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Primavera molfettese del '94. Perché nonostante "quella" stagione politica ci ritroviamo "questa" Molfetta?

Terramia, gruppo di discussione sulla politica molfettese, propone un incontro pubblico per riflettere sul ’94 molfettese.

 

 

Nel rumore di fondo della quotidianità molfettese annaspano le voci delle coscienze critiche. Manca la voglia di trasformare l’esistente e nel rumore di fondo permangono, addormentate e paghe del lauto pasto, le anime ribelli. All’orizzonte c’è solo il nostro ombelico. 

L’indifferenza per le bombe all’iprite che incombono, per i giovani disoccupati che si disperano, per i lavoratori prigionieri del mercato, per le consorterie arroganti dei delinquenti e dei ladri di galline che pervadono le strade è il segnale che la comunità e le cose comuni non son più degne di essere amate e curate perché rese agonizzanti da una politica malata o di protagonismo o di clientelismo e vuota di aneliti e di aspirazioni.

La medicina migliore è prendersela con gli altri, con chi è più vicino, con chi è più attivo. Ma la rabbia per il colpevole vicino cura la febbre e non la malattia. I ricordi sono in agguato per i vecchi e ai giovani rode la storia di questa città che ha visto ben altre stagioni, ben altre emozioni, ben altre speranze.

Sembra che a nessuno interessi ripensare al ’94, l´anno in cui a Molfetta si diede avvio a una frizzante stagione politica, si ribaltarono le previsioni elettorali e il governo della città cadde nella mani di una forza nuova che emerse inaspettatamente dalla città. Sembra che quel frangente di eccezionale mobilitazione civile e politica non abbia lasciato alcuna traccia. Ma di questo nessuno parla più. È davvero così? Può essere così? Davvero non ci sono più molfettesi che pensano e agiscono in forza della loro appartenenza ad una comunità di cittadini?

Abbiamo deciso di rompere gli indugi. La riflessione sul ’94 molfettese non può essere ulteriormente rimandata in attesa di tempi migliori.

Il 3 ottobre alle 18 presso la sala stampa del comune
di Molfetta è indetto un incontro pubblico per discutere di quella stagione, con unanime spirito di correità, senza reti e senza format.

Tutte e tutti sono invitati a portare il proprio contributo e a rispondere alla domanda: perché nonostante "quella" stagione politica ci ritroviamo "questa" Molfetta?

L’omicida del sindaco Carnicella condannato per la seconda volta

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Cristoforo Brattoli esattamente un anno fa, è stato nuovamente condannato per le minacce rivolte il 18.5.2006 al candidato sindaco del centro sinistra Lillino di Gioia.

Così il LIBERATORIO POLITICO denunciava l’accaduto, il 5.6.2006 in un documento pubblico inviato per conoscenza al Prefetto di Bari e agli organi Giudiziari.

