delega dall'autorità giudiziaria che ancora una volta dovrà verificare l'attendibilità di un teste di accusa che anche questa sera ha rivelato in diretta televisiva fatti e circostanze oggetto di un procedimento penale ancora in fase di indagine preliminare"
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Zero tituli

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di Marco TravaglioIl Fatto Quotidiano di Sabato 28 Agosto 2010

[image[9].png] Ogni tanto, leggendo i dati sulla diffusione del nostro giornale, aumentata anche in agosto, ci domandiamo il perché. In fondo siamo in quattro gatti a fare un piccolo quotidiano ancora pieno di errori e ingenuità, tipici della minore età.
Poi però leggiamo altre gloriose testate e qualche perché salta fuori. L’altro giorno Mario Gerevini del Corriere della sera scopre che la società di famiglia di Corrado Passera, amministratore di Intesa San Paolo (prima banca italiana, azionista del Corriere), quello che l’altro giorno tuonava al Meeting di Rimini contro “la classe dirigente italiana che fa indignare”, ha fatto rientrare da Madeira, “zona franca al largo del Portogallo”, 10 milioni ivi parcheggiati dal 1999.
La notiziona è finita a pagina 35 del Corriere, che nelle pagine precedenti doveva pubblicarne di ben più importanti, tipo: “Negli Usa vendono zoo e parchimetri”, “Il tesoro svizzero di Duvalier” (l’ex dittatore di Haiti, mica l’amministratore della prima banca italiana), “Il Maradona d’Asia via per un bicchier d’acqua”, “La figlia di Cameron nasce in Cornovaglia”, “Vietato non assumere con Facebook”, “Paris Hilton segnala un ladro su Twitter”, “A Natale la tv 3D senza occhialini”, “Il personal trainer in ufficio contro lo stress da rientro”, “Se Wall Street cucina italiano”, “L’acqua fa dimagrire”, “L’altro finale di Alamo”, il cruciverba dell’estate. Al confronto, il Tg1 di Minzolingua pare quasi un telegiornale.

Secondo esempio: l’altroieri l’Espresso anticipa lo scoop di Lirio Abbate sulle nuove accuse di mafia lanciate da   Gaspare Spatuzza a Renato Schifani. Il quale, secondo il pentito ritenuto attendibile dalla Procura nazionale antimafia e da quelle di Firenze, Caltanissetta e Palermo, sarebbe stato l’ufficiale di collegamento tra i fratelli Graviano (mandanti delle stragi di via d’Amelio, Milano, Firenze e Roma) e il duo Berlusconi-Dell’Utri, prima di essere eletto senatore nel collegio di Corleone.
Naturalmente queste accuse vanno riscontrate, ma sono un’altra notiziona che finirebbe in prima pagina su tutti i giornali e nei titoli di tutti i tg in qualsiasi paese democratico. Dunque non in Italia. Infatti è stata totalmente ignorata da tutti i tg e campeggiava sulla prima pagina di un solo quotidiano: il nostro. Si dirà: gli altri l’avran data nelle pagine interne. Sì, buonanotte. A parte la Repubblica, che l’ha confinata in un articoletto a pagina 25, gli altri non le hanno dedicato mezza riga. Zero assoluto su Il Giornale e su Libero (e si capisce). Ma anche sulla Stampa.

E sul Corriere che, dopo aver riempito paginate con i finti scandali su Di Pietro e Fini (cucina Scavolini compresa), è in tutt’altre faccende affaccendato: sviolinate a Marchionne e a Napolitano (che peraltro, sul caso Melfi, dicono l’uno l’opposto dell’altro), una lettera di Stefania Craxi contro Tremonti che ha osato citare quel pericoloso incensurato di Berlinguer anziché il pregiudicato Bettino, il sorteggio di Champions League, il solito cruciverba dell’estate, la solita lettera di James Bondi. Che saranno mai, in una giornata così pregna di eventi epocali, le nuove accuse di mafia al presidente del Senato? Oltretutto,   riferendole, si finirebbe per dare ragione a quei pochi giornalisti che in questi anni han continuato a chiedere conto a Schifani di certe sue liaisons dangereuses, nel silenzio della grande stampa e dei politici di destra e di sinistra (la seconda carica dell’Antistato è attesa con tutti gli onori a Torino, alla festa nazionale del Pd). Anziché riprendere lo scoop dell’Espresso, il Pompiere preferisce anticipare quello ben più succulento di Panorama: il ministro Maroni, fotografato con una simpatica coppola in testa, intima alla mafia di “arrendersi”, mettendo fra l’altro in pericolo qualche prezioso alleato. Ma nessuno pensi che l’occultamento del caso Schifani sia censura o servilismo verso il Pdl. In attesa di tempi migliori, il Pompiere combatte B. con i messaggi subliminali. Ieri infatti pubblicava un succulento articolo sull’isola di Sant’Elena. Capìta la sottile metafora?

Disobbedienza civile

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di Roberto Morrione (www.liberainformazione.org/…)

Ci siamo e ci saremo. Libera Informazione è in prima linea nella battaglia in corso per far ritirare il disegno di legge sulle intercettazioni. E’ chiaro fin d’ora che, se la norma verrà approvata al termine dei percorsi fra le due Camere, senza che ne sia annullato totalmente il contenuto anticostituzionale e liberticida, riterremo obbligata la scelta della disobbedienza civile. Con il nostro impegno quotidiano, con gli stessi valori che ci hanno fatto nascere, quelli di una “informazione che è libera o non è”, siamo infatti ogni giorno parte attiva dello schieramento che combatte l’illegalità e la disuguaglianza di fronte alla legge. Una battaglia che vede finalmente schierati, al fianco dell’opposizione in Parlamento e dei nuovi dissensi sollevati da Fini all’interno della maggioranza, i giornali di ogni tendenza, come dimostra l’assemblea unitaria dei direttori della stampa italiana, i magistrati, i sindacati, le rappresentanze delle forze di polizia, gli editori, gli scrittori e gli artisti già colpiti pesantemente dalla dissennata politica culturale del governo, le associazioni del volontariato, numerose amministrazioni pubbliche. Fino ad arrivare a quella ostilità espressa a livello europeo e clamorosamente dall’amministrazione degli Stati Uniti, memore degli insegnamenti di Giovanni Falcone e del peso che l’efficace uso giudiziario delle intercettazioni da parte dei magistrati italiani ha nella lotta internazionale al crimine organizzato e al terrorismo. 

Una grande manifestazione nazionale che unisca in piazza tutte queste forze sociali, culturali e politiche, è a questo punto davvero urgente. 
L’obiettivo di fondo resta quello di far comprendere a quella larga parte degli italiani che hanno nelle televisioni dominate dal premier l’unica fonte d’informazione, come insegnano i notiziari ammaestrati e subalterni al potere del TG 1 di Minzolini, che respingere il disegno governativo non è solo difendere il diritto-dovere dei giornalisti sancito dalla Costituzione, ma soprattutto tutelare il diritto dei cittadini a conoscere la realtà in cui vivono, le illegalità dei ceti dirigenti, la corruzione dilagante, l’estensione dei crimini organizzati e comuni che minano la sicurezza di tutti. Un silenzio tombale, al di là dei gravissimi danni giudiziari, minerebbe le fondamenta della democrazia, impedendo agli italiani di giudicare i propri rappresentanti sotto il profilo morale e civile ancor prima che direttamente politico. L’anticamera dunque di una dittatura, che peraltro proprio nella soppressione della libertà di stampa ha avuto la base essenziale nella tragica storia del fascismo, come l’ha ancora ad altre latitudini. Se questo vale a ogni livello, ancor più ne sentiamo il dovere morale e civile a partire dalla memoria di chi ha perso la vita per difendere lo Stato contro la violenza e la prevaricazione delle mafie e il sistema di corruzione e contiguità di cui si sono avvalse e si avvalgono. 
Le centinaia di famiglie delle vittime che attendono ancora giustizia e verità per coloro, uomini e donne, caduti per mano mafiosa e interessi quasi sempre rimasti oscuri, come potrebbero avere ancora fiducia in uno Stato che, invece di onorare questo immenso debito morale, indebolisse per legge l’azione dei pubblici ministeri, le tante inchieste ancora aperte o possibili e insieme calasse per anni la scure del silenzio sulla stampa e i libri che attraverso le cronache e le analisi giudiziarie rappresentano l’unica possibilità di mantenere viva una memoria collettiva? Che speranze potrebbe avere per il futuro il padre dell’agente Agostino, massacrato con la moglie perché a Palermo dava la caccia ai latitanti di Cosa Nostra e, almeno secondo le recenti rivelazioni sul fallito attentato dell’Addaura, per avere salvato in quell’occasione la vita a Giovanni Falcone? Il padre attende da 21 anni la verità su chi gli uccise il figlio, a partire da quegli agenti segreti, traditori dello Stato, che ebbero un ruolo nella vicenda e la sua barba, che promise di non tagliare fino al raggiungimento della verità, è diventata lunga e bianca…Solo un esempio, ma che ci porta nel cuore del gravissimo intreccio di questa nuova legge con inchieste che cercano di fare luce, da Palermo a Caltanissetta, da Firenze a Milano, sulle stragi non solo mafiose, ma anche di “parti dello Stato” come è ormai certo, che insanguinarono la Sicilia e l’Italia fra il ’92 e il ’94, per poi cessare quando il panorama del Paese cambiò e un nuovo soggetto politico, Forza Italia (è ipocrita nascondersi dietro giri di parole) secondo le clamorose affermazioni di numerosi pentiti e testimoni di giustizia, trattò con la mafia per prendere il posto di antichi referenti. Uomini dei servizi, cioè dello Stato, avrebbero avuto ruoli centrali, anche se tuttora oscuri, in molti dei delitti “alti” compiuti da Cosa Nostra, passando per le stragi di Capaci e Via D’Amelio, proseguendo nelle trattative con i capi corleonesi, prima Riina, poi Provenzano, intersecando i sanguinosi attentati ai beni artistici a Firenze, Milano, Roma. 
Le nuove testimonianze del pentito Spatuzza e di Massimo Ciancimino, ritenuti a diverso titolo attendibili dalle Procure coinvolte, vanno decisamente in questa direzione. Negli ultimi giorni si sono succedute allarmate dichiarazioni del procuratore nazionale antimafia Grasso, di Walter Veltroni, di Carlo Azeglio Ciampi, mentre il Copasir presieduto da Massimo D’Alema ha aperto indagini per individuare gli agenti segreti “felloni”, sentendo i vertici dei servizi e il procuratore di Caltanissetta Lari. Il PDL, ovviamente, ha parlato di dietrologia “ideologica” a scopo propagandistico e ci si è chiesto, anche in settori di sinistra molto aggressivi nei confronti di Berlusconi e della sua politica, come il quotidiano “Il Fatto”, che valore possano avere testimonianze dal significato incerto, dopo anni e anni di silenzio della politica e di mancata verifica di denunce di queste complicità inutilmente emerse da magistrati inquirenti e addirittura in sentenze, oltrechè da numerose testimonianze di pentiti. Una posizione che certo va rispettata, ma che non condividiamo, per i ruoli istituzionali e le personalità di coloro che si sono così esposti pubblicamente, perché queste dichiarazioni non indeboliscono, ma avallano sia pure a posteriori le inquietanti ipotesi di trame “di Stato” emerse appunto con una certa sistematicità in sede giudiziaria e anche in numerose ricostruzioni giornalistiche e di documentati libri d’inchiesta. Che Ciampi racconti dettagliatamente la sua paura di un tentativo di golpe nel ’92, quando in concomitanza con l’attentato al Velabro a Roma si interruppero senza spiegazioni di alcun tipo tutte le comunicazioni con Palazzo Chigi, è un fatto e non una illazione…”Senza verità non c’è democrazia”, ha concluso Ciampi chiedendo che il parlamento si faccia carico di questo compito. Operazione davvero difficile di questi tempi, con la durissima battaglia aperta sulla Giustizia e l’informazione, ma ci associamo con convinzione.