[…]
Per questo denunciamo pubblicamente fatti gravi che, pur sotto gli occhi di tutti, rischiano di passare sotto silenzio, invitando gli organi preposti a fare chiarezza; non vogliamo contribuire a diseducare i cittadini rafforzando l’idea, ormai data da molti per scontata, che la politica sia irrimediabilmente losca ed inquinata, senza distinzione alcuna.
Si può tacere, accettandone la normalità con complice assuefazione, sulla distribuzione gratuita di ingressi in discoteca, tessere telefoniche, buoni-benzina, buoni-lavaggio, intimo e corsetteria, su feste e cene, oltre alle consuete promesse di posti di lavoro?
Che dire del più suffragato tra i candidati al consiglio comunale, Pino Amato, un personaggio di qualità etico-politiche certo non eccelse, che in qualche modo ottiene tanti consensi pur essendo indagato per la cattiva gestione della Polizia Municipale?
I cittadini hanno bisogno di sapere se i suoi consensi hanno in qualche misura attinenza con l’indagine in corso sulle multe non riscosse, l’occupazione abusiva di suolo pubblico e quant’altro si configurerebbe come voto di scambio con i clienti di turno.
Il 29 maggio, dopo l’apertura delle urne, dal pomeriggio fino a tarda sera, abbiamo visto centinaia di giovani assiepati, come non mai, nei seggi con fogli e penne alla mano. Questi giovani, assenti per cinque anni dalla scena politica ed ignorati da politici ed amministratori, sono reclutati e pagati da partiti o da singoli candidati non certo per educarli alla pratica della politica. Bastava guardare i fogli su cui riportavano i risultati di ogni scheda scrutinata: dovevano verificare i voti assegnati ad un particolare candidato con la esatta combinazione sindaco/lista/candidato al fine di controllare il voto degli elettori del seggio.
Abbiamo persino testimonianza di incontri ravvicinati tra cittadini e un intercettatore di voti che, dopo aver dato il “santino”, chiedeva con insistenza il seggio di appartenenza facendo intendere senza mezzi termini che quel voto sarebbe stato controllato; ancor più grave è che questa "richiesta" veniva fatta da un dipendente comunale, si spera non in servizio.
Sarebbe ora di indagare su tutto ciò senza sottovalutazioni; basterebbe, da parte degli inquirenti,  acquisire presso l’ufficio elettorale tutti i nomi dei rappresentanti di lista titolari e supplenti, e chiedere loro se e quanto sono stati pagati, per chi lavoravano e cosa gli è stato chiesto di segnare sui fogli in dotazione, cominciando da quei partiti che hanno avuto tra i loro candidati consiglieri quelli più suffragati, a partire dalle 500 preferenze in su.
Sarebbe interessante leggere i conti consuntivi che presenteranno taluni candidati e se dichiareranno di aver pagato con un contributo spese i giovani rappresentanti di lista. Come sarebbe auspicabile che si conoscano anche le cifre spese per affittare immobili privati da adibire a sottosezioni.
Da queste elezioni emerge ancora una volta la fotografia di un degrado morale di una città in cui, ormai da troppo tempo, la classe politica reggente non si è preoccupata di offrire ai giovani modelli positivi e credibili di cultura politica.
Il Senatore Azzollini, rappresentando pienamente i caratteri peggiori della destra berlusconiana, si è presentato alle elezioni nelle vesti di buon “benefattore” di una parte di molfettesi e, in spregio  al bene comune e alla legalità, ci lascia in eredità una legge truffa, la 376/2003, con cui ha distratto dalle casse statali danaro destinato a costruire opere pubbliche per dirottarlo a Molfetta favorendo privati cittadini, trasformati all’occorrenza in clienti o, peggio, sudditi.
E’ inutile dilungarsi sulla vicenda arcinota delle palazzine Fontana, su cui sono stati scritti fiumi di parole e denunce  che non hanno ancora risposta dalla Procura della Repubblica, ma è utile sottolineare l’esempio di cattiva amministrazione di cui è portatore il candidato sindaco Azzollini; ragion per cui è meglio evitare di affidare la città a lui e ai tanti suoi amici che ci hanno regalato l’attuale degrado.
Il candidato Di Gioia in tutti questi mesi ha dichiarato di essere la memoria storica politico-amministrativa di questa città e come tale, si presume, possa assumersi anche la paternità di tanti esempi di cattiva amministrazione e di illegalità diffusa verificatisi negli anni dei suoi mandati di capogruppo D.C. e nei pochi mesi in cui è stato Sindaco di questa città, nel 1989.
Ma ciò che è più rilevante nel suo progetto politico, è quel desiderio di "riscatto della città" nel ripristinare "il rispetto delle regole e della legalità". Questo suo messaggio è stato martellante in tutti i suoi comizi e dibattiti, al punto di poter cambiare giudizio sull’uomo, salvo essere presto smentito dai fatti.
Quest’uomo, che vorrebbe fare il sindaco della città vestito da paladino della legalità, pare sia stato aggredito in piena campagna elettorale, in piazza Paradiso, dall’assassino del Sindaco Carnicella e non ha ritenuto di dover rendere pubblico questo grave episodio e di riferirlo alle forze dell’ordine.
La notizia, appresa direttamente da candidati della sua coalizione, non può essere taciuta da chi vuole ripristinare la legalità in città. Ogni silenzio può apparire omertoso e favorire quella cultura mafiosa che si alimenta di tante piccole illegalità quotidiane.
Se è vero che il candidato di Gioia ha subito delle minacce, chiarisca ai molfettesi che dovrebbero votarlo i contenuti delle stesse e che tipo di rapporti sussistano, in passato o tuttora, con il suo aggressore.
Non possiamo tollerare tale atteggiamento e chiediamo la verità su questo grave episodio; vorremmo che le forze dell’ordine ne siano informate e che i partiti del centro-sinistra si esprimano al riguardo.
[…]

Rimangono ancora oscuri i motivi per cui, lo stesso Di Gioia e tutti i partiti che lo appoggiavano, non hanno ritenuto di denunciare il gravissimo fatto.

Questa la Sentenza (n. 2002/2008) letta in data 8.7.2008 (e depositata il 6.7.2008)

TRIBUNALE DI TRANI
SEZIONE DI MOLFETTA


REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice dott. LORENZO GADALETA
Sezione di Molfetta alla pubblica udienza del 8 Luglio 2008
ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA
nei confronti di:
BRATTOLI Cristoforo n. Molfetta il 31-5-1956 ed ivi residente in Via Ten. Pappalepore nr. 67.-

BRATTOLI Cristoforo:
 (proc. pen. riunito n. 3336-2006/21) in relazione al reato di cui agli artt. 56-294 c.p., perché, tenendo la condotta di seguito descritta, compiva atti idonei diretti in modo non equivoco a impedire in tutto o in parte -avvalendosi della forza di intimidazione dalla riportata condanna per l’omicidio del Sindaco di Molfetta Giovanni Carnicella commesso in Molfetta il 7.7.1992 (fatto notorio in quella città) e dunque con minaccia- a DI GIOIA Pasquale (n. Molfetta l’8.7.1942), candidato alla carica di Sindaco del Comune di Molfetta per la coalizione di centro-sinistra, l’esercizio del corrispondente diritto politico di elettorato passivo, non riuscendo nel criminoso intento per cause indipendenti dalla sua volontà:
Il DI GIOIA, intento a sostenere la propria candidatura mediante volantinaggio nei pressi della piazza Paradiso, veniva avvicinato dal BRATTOLI che , con fare sbrigativo ed altezzoso, lo invitava a seguirlo per una asserita necessità di parlargli, ricevendone il rifiuto del DI GIOIA. Dopo una decina di minuti, il DI GIOIA, mentre faceva ritorno al suo studio professionale attraversando la menzionata piazza, veniva avvicinato nuovamente dal BRATTOLI, che inveiva nei suoi confronti dicendogli tra le altre cose “Tu non puoi fare il Sindaco! Perché non vuoi parlare con me? Pezzo di merda, ricordati piazza Paradiso! "
In Molfetta il 18.5.2006
Con la recidiva reiterata specifica durante esecuzione della pena.

…OMISSIS…

…Passiamo all’analisi della vicenda del Brattoli e per una intelligibile esposizione dell’accaduto occorre partire dalla enunciazione degli accadimenti più risalenti, che lumeggiano l’esatta consistenza del comportamento tenuto dal predetto in danno di Pasquale Di Gioia, candidato alla carica di Sindaco del Comune di Molfetta per la coalizione del centro sinistra nelle mentovate elezioni del 2006.
In tale ottica, riprendendo pedissequamente alcuni tratti basilari della sentenza di primo grado emessa dalla Corte di Assise di Trani il 03.11.1993, prodotta dal PM, bisogna ricordare i contorni relazionali ed ambientali che diacronicamente condussero alla condanna, riformata in appello nel solo bilanciamento delle circostanze e quindi divenuta definitiva sul fatto accertato.
La decisione accertò che il Brattoli era stato l’autore dell’ omicidio di Giovanni Carnicella, Sindaco di Molfetta; l’agghiacciante evento era avvenuto il 7.7.1992.
La sentenza è stata acquisita a mente dell’art. 238 bis cpp e da essa deve trarsi il riferimento dimostrativo di alcuni fatti, seguendo i limiti tracciati dall’art. 192 terzo comma cpp, come chiarito dalla Suprema Corte.
Si è sostenuto invero che “il principio di prova, contenuto nel giudicato penale acquisito ai sensi dell’art. 238 bis cpp,  va considerato alla stregua del criterio  valutativo fissato dall’art. 192 comma 3 cod.proc.pen., ma  ha  come oggetto non solo il “fatto” direttamente riferibile alla statuizione fissata nel dispositivo, ma ogni acquisizione fattuale evidenziata anche nel corpo della motivazione.

Ne consegue, pure al di fuori  di  ogni  obbligo  per  il giudice che l’utilizza in ordine alla valutazione dei fatti contenuti nella sentenza irrevocabile, che, una volta identificatoil “fatto” accertato, rimane esclusa la possibilità di un controllo della sua fonte probatoria,anche sotto il profilo della rituale acquisizione in quel processo concluso con sentenza irrevocabile”  (Cass.pen. sez V n.5618/00).
Ancora si osservato che, “in tema  di  prova documentale, le sentenze, come qualsiasi atto valutativo, possono considerarsi documenti, ed essere utilizzate come prova, solo per i fatti documentali in esse rappresentati (ad esempio,  il fatto  che  un  certo  imputato  sia stato sottoposto a procedimento penale e che la sua posizione sia stata definita in un certo modo) e non per il fatto documentato·(la ricostruzione dei fatti e la valutazione probatoria da parte del giudice)”, ma, “a questa regola logico-sistematica fa eccezione, per motivi essenzialmente di ordine pratico, l’art. 238 bis cpp, che ammette l’acquisizione delle sentenze divenute irrevocabili ai fini della prova di (recte, del) fatto in esse accertato” (Cass. pen. sez VI n.10258/99).
Tanto rende legittime l’ estrapolazione e l’utilizzazione di passaggi fattuali annotati nella motivazione della sentenza della Corte di Assise, ovviamente nei confini di valenza segnati dal citato art. 238 bis cpp.
Tali recinti limitativi dell’art. 238 bis cpp sono agevolmente superabili nella specie con l’ausilio delle corroboranti informazioni trapelate dall’ esame dell’ imputato e della persona offesa.