No alla «legge bavaglio»

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Franco Siddi

di Gaetano Liardo (www.liberainformazione.org/…)

Erano presenti tutti i direttori delle principali testate giornalistiche italiane. Tutti o quasi: assenti Tg1, La 7 e direttori Mediaset. La riunione convocata ieri dalla FNSI per creare un fronte comune contro la legge bavaglio ha rappresentato un evento storico, quasi unico.  «Il nostro è un appello estremo al Parlamento»  –  dichiara Franco Siddi, segretario del sindacato dei giornalisti. «I testi del legislatore così come sono – aggiunge – non sono accettabili». Alla voce di Siddi fanno eco le dichiarazioni dei direttori, tutti concordi nel contrastare la legge. Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere della Sera, in collegamento dal Circolo della Stampa apre gli interventi: «il ddl Alfano sulle intercettazioni è pericoloso per la democrazia, non solo per la nostra categoria». «Lo scopo del ddl – continua De Bortoli –  non è di scongiurare gli abusi nella pubblicazione dei testi delle intercettazioni», ma, «esprime fastidio e insofferenza per la libertà di stampa». Gli eccessi, che in alcune circostanze si sono verificati, possono essere contrastati con l’applicazione del Codice Deontologico, dall’azione dell’Ordine dei Giornalisti, dal Garante per la Privacy, «le norme ci sono – quindi – basta solo applicarle».

 Da Roma prende la parola Mario Secchi, direttore de Il Tempo, che va giù lapidario: «la nostra è una battaglia di libertà. Il ddl è frutto di imperizia, ignoranza e malignità». La stampa, sottolinea Secchi, sta vivendo una situazione di crisi epocale. Inserire «norme estremamente punitive significa contribuire a scassare i bilanci delle società editrici». «Il mio no al ddl – conclude – è chiarissimo». 

Da Roma a Milano, Peter Gomez, in rappresentanza de Il Fatto Quotidiano: «dietro il ddl vediamo la volontà comune di impedire ai cittadini di conoscere per deliberare». «Se la legge venisse approvata – aggiunge – faremo disobbedienza civile», un invito a violare tutti insieme e ripetutamente questa legge.  A Roma la parola passa a Ezio Mauro, direttore di Repubblica: «questa è una legge sulla libertà di fare indagini utilizzando le intercettazioni come strumento di prova. E’ una legge che incide sul dovere dei giornalisti di informare e sul diritto dei cittadini di essere informati».

E’ possibile coniugare l’articolo 21 della Costituzione sulla libertà di informazione con l’articolo 15 che tutela la privacy? «Quello della privacy è un falso problema», per Mauro si possono immaginare delle udienze "filtro" in cui vengono stralciate le intercettazioni relative a persone terze non coinvolte nei procedimenti giudiziari. Deciso questo, il giornale che pubblicherà le intercettazioni stracciate andrà incontro a pene certe e severe.  Da Milano palesa la sua posizione, Vittorio Feltri, direttore de Il Giornale che sbotta: «mi auguro che la Corte Costituzionale bocci questa legge che lede il diritto dei cittadini di sapere ciò che accade nel nostro paese».

Sul piede di guerra il direttore di Sky Tg24, Emilio Chiarelli: «pretendiamo di esercitare il nostro diritto di fare informazione», annunciando che il suo editore è pronto a fare tutti i ricorsi possibili, in Italia e a livello europeo.  In campo anche il Sole 24 Ore  rappresentato da Alberto Orioli: «ci associamo nella battaglia contro una legge nata male, che ha lo scopo di limitare la libertà dei cittadini di essere informati».  Carlo Bollino, direttore de La Gazzetta del Mezzogiorno parla delle limitazioni previste anche per il web: «questo ddl minaccia la libertà di informazione anche dei cittadini che usano il web, con il rischio del carcere, clausole restrittive rivolte ai blog che sarebbero equiparati a testate giornalistiche».  Continuano gli interventi sulla legge bavaglio, tra Roma e Milano, La Stampa, il Manifesto, il Messaggero, l’Unità, Europa, Liberazione, l’Ansa, Asca, Dire, Rainews 24, il Tg2, il Tg3, La Nuova Sardegna, il Secolo d’Italia

Tutti, o quasi, i direttori italiani pronti a sfidare una legge bavaglio che con sanzioni e arresti vuole mettere a tacere l’informazione in Italia.  