Già nella sesta pagina della pronunzia giudiziaria si legge che “la lettura d’insieme dei dati probatori acquisiti al fascicolo consente di affermare che all’ origine del grave fatto di sangue qui esaminato vi fu l’organizzazione di un concerto del cantante napoletano Nino D’Angelo e che tale ultima iniziativa, a sua volta, scaturì da una scommessa intervenuta tra il Brattoli ed alcuni esponenti di quel mondo variegato (e spesso ai margini della legalità) che in Molfetta va comunemente sotto il nome di Piazza Paradiso”.
Proprio l’imputato aveva spiegato nel processo che in occasione della festa allestita in un capannone su richiesta di Fiore Alfredo, indicato come “esponente di spicco di quel variegato mondo”, egli aveva raccolto la “sfida”, consacrata peraltro in una “scommessa”, “lanciatagli dagli esponenti del mondo di Piazza Paradiso” per organizzare a Molfetta un concerto dell’artista campano.
Sempre il Brattoli aveva precisato nel procedimento che “per l’organizzazione del concerto in discorso era stata costituita una società di fatto tra dieci persone”, tra cui Fiore Alfredo ed altri del medesimo gruppo, e che egli aveva ottenuto dall’economo del Pontificio Seminario Regionale l’impegno personale per poter utilizzare il campo sportivo del seminario in vista di una manifestazione canora.
L’imputato aveva stipulato un contratto di prestazione artistica con l’agente di Nino D’Angelo unitamente a Fiore Alfredo ed altri, aveva anche versato una caparra negoziale, si era assicurato con un atto scritto anche la disponibilità del campo sportivo del seminario ed aveva iniziato a pubblicizzare l’evento.
A quel punto, pressato dai superiori, l’economo del seminario aveva cercato di revocare quel consenso ed aveva implorato il Sindaco Carnicella affinché intervenisse per evitare che il concerto si svolgesse in quel luogo; il Sindaco gli aveva ‘rappresentato che ostavano comunque oggettive esigenze di ordine pubblico.
Non a caso, il Comandante della Stazione CC di Molfetta aveva in seguito espresso parere contrario per motivi di ordine pubblico e per inidoneità del luogo ed il Brattoli aveva allora pensato di far svolgere il concerto a Giovinazzo, inoltrando apposita istanza a quel Comune, pur non rinunziando all’idea di tenere a Molfetta la manifestazione, ponendo mente al tenore della sfida raccolta e cercando quindi di ottenere la disponibilità dello stadio comunale, subito non conseguita probabilmente per diretta decisione informale del Carnicella.

Il Brattoli aveva dunque pensato di servirsi del campo Petroni, da poco ristrutturato ed ancora privo della certificazione di agibilità, ed aveva perciò presentato apposita domanda.
Il Sindaco aveva interessato l’ufficio comunale competente per la trasmissione della pratica in Prefettura, dove un funzionario aveva però riferito al Brattoli dell’impossibilità di un rilascio immediato del certificato.

Giunto in Comune con l’economo del seminario per cercare nuovamente di ottenere lo stadio comunale, il prevenuto ossessivamente aveva continuato a ripetere: “che figura faccio con gli altri!”.

Il Brattoli si era allontanato, recandosi verosimilmente alla ricerca dell’arma, ed era tornato al Comune dopo qualche ora; dopo alcune richieste di aiuto rivolte al Sindaco, che aveva cercato di tranquillizzarlo e di rimandare la discussione per la soluzione del problema, il Brattoli aveva impugnato un fucile a canne mozze ed aveva sparato contro l’interlocutore, attingendolo alla regione inguinale destra e determinando così la successiva morte, avvenuta dopo un disperato e complesso intervento chirurgico.

Altro elemento emerso in quel dibattimento penale e ritenuto attendibile dai giudicanti è quello di una confidenza fatta dal medesimo Fiore Alfredo, figura non marginale nella vicenda e peraltro già condannata per un fatto di sangue commesso con l’impiego di un fucile a canne mozze; costui, alla presenza di alcuni vigili urbani in un bar, aveva raccontato di aver ricevuto la richiesta di una pistola dal Brattoli proprio qualche ora prima dell’omicidio.

La Corte di Assise ravvisò l’aggravante dei futili motivi, giacché il Brattoli si era dedicato all’ organizzazione del concerto “esclusivamente a causa della sfida lanciatagli da Fiore Alfredo e dai suoi amici (la cd “Piazza Paradiso”) e del significato che quella sfida per lui assumeva”.
Nonostante le rassicurazioni in ordine al rilascio dell’autorizzazione per la tenuta del concerto a Giovinazzo (permesso poi realmente rilasciato proprio il 7.7.1992), il vero motivo dell’omicidio era “la lesione del suo prestigio personale” di fronte agli “esponenti di Piazza Paradiso”.

La “nuova atmosfera” presso il Comune di Molfetta, per le “coraggiose iniziative assunte dal dott. Carni cella con riferimento a fenomeni che i precedenti amministratori avevano lasciato marcire” e per il ripristino della “correttezza dell’ azione amministrativa, il rispetto della legalità e la trasparenza” a scapito di “antiche pratiche di dubbia legittimità”, non era stata “evidentemente gradita” dal Brattoli.
Questi contatti personali del Brattoli con quei soggetti poco raccomandabili, individuati con il riferimento locale a Piazza Paradiso per segnare l’appartenenza ad un gruppo molto discusso e temuto in città, crearono le condizioni psicologiche ed oggettive sfociate nel vile ed inquietante evento omicidiario.
Sulla scorta di queste premesse storiche va pertanto ponderata adeguatamente la condotta posta in essere dall’imputato Brattoli il 18.5.2006.

Illuminante, anche se icasticamente densa di disagio personale e di timore verso l’imputato (l’episodio non era stato nemmeno denunciato dalla vittima, nonostante la sua gravità), è apparsa la testimonianza di Pasquale Di Gioia, che ha confermato di essere stato candidato per la carica di sindaco in quelle elezioni amministrative.
Il teste ha così illustrato quanto capitatogli: verso mezzogiorno, mentre era “nei pressi di Piazza Paradiso” e stava svolgendo attività di volantinaggio con alcuni ragazzi, era stato avvicinato dal Brattoli, il quale gli aveva detto che voleva parlargli; il teste aveva rimandato il colloquio al termine del giro o ad un altro momento; dopo circa un quarto d’ora, mentre stava attraversando la piazza per tornare al proprio studio, il Di Gioia aveva notato il Brattoli sopraggiungere “in maniera molto concitata” ed avvicinarsi, chiedendo perché non volesse parlare con lui e soggiungendo che era “un pezzo di merda”, non poteva “fare il Sindaco della città” e doveva ricordarsi che erano a “Piazza Paradiso”; il Di Gioia non aveva risposto a causa dello stato di alterazione dell’interlocutore.

Alcune circostanze sono state chiarite dal teste.

Egli ovviamente ha dimostrato di ben conoscere la vicenda drammatica che aveva coinvolto il Brattoli ed il Sindaco Carnicella.
Tuttavia, dapprima ha sostenuto di non sapere a cosa intendesse riferirsi il Brattoli con il richiamo al luogo in cui si trovavano, ma poi ha efficacemente confermato di non ignorare di certo il fatto che “Piazza Paradiso” fosse stata “il simbolo di una situazione che aveva portato all’episodio…” criminoso avvenuto a Molfetta (“era quasi inevitabile tenendo conto delle situazioni pregresse”). Non a caso il teste, che ha precisato di aver ricoperto la carica di assessore regionale e di capo gruppo della DC all’epoca dell’omicidio, ha additato quel luogo come “oggetto dello scandalo” ed ha aggiunto che esso era stato preso di mira dal Sindaco Carnicella anche per riportare ordine in città.
Il teste ha dichiarato inoltre di aver dopo appreso da terzi delle difficoltà economiche che avevano indotto il Brattoli a cercare un sostegno.
I fatti sono evidenti e la loro interpretazione non lascia residuare perplessità.
La difesa del Brattoli ha tentato di insinuare, nel corso del controesame, il dubbio che l’evocazione di Piazza Paradiso da parte dell’imputato fosse avvenuta nel secondo incontro solo per indicare il posto del primo approccio, in cui il Di Gioia aveva differito il momento del colloquio.
In realtà, come sottolineato dal Di Gioia, il primo contatto con il Brattoli era avvenuto non in Piazza Paradiso, ma nella strada che collega quella piazza a Piazza Immacolata.
Peraltro sarebbe stato alquanto illogico, a distanza di appena un quarto d’ora, dover ricordare al Di Gioia quanto prima detto.

In realtà la locuzione “Piazza Paradiso” serviva “a conferire alle proprie parole una straordinaria efficacia intimidatoria.