 

 

 

Indifferenza civile

di Beppe Grillo (www.beppegrillo.it/…)

Il primo problema del Parlamento italiano è la Rete. Da anni vengono sfornati leggi, decreti, progetti, emendamenti per bloccarla. L’accanimento con cui Pdl e Pdmenoelle si occupano di Internet è impressionante. Nell’agenda dei problemi del Paese è prioritaria. L’ultimo attacco alla libertà di informazione e alla Rete è l’obbligo di rettifica nei siti entro 48 ore. I blog vengono equiparati ai giornali con multe di 12.000 euro per infrazione. Tutti i blog sono a rischio chiusura.
Altre volte il blog ha lanciato campagne contro la legge Levi/Prodi o contro la legge D’Alia con successo. Questa volta mi rifiuto. Approvino le leggi che vogliono. Ne pagheranno le conseguenze. Anzi, suggerisco al duo Berlusconi/Bersani di osare di più. Legiferare in modo risolutivo, tombale e chiudere Internet. Io non voglio mettermi a discutere ogni mese con degli idioti internettiani, farei la figura anch’io dell’idiota. Quindi, chiudete, filtrate, oscurate, hackerate. Fate il cazzo che vi pare. Sarete voi a pagarne le conseguenze perché chiudere l’ultima valvola di confronto democratico presenta dei rischi molto alti. La pentola a pressione può esplodere in anticipo.
Il blog comunque rimarrà indifferente alle leggi contro la Rete. Il blog continuerà fino a quando mi sarà possibile. Non è disubbidienza civile. Per disubbidire ci vogliono delle Autorità con la facoltà legittima di esercitare un pubblico potere e in questo Parlamento di condannati, di locatari di abitazioni regalate, di servi nominati dai partiti e non dai cittadini non vedo alcun principio di autorità. Quindi indifferenza civile, non disubbidienza civile, ma a viso aperto, pronto a pagarne le conseguenze. Fate pure 100 leggi al mese per chiudere la Rete, io non le applicherò e se faranno lo stesso i milioni di italiani che scrivono e comunicano in Rete, le vostre leggi diventeranno carta da cesso.

Breve e incompleto elenco delle leggi bipartisan contro la Rete.

Disegno di legge “Intercettazioni” (30/06/2008: Il testo di iniziativa governativa è presentato alla Camera)
Norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali. L’articolo 18 integra la legge sulla stampa aggiungendo i «siti informatici» tra i mezzi per cui è obbligatoria la rettifica entro 48 ore.

Decreto “Romani” (30/3/2010: pubblicato in Gazzetta Ufficiale con n. 44/2010)
In una prima versione sembrava introdurre obblighi di registrazione per chi produce contenuti video e dirette web anche a livello amatoriale su internet.

Disegno di legge S.1950 “Lauro” (26/1/2010: Assegnato alla Commissione Giustizia)
Contro chi istiga a commettere delitti contro l’incolumità delle persone o ne fa apologia, con aggravante nel caso di ricorso a comunicazione telefonica o telematica (internet e social network).

Decreto Ministeriale “Bondi” (30/12/2009: firmato il decreto)
Su tutti i supporti digitali viene applicato un sovrapprezzo
(il cosiddetto "equo compenso") per ripagare il diritto d’autore.

Progetto di legge C.881 “Pecorella Costa" (14/09/2009: Il testo è assegnato alla Comm. Giustizia)
Estende anche ai “siti internet aventi natura editoriale” le previsioni della Legge sulla stampa (47/1948) in materia di diffamazione.

Progetto di legge C.2455 "diritto all’oblio" (23/06/2009: Il testo è assegnato alla Comm. Giustizia)
Garantisce che le informazioni riguardanti i propri trascorsi giudiziari non siano più direttamente attingibili da chiunque.

Progetto di legge C.2195 “Carlucci” (12/03/2009: Il testo è assegnato alla Commissione trasporti)
Vieta di immettere in rete contenuti in forma anonima.

Emendamento D’Alia al Ddl S.773 C.2180 “decreto sicurezza” (29/04/2009 L’emendamento D’Alia è stato abrogato)
Reprime l’utilizzo di Internet per commettere reati di opinione come l’apologia di reato o l’istigazione a delinquere.

Progetto di legge C.2188 “Barbareschi” (12/02/2009: presentato il progetto di legge)
Argina la pirateria digitale promuovendo la costituzione di “piattaforme telematiche nazionali” di filesharing. Ai provider l’obbigo di rendicontare gli utilizzi da parte degli utenti.

Pdl C.1269 “Levi” (18/11/2008: Levi annuncia lo stralcio delle norme su Internet)
Fornisce definizioni equivoche di prodotto editoriale e di attività editoriale che hanno fatto pensare a un obbligo di riconoscimento e registrazione al Roc anche per i blog e i siti amatoriali.