Quel significato, che sarebbe stato larvato solo per soggetti non facenti parte della comunità locale, era stato voluto dal Brattoli ed era- stato limpidamente raffigurato nella sentenza pronunciata nei suoi confronti pronunciata.
Esso non poteva di certo sfuggire al Di Gioia per l’univocità dell’accezione nell’alveo della memoria storica della città.
Peraltro il Di Gioia era stato impegnato in politica proprio nello stesso partito del Sindaco Carnicella (v. pag. 54 della sentenza della Corte di Assise) ed il movente dell’omicidio di quest’ultimo, per l’inevitabile risonanza negativa dell’evento, era sicuramente notorio nell’area politica (ben può dirsi che fosse tale nell’intera città).

La forza criminosa delle espressioni usate dal Brattoli si rinviene nei seguenti dati valorizzabili: la circostanza che il Di Gioia fosse candidato per la carica di Sindaco a Molfetta in quel periodo e quindi ambisse a ricoprire il ruolo già svolto dal Carnicella; l’invito rivolto dal Brattoli a “ricordare Piazza Paradiso”, ovvero il luogo in cui, in seno a circuiti soggettivi costituenti la massima punta dei fenomeni degenerativi territoriali, erano maturati interessi economici intorno al concerto di Nino D’Angelo sui pilastri esiziali di sfide di bassa lega e rozza mentalità; il rilievo che proprio il Sindaco Carnicella, per riaffermare gli insopprimibili valori della legalità e del rispetto dell’autorità pubblica, avesse intrapreso le opportune iniziative per contrastare le invalse angherie della schiera dei soggetti operanti appunto in quella famigerata zona di Molfetta in un clima di aperta contrapposizione con le istituzioni; il rimando all’incapacità del Di Gioia di “fare il Sindaco”, abbinando subdolamente quella carica amministrativa ed il fenomeno illegale di “Piazza Paradiso”.

In un binomio volutamente riproducente simbolicamente le condizioni prodromiche dell’avvenimento sconvolgente dell’estate del 1992; l’aggiunta dell’epiteto “pezzo di merda” per assegnare alla citazione minatoria una accentuata portata di aggressività verbale; il tono alterato ed i modi concitati descritti dal Di Gioia, abili a destare ancora maggiore preoccupazione in quest’ultimo, personalmente a conoscenza dell’abilità criminale dell’aggressore e delle oscure trame possibili nella zona di Piazza Paradiso.
In sostanza il Di Gioia non poteva che rimanere turbato per le circostanze concrete create dal Brattoli in quel frangente e per i richiami sottintesi alla vicenda omicidiaria che aveva visto quest’ultimo assumere la veste di brutale autore del gesto esecrabile.
Il Brattoli, nel corso dell’esame dibattimentale, ha cercato dì ridimensionare la piattaforma probatoria a suo carico, ammettendo di aver utilizzato i riferimenti alla Piazza Paradiso ma pensando vanamente di riuscire a depotenziarli con la precisazione che era solo una piazza dove “si cercava lavoro”.

Egli ha ricordato che all’organizzazione del concerto di Nino D’Angelo avevano partecipato anche “quelli di Piazza Paradiso”, così confermando ancora una volta i propri collegamenti con quell’ambiente pericoloso.

La rabberciata difesa dell’imputato è nettamente vanificata dalla granitica prova della fondatezza dell’accusa.
Il teste Di Gioia si è infatti mostrato sicuro sulle parole usate dal Brattoli, esposte in modo puntuale e rigoroso a più riprese nell’udienza dibattimentale, ed è quindi pienamente credibile, anche perché, non procedendo direttamente alla denuncia dell’accaduto del 18.5.2006, ha dimostrato di non avere alcun interesse personale a perseguire penalmente il predetto imputato.

Non è condivisibile giuridicamente l’impostazione accusatoria iniziale, comunque rivisitata dal PM nelle conclusioni finali.
Il Brattoli non intendeva di certo impedire al Di Gioia di esercitare il diritto politico di elettorato passivo.
Non solo un simile evento non ebbe a verificarsi, ma nemmeno era in animo dell’agente al momento dell’iniziativa delittuosa.
Il Brattoli ha lasciato intendere in dibattimento che il suo obiettivo fosse solo quello di essere ascoltato ed aiutato dal Di Gioia nella ricerca di un lavoro (“un Sindaco deve parlare con la gente, deve ascoltare i problemi della gente”; “se si poteva aiutare perché avevo bisogno di lavoro”).

Rimane lapalissiano il fatto che egli avesse optato per una via sbrigativa e gravemente illecita, imponendo all’attenzione del Di Gioia il raccordo soggettivo con un contesto notoriamente malfamato e rappresentandogli implicitamente la fine tragica di colui che nella veste di Sindaco non lo aveva accontentato.
Proprio in questo innesto argomentativo si possono cogliere la volontà di incutere timore di un male ingiusto, in forza di meccanismi ambientali risultati già forieri di pregiudizi per chi non si era adeguato a precedenti pretese, e la strumentalizzazione della intensa minaccia per raggiungere un determinato scopo personale.

Il reato commesso è quindi quello di tentata violenza privata di cui agli artt. 56-610 cp.

Non si tratta di una minaccia aggravata ai sensi del secondo comma dell’art. 612 cp (come affermato dal PM nelle conclusioni), atteso che l’energia minatoria tesa a raffigurare le potenzialità personali verso chi non gli stava dando ascolto era stata spesa dal Brattoli per uno scopo determinato di effettiva limitazione della libertà di auto determinarsi del Di Gioia: il fine era quello di spingere il Di Gioia a trattenersi per rendersi conto dell’ oggetto e dell’ entità delle pretese e ad impegnarsi nel perseguimento dell’ obiettivo occupazionale.
Il mancato verificarsi dell’evento per cause indipendenti dalla volontà dell’agente consente di escludere la consumazione, ma il tentativo di costringimento con la veemente pressione verbale permane.
La pena non può essere mite per l’estrema gravità dell’accaduto, temperata solo in minima parte dalla condizione di difficoltà personale del Brattoli (che a suo dire non riusciva a trovare lavoro per la lunga detenzione).

L’oggettiva gravità si comprende agevolmente alla luce di alcuni elementi pregnanti: perché il soggetto passivo era un candidato sindaco all’epoca; per l’evocazione indiretta di una condotta omicidi aria personalmente realizzata in danno del Sindaco Carnicella; per l’ora centrale della giornata ed il luogo pubblico dell’azione intimidatoria, a riprova della totale spregiudicatezza e dell’ assenza di validi freni inibitori.

Deve necessariamente essere applicata la recidiva correttamente contestata dal PM, con il vincolato aumento della sanzione, essendo indubbio che i plurimi, anche specifici, precedenti penali debbano essere letti, unitamente alla condanna irrevocabile per il delitto del Sindaco Carnicella, quali indici sconcertanti di una indomabile pericolosità sociale e di una accresciuta capacità a delinquere.

La pena concretamente applicabile ai sensi dell’art. 133 cp, nella equa base di partenza di sei mesi di reclusione avuto riguardo ad ogni elemento in precedenza rimarcato e tenuto conto opportunamente degli asseriti motivi dell’azione, va quindi incrementata congruamente nella misura di quattro mesi per la recidiva indicata nell’imputazione ex art. 99 cp (nella nuova formulazione operante per ragioni temporali).

E’ appena il caso di sottolineare che il Brattoli non può ottenere benefici di sorta per tutte le ragioni esposte.
Egli non merita concessioni di qualunque genere anche per l’ostinazione criminale evidentemente non sedata nonostante la lunghissima detenzione patita.

PQM

“Visti gli artt. 533 e 535 cpp, dichiara Brattoli Cristofaro colpevole del reato di cui agli artt. 56-610 cp, così derubricato il fatto. e lo condanna alla pena di mesi dieci di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali in caso di revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio.

Entra nel vivo il processo “Spadavecchia-Brattoli”, e i ricordi vanno a quel 7 luglio 1992

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Oltre ai recentissimi episodi di voto di scambio l’udienza ha riportato tutti a quel 7 luglio 1992, quando Gianni Carnicella fu assassinato da Cristoforo Brattoli.
Riportiamo di seguito il resoconto dell’udienza del processo Spadavecchia-Brattoli che la redazione de “Molfettalive” ha pubblicato oggi.

Dopo le testimonianze nello scorso 13 maggio di S.M. e Matteo d’Ingeo (quest’ultimo costituitosi parte civile), nell’udienza di ieri presso la sezione distaccata di Molfetta del Tribunale di Trani, alla presenza del giudice monocratico dott. Lorenzo Gadaleta e del sostituto procuratore della Repubblica dott. Giuseppe Maralfa, sono stati ascoltati un ufficiale della Guardia di Finanza e il politico Lillino di Gioia.

Nel procedimento il P.M. Giuseppe Maralfa ha unificato due episodi avvenuti in occasione delle Elezioni Amministrative 2006. Voto di scambio il reato ipotizzato per l’Assessore Vincenzo Spadavecchia, minacce quello ipotizzato per il killer del sindaco Gianni Carnicella. 

Al contrario del processo cosiddetto “Amato + 5” il Comune non si è costituito parte civile in merito alle accuse di voto di scambio mosse a Spadavecchia.

L’udienza si è aperta con la deposizione di un Maresciallo Capo della Guardia di Finanza che ha condotto le indagini per conto della Procura di Trani in merito ai buoni di carburante utilizzati, secondo l’accusa, in cambio di voti. 