Decreto “Pisanu” (30/12/2008: Il governo Berluconi proroga la validità al 31/12/2010)
Identifica chiunque utilizzi postazioni di accesso pubbliche a internet e di conservarne i dati di navigazione.

Decreto “Urbani” (21/05/2004: Convertito in legge )
Dedicato principalmente al finanziamento pubblico di attività cinematografiche e sportive, introduce nell’ordinamento sanzioni contro la pirateria musicale e cinematografica commessa per via telematica, mediante siti web o sistemi di file sharing.

Passaparola: Il trionfo del crimine

Testo:
Buongiorno a tutti,
lo so che a Pasquetta parlare di intercettazioni e giustizia è un po’ pesantuccio, ma è il caso di farlo perché stanno per perpetrare l’ennesimo colpo dei soliti noti, quindi credo che nel giro di un mese potremmo ritrovarci almeno in uno dei due rami del Parlamento approvata la controriforma delle intercettazioni telefoniche e ambientali, e quindi è il caso di prepararsi, sapere di che cosa si tratta. Perché naturalmente ce la venderanno come una norma che tutela la privacy dei cittadini, che li preserva dalle fughe di notizie, dalle diffamazioni, dalle violazioni del segreto e altre cazzate di questo genere. In realtà questa è una legge che, così com’è stata concepita, è fatta apposta per impedire che si facciano le intercettazioni telefoniche e si scoprano i colpevoli di alcuni reati; soltanto che per non scoprire i colpevoli, o alcuni colpevoli, di alcuni reati il rischio quello di non scoprire più i colpevoli di quasi tutti i reati, almeno quelli più complicati che oggi si scoprono grazie alle intercettazioni.

Da Mastella ad Alfano, passando per Napolitano (espandi | comprimi)

In questi giorni, il ministro Alfano si è detto disponibile a modificare la legge. Si è detto disponibile a modificare la legge ma, naturalmente, è una truffa, una presa per i fondelli, nel senso che questa legge potrà essere modificata in qualche virgola, in qualche aggettivo, purché rispetti gli ordini che ha impartito il Cavalier Silvio Berlusconi e cioè che non si devono più fare intercettazioni nei confronti di persone con le quali parla lui.

Quarto: procedimenti contro ignoti, quelli che dicevamo prima. Scopri il cadavere crivellato di colpi e non sai chi l’ha ucciso. Scopri un cadavere a pezzi e non sai chi l’ha ammazzato; oppure scopri la tua casa svaligiata, scopri una banca col caveau incenerito, cose di questo genere. Scopri un delitto e non sai chi è stato: delitto contro ignoti. L’indagine parte contro ignoti e non hai la più pallida idea. Pensate al cadavere della ragazza a Perugia, a casi in cui all’inizio si brancola nel buio.

Fine delle indagini (espandi | comprimi)
Indagini contro ignoti: oggi si fa l’intercettazione di tutte le persone che frequentano, parenti, amici, amanti, fidanzati, ex fidanzati, cose del genere, nella speranza che tra tabulati e intercettazioni si scopra qualche legame nell’ora in cui è stimato il delitto.

Se qualche magistrato fa ugualmente l’intercettazione su Tizio o Caio l’intercettazione è inutilizzabile in base a questa nuova legge, quindi non la potranno usare nel processo contro Tizio e Caio che sono andati liberamente ad ammazzare Sempronio.
Sesto: per intercettare un telefono, un’email o un ambiente, un locare, non basta più la richiesta del Pubblico Ministero e il decreto del GIP che l’autorizza. Il PM dovrà chiedere prima l’assenso scritto del Procuratore Capo, il Procuratore della Repubblica, oppure di un delegato dal Procuratore della Repubblica. Il PM singolo all’interno del suo processo non potrà chiedere intercettazioni al GIP: deve andare dal Capo, ottenere la firma e poi andare dal GIP. Questo cosa vuol dire? Che il governo spera che i Procuratori Capi che sono pochi, hanno una certa età e ormai hanno capito come va il mondo frenino gli entusiasmi di certi Pubblici Ministeri che vogliono indagare troppo, e quindi facciano da tappo. In fondo, controllare pochi Procuratori Capi è più facile che controllare una miriade di 2000 pubblici ministeri, e quindi gerarchizzano addirittura la richiesta di intercettazione che oggi è quasi un atto di routine anche perché richiede immediatezza, tempi rapidi.
Non solo: ma il GIP non decide più l’autorizzazione alle intercettazioni. Oggi lo decide il GIP, cioè un giudice per le indagini preliminari monocratico, cioè solitario, in futuro ci vorrà un tribunale in composizione collegiale. il Tribunale del Capoluogo, intanto; per tutto il Piemonte dovranno venire a Torino, per la Lombardia dovranno andare a Milano anche dalle procure periferiche, perché ci vuole un collegio di tre giudici che dovranno fare quello che oggi fa uno. Questo cosa comporta? Che in ogni procedimento, in ogni inchiesta dove ci sono intercettazione o perquisizioni, ci vorrà un PM, un GIP, un GUP per il rinvio a giudizio e l’udienza preliminare, tre giudici per intercettare e siamo a sei, tre giudici per fare il Tribunale del Riesame, e siamo a nove, e poi ce ne vogliono tre per fare il dibattimento.
Voi vedere che abbiamo impegnati una dozzina di giudici per una sola inchiesta; in procure piccole, in tribunali piccoli non ce n’è a sufficienza per fare tutto, uno dovrà fare due cose all’interno dello stesso procedimento, quindi diventerà incompatibile, quindi andremo alla paralisi totale dei procedimenti, soprattutto perché gran parte del lavoro in Italia lo fanno proprio le procure periferiche che hanno tra l’altro degli enormi scoperti di organico che sfiorano o superano il 10% fino ad arrivare a quasi il 100% come abbiamo visto recentemente a Enna.
Settimo: ci sono modifiche molto restrittive per la durata delle intercettazioni; questa è un’altra norma devastante. Ve l’ho detto: le intercettazioni possono durare quanto durano le indagini preliminari, e del resto è ovvio, se pedini una persona per un anno e mezzo, che è il massimo di un’indagine preliminare, per mafia si può arrivare addirittura a due anni – un anno e mezzo per i reati ordinari diciamo due anni per i reati di mafia e terrorismo – è ovvio che se indaghi su una persona e la pedini magari per un anno e mezzo la devi poter intercettare per un anno e mezzo o due nel caso del mafioso. Invece no: in futuro le intercettazioni devono durare 60 giorni, due mesi e non di più. Il pedinamento lo fai magari per due anni, le intercettazioni solo per due mesi così per il resto pedini senza sapere cosa dice il tizio. Furbissima come norma, no?
Non ci sono possibilità di proroghe oltre i 60 giorni tranne le indagini di mafia, terrorismo e di omicidio, traffici di droga di grande quantità, sequestri di persona ma solo a scopo di estorsione. Questo è interessante: come fai a sapere se un sequestro è a scopo di estorsione? Se c’è la richiesta di riscatto è a scopo di estorsione. Ma per scoprire la richiesta di riscatto devi intercettare il telefono dei familiari, se no arriva la richiesta e tu non lo sai e quindi continui a pensare che il sequestro non sia a scopo di estorsione ma sia a scopo, che ne so, di vendetta, molestie, libidine, sevizie, chi lo sa?
Ma se la richiesta di riscatto arriva al 61° giorno e tu al 60° hai dovuto staccare perché il sequestro non era ancora a scopo di estorsione, quando lo diventa non lo vieni a sapere perché hanno telefonato giustamente al 61° giorno, quando sanno che l’ascolto viene staccato. Così non si saprà mai che è a scopo di estorsione e naturalmente o verrà pagato il riscatto oppure verrà ammazzato l’ostaggio senza poter risalire al telefono di chi sta facendo il sequestro, senza nessuna speranza di acchiappare i sequestratori. 60 giorni e non di più, una follia assoluta. Immaginate quanto tempo ci vuole a volte per preparare una rapina, una corruzione, una truffa, un reato contro la pubblica amministrazione. Pensate soltanto allo scandalo della Protezione Civile, agli scandali di calciopoli: mesi e mesi di delitti continui; 60 giorni e poi basta.
Capite perché fanno questa legge, no?

Cancellare le prove, non lasciare tracce (espandi | comprimi)
Otto: non si possono usare le intercettazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali l’intercettazione è stata disposta, mentre oggi si. Oggi se sono indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza, cioè di reati gravi, se scopri un altro reato diverso da quello per cui sono disposte le intercettazioni, è ovvio che puoi usarlo anche nell’altro procedimento.

Credo che questa si una delle parti più incostituzionali delle legge perché nella Costituzione vige l’obbligo dell’azione penale: è obbligatoria l’azione penale quando il magistrato ha notizie di reato. Se hai una notizia di reato non puoi non procedere, qui invece ti dice che non devi procedere se hai una notizia di reato acquisita con un’intercettazione disposta per un altro reato. Stiamo scherzando? Magari succedesse sempre che mentre intercetti uno per furto scopri che fa anche il pedofilo. Meno male, uno dovrebbe felicitarsene, altro che buttare via tutto per salvare il pedofilo.
Decimo: qui c’è un punto diciamo meno… chi ha “Ad personam” se lo può andare a leggere… una complicatissima normativa per dire come devono essere conservate le intercettazioni, in un archivio delle procure, come devono essere accessibili agli avvocati. E’ molto più importante un’altra scemata: è sempre vietata – punto undici – la trascrizioni di parti di conversazioni riguardanti fatti, circostanze e persone estranee alle indagini. Come si fa a sapere se certe conversazioni riguardano fatti, circostanze e persone estranee alle indagini? Lo saprai alla fine, ovviamente, ma nel momento in cui fai le trascrizioni non lo sai poi dove ti porteranno. Stiamo parlando di una sciocchezza, oltretutto se tu hai un indagato che ne sta combinando di tutti i colori, come fai a separare le vicende sue rispetto a quelle di persone estranee nelle quali c’è lui? Certo, se ci sono persone estranee che fanno cose che non c’entrano niente con il codice penale, già oggi non vengono citate negli atti ufficiali, quindi non si capisce cosa voglia dire questa norma se non appunto star dietro a una vecchio ritornello per cui si dice che gli estranei finiscono sempre nel tritacarne delle intercettazioni.
Di solito gli estranei, se sono estranei intanto non se li fila nessuno, e poi soprattutto se si comportano bene non hanno nulla da temere.