L’ufficiale ha dichiarato che in seguito a precisi accertamenti a carico di un’azienda è emerso che M.S. per conto dell’imputato, acquistò all’epoca dei fatti 200 buoni di gasolio per un importo complessivo di 2000 euro, emessi con regolare fattura. Particolare, quest’ultimo, confermato dallo stesso M.S. nell’udienza del 13 maggio.

Interrogato per il controesame dagli avvocati Ragno e Salvemini, difensori di Spadavecchia, il Maresciallo Capo ha chiarito il tipo di indagine svolta, che ha accertato come l’acquisto dei buoni gasolio fu eseguito esclusivamente durante la campagna elettorale e non nei precedenti o successivi periodi dell’anno.

Lillino di Gioia, candidato sindaco nel 2006 per il centrosinistra, è stato ascoltato in merito alle presunte di minacce subite da Cristofaro Brattoli: «stavo effettuando azione di volantinaggio nei pressi di Piazza Paradiso, quando fui avvicinato da Brattoli, il quale mi chiedeva un colloquio. Ero impegnato e quindi risposi “Devo prima finire, poi possiamo parlare”. 

Dopo 15 minuti, mentre attraversavo Piazza Paradiso, lo vidi arrivare di gran carriera. Si avvicinò dicendo che non avrei potuto fare il sindaco, aggiungendo “Ricordati di Piazza Paradiso” e proferendo epiteti impronunciabili».

Su richiesta del P.M, Di Gioia specifica tali epiteti: «Pezzo di merda», aggiungendo di aver cercato di non rispondergli, avendo constatato lo stato d’animo dell’accusato.

Maralfa: Cosa voleva dire “ricordati di Piazza Paradiso”?



Di Gioia:
«Può darsi che facesse riferimento a quello che era il simbolo di una situazione che portò a quella situazione (omicidio Carnicella ndr). Si trattava di una piazza discussa, all’epoca una situazione difficile. Ho tenuto poco conto di queste parole perché non volevo andare oltre. Sono congetture».

Tedeschi (difensore Brattoli): Conosceva Brattoli?

Di Gioia risponde in modo affermativo, in quanto prima dell’omicidio Carnicella (avvenuto il 7 luglio 1992) Brattoli era un impresario che lavorava per conto del Comune, delle Forze dell’Ordine, collaborava con il Vescovo.

Tedeschi: Brattoli le ha mai proferito la frase: “Perché non vuoi parlare con me?”.

Di Gioia: «Sì, nel secondo incontro».

Tedeschi: A cosa poteva riferirsi il nesso riguardante Piazza Paradiso?

Di Gioia: «A seguito di quell’episodio si decise di liberare la piazza. Non voglio comunque dare un’interpretazione di questo tipo; all’epoca dei fatti ero Assessore Regionale».

Tedeschi: Si è modificato qualcosa dopo le parole di Brattoli nella sua campagna elettorale?

Di Gioia: «Rispetto a quell’episodio non si è modificato nulla».

L’udienza si conclude con l’audizione di Brattoli.

Maralfa:
Perché ha pronunciato “Non puoi fare il sindaco”?

Brattoli:
«Perché un sindaco deve parlare con la gente. Io cercavo lavoro e la piazza era un luogo dove si cercava lavoro. Mi pento del gesto (omicidio ndr), ma ho scontato la pena; ho molto sofferto». 

L’imputato descrive il suo lavoro: di concerto con la Polizia Municipale e le Forze dell’Ordine portava via con i suoi automezzi le cassette di frutta sequestrate ai venditori abusivi. All’epoca dei fatti, comunque, non lavorava nella suddetta piazza ma su Via Ten. Ragno. 

La discussione si sposta a quel lontano 1992, alle ragioni che lo indussero a compiere quel gesto così clamoroso contro il primo cittadino di Molfetta.

Maralfa: Quale fu il motivo dell’omicidio? Il rifiuto di concedere il permesso per il concerto? (Si tratta del famigerato concerto di Nino d’Angelo, ndr).

Brattoli: «La mattina (Carnicella ndr) fissò  il permesso; quel giorno ero stanco perché ero di ritorno dal tour di Luca Carboni che avevo organizzato e in Prefettura mi dissero che non aveva firmato. Ancora oggi maledico quel giorno!».

Brattoli dichiara di aver voluto organizzare il concerto da solo. Ad una domanda precisa domanda se all’organizzazione avessero preso parte alcuni individui, risponde che questi gli avevano chiesto di partecipare alle spese al fine di trarne un ricavo. 

«Inizialmente il concerto si sarebbe dovuto tenere nel Seminario Regionale, poi presso il campo di calcio “Petrone”, in seguito a Giovinazzo». 
Questa l’ultima risposta dell’imputato.

L’udienza è stata aggiornata alle 12 del prossimo 8 luglio.