Zitti tutti (espandi | comprimi)
Dodici: c’è un combinato disposto di norme accroccate fra di loro che praticamente aboliscono la cronaca giudiziaria e il diritto di informazione attivo da parte dei giornalisti e passivo da parte dei cittadini. Oggi gli atti di indagine, sapete, sono coperti da segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza.

Con la nuova legge, non solo sono coperti gli atti di indagini, ma anche le attività di indagine. Oggi il magistrato, quando gli è necessario, può consentire con un decreto la desecretazione, la pubblicazione degli atti: ho un tizio che mi denuncia un gruppo di truffatori che va in giro a fregare i soldi alle vecchiette, introducendosi in casa loro, spacciandosi per missionari, che ne so.
Immediatamente bisogna desecretare quell’atto e ordinarne la pubblicazione mettendo le foto di queste persone affinché chiunque le abbia viste vada a denunciarle e chiunque le veda le tenga fuori dalla porta. Questo, per esempio è un caso, e questo in futuro non potrà più essere fatto. Oggi è vietata la pubblicazione anche parziale o per riassunto degli atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto, cioè non si possono pubblicare gli atti coperti da segreto e questo è ovvio, se sono segreti. In futuro, non si potrà più scrivere nulla nemmeno degli atti non segreti che oggi invece, come vi ho detto, salvo che non si possano pubblicare integrali però si possono raccontare, in futuro nemmeno quello. Perché non si potrà più pubblicare nemmeno il contenuto, ma soltanto un riassuntino. Che differenza c’è tra contenuto e riassunto non si capisce ma se l’hanno scritto vuol dire che è restrittiva rispetto a prima. Per le intercettazioni, poi, non si possono pubblicare mai nemmeno raccontarle, nemmeno riassumerle e nemmeno fare riferimenti al contenuto. Cioè, come se non esistessero, non si può fare riferimento. Le conosciamo perché sono pubbliche ma non ne possiamo parlare proprio. Questo è quello che dice la legge: è vietata la pubblicazione, anche parziale, per riassunto o nel contenuto della documentazione degli atti relativi a conversazioni anche telefoniche o a flussi di comunicazioni informatiche o telematiche ovvero ai dati riguardanti il traffico telefonico e telematico anche se non più coperti da segreto, anche se riportati in un’ordinanza cautelare, cioè in un atto pubblico, fino alla conclusione delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare. Quindi campa cavallo: per anni le abbiamo ma non le possiamo pubblicare, anche se sono di interesse pubblico come quelle di Berlusconi che cerca di far chiudere Annozero: un attentato alla libertà di informazione, l’informazione non la può raccontare in tempo reale.
Per evitare che il giornalista le possa leggere, si stabilisce che le intercettazioni devono essere messe in un fascicolo allegato, segretato e inaccessibile fino all’apertura del processo, e poi naturalmente si aumentano a dismisura le pene per i giornalisti e gli editori che pubblicano notizie vere. Vere e pubbliche; non segrete e vere. Multa per chi pubblica notizie vere e non segrete. Reclusione fino a un anno per la rivelazione di notizie segrete, oggi, in futuro fino a cinque anni di galera per la pubblicazione di notizie segrete. Per chi riceve notizie segrete da un pubblico ufficiale che ne è depositario, la pena è da uno a tre anni, solo perché l’hai ricevuta, poi se la pubblichi va fino a cinque. Poi c’è l’aumento di pena anche per chi pubblica gli atti non segreti, come vi ho detto: oggi è punito con una multa, se fa la pubblicazione integrale; in futuro rischierà fino a sei mesi di reclusione e – oggi è arresto fino a trenta giorni o ammenda fino a 258 euro, quindi o ti danno l’ammenda o l’arresto e di solito ti danno l’ammenda e comunque se ti danno l’arresto non vai in galera perché sono trenta giorni di pena massima quindi è ridicolo – in futuro c’è massimo di pena fino a sei mesi e in aggiunta obbligatoria ammenda fino a 750 euro. Quindi, se ti danno per cinque o sei volte, per aver pubblicato cinque o sei notizie pubbliche, tu vai in galera perché superi i tre anni di pena e in più devi anche pagare ogni volta 750 euro. Pensate a un precario di una redazione di un giornale che guadagna 5, 10, 15 euro ad articolo come farà a fare degli articoli rischiando di pagarne 750 di euro per ogni articolo che fa. Cioè lavora tutto l’anno per Angelino Alfano.
Se hai pubblicato o raccontato o parafrasato o riassunto o fatto riferimento a intercettazioni l’arresto va addirittura fino a tre anni, con in aggiunta obbligatoria e l’ammenda fino a 1032 euro. E in più, abbiamo le pene per gli editori che rischieranno intanto l’incriminazione della società, in base alla legge 231, quindi non soltanto la persona del giornalista e del direttore responsabile, ma anche la società editrice risponde penalmente di ogni illecito di questo genere, dopodiché l’editore deve comunicare immediatamente che il suo giornalista è stato indagato per uno di questi reati all’ordine dei giornalisti, affinché questo possa sospendere dal servizio il giornalista per aver scritto una notizia pubblica e vera, non per aver scritto il falso, l’ordine dovrà sospendere il giornalista perché ha fatto il suo dovere. Pensate a che cosa arriva questa legge. La sospensione può arrivare fino a tre mesi, in questi casi, quindi ogni volta che scrivi una cosa vera, oltre a beccarti una pena detentiva, beccarti una multa vieni sospeso per tre mesi e non puoi lavorare per tre mesi.
Non per aver raccontato balle, com’è successo a Feltri che è stato sospeso per sei mesi: qui per aver raccontato la verità, capiterà. E’ il mondo alla rovescia.
Il giornalista commette reato addirittura se fa il nome o mette la foto del magistrato che segue l’indagine o fa un processo: questa era un’idea di Gelli nel Piano di Rinascita della P2, non nominare i magistrati in modo che siano tutti uguali, in modo che quelli collusi, ladri, che insabbiano siano trattati allo stesso modo di quelli che invece rischiano la pelle pur di fare delle buone indagini. Così i collusi e gli inciucioni si possono nascondere nel grigiore generale: mai fare nomi perché altrimenti quelli bravi vengono rispettati e stimati dalla gente, quindi hanno il sostegno dell’opinione pubblica e questo va evitato perché il giudice deve sempre avere paura di essere bastonato e non deve mai avere del sostegno popolare.
Ah: chi pubblica il nome del magistrato… “sono vietati la pubblicazione e la diffusione dei nomi e delle immagini dei magistrati relativamente ai procedimenti e processi penali a loro affidati”. Metteremo i nomi con gli omissis. Poi ci sono altre norme minori, che troverete nel libro “Ad personam” comprese alcune norme salvapreti, cioè i preti avranno un trattamento particolare in materia di intercettazioni, il che è molto attuale con quello che si sta scoprendo in questo periodo, e soprattutto c’è l’ultima ciliegina sulla torta che praticamente ogni anno ogni procura avrà un budget massimo a disposizione per le intercettazioni. Se quell’anno lì ci sono troppi reati in quel posto e quindi il budget finisce perché si son dovuti intercettare molti criminali, le procure resteranno senza fondi per le intercettazioni negli ultimi mesi dell’anno e quindi potranno chiedere ai delinquenti di aspettare a delinquere fino all’inizio dell’anno successivo quando ricominceranno ad avere un budget.

Sono tutte norme, naturalmente, che come potete bene immaginare vanno a difesa della sicurezza dei cittadini per la gioia degli elettori del centrodestra e della Lega che li hanno ancora recentemente votati in massa. Avranno quello che si meritano. Passate parola, buona settimana.

L'era di internet è iniziata

https://liberatoriopolitico.wordpress.com/wp-content/uploads/2010/03/michele_santoro_rai_per_una_notte.jpg

di Claudio Messora (www.byoblu.com)

Il mondo è cambiato. L'Italia e Berlusconi se ne sono accorti solo ieri. Anche secondo il Giornale di Feltri, con buona pace degli editoriali di Sallusti, la cifra più probabile degli ascolti cumulativi di AnnoZero, in diretta streaming, radiofonica e satellitare da Bologna, è prossima a quella che usualmente sbanca lo share su RaiDue ogni giovedì sera.
Chi ha pagato la trasmissione di ieri? Gli sponsor. Gli sponsor e i privati cittadini. L'abbiamo pagata noi. L'abbiamo pagata e ce la siamo guardata. Alla faccia dell'AGCOM, in barba a Mauro Masi e al CdA Rai, facendo un grosso marameo a Silvio Berlusconi, a Paolo Romani e alle loro televisioni obsolete e presto fallimentari.
Questa è la vittoria della gente contro la politica degli arraffoni. Ma soprattutto è la vittoria della rete. Dove credete che si siano informati, coordinati, organizzati gli italiani per darsi appuntamento, per inviare denaro, per allestire le centinaia di piazze che hanno portato l'allegra brigata di Santoro a fare il suo sporco lavoro – ma qualcuno dovrà pur farlo – nonostante le veline diramate dal Minculpop? In rete, in rete e poi ancora in rete!

Questo dimostra che ce la possiamo fare, che possiamo scalzare questo governo del telecomando, mandare in soffitta questa cultura del tubo catodico e delle trasmissioni soporifere, ripiene di polpette avvelenate. Possiamo organizzare la televisione del futuro, interattiva, collettiva, autentica e partecipativa, scegliere chi vogliamo ascoltare, scegliere quando e come vogliamo ascoltarlo, scegliere se esserci attraverso una televisione, un monitor del pc, uno smartphone, una radio, un proiettore di piazza, un qualsiasicosa utile a metterci in collegamento con chi sta trasmettendo qualcosa di interessante.

Silvio Berlusconi è molto più sfortunato rispetto a Benito Mussolini. Nel ventennio l'unica alternativa era una trasmissione radio abusiva, Radio Londra. Oggi la comunicazione non si può più fermare: ruscella in mille rivoli, sgorgando da mille buchi diversi, e né Gasparri né Cicchitto né La Russa potranno mai tapparli tutti.
Caro Presidente, il tuo impero mediatico, costruito sul principio piduistico del controllo dei mezzi di informazione, non vale più nulla. Le tue dichiarazioni demagogiche ed irrealistiche, che reggevano solo grazie ai TG minzoliniani, i tuoi "siamo in un milione", nulla possono contro le macchinette fotografiche compatte digitali, le videocamere consumer e i blog che ti sbugiardano in diretta prima ancora che ci pensino le questure.

Oggi siamo entrati definitivamente nell'era di internet. Fattene una ragione!