I pm confermano, sul Francesco Padre ci fu un assalto armato

di CARLO STRAGAPEDE

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Un foro di proiettile calibro 12.7, presumibilmente esploso da un fucile, è presente sulla fiancata sinistra del «Francesco Padre», verso la poppa. A confermarlo ufficialmente è il sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trani, Giuseppe Maralfa. Niente più indiscrezioni, niente più «si dice»: adesso, a 17 anni di distanza dalla tragedia che si consumò in Adriatico il 4 novembre 1994, è evidente che il motopeschereccio molfettese fu il bersaglio di un’aggressione con armi da fuoco. Quel foro si trova su un frammento di legno raccolto dal fondale, accanto al relitto, durante il sopralluogo, articolato in tre distinti momenti nell’arco di questo mese di ottobre. Un foro di entrata, del diametro di un centimetro e mezzo circa, come è stato rilevato dai consulenti balistici dell’uf ficio inquirente tranese. Per dare solidità probatoria alla loro tesi, nell’ultima delle missioni sottomarine, lo scorso fine settimana (sabato 22-domenica 23 ottobre) gli inquirenti hanno «chiesto» al robot «Falcon» di staccare, con forza, un pezzo di fasciame dal relitto. Questo segmento, lungo 40 centimetri, sarà accostato al pezzo bucato dal proiettile (quello raccolto in precedenza dal fondale), per dire, con certezza scientifica, che appartengono entrambi al «Francesco Padre».

Tutto per allontanare i dubbi residui che derivano – oltre che dalla estrema professionalità degli investigatori – dalla constatazione che in quel tratto di mare, in 17 anni, sono passate un numero infinito di imbarcazioni, che, almeno in teoria, potrebbero avere perduto pezzi. Perciò il prossimo passo sarà l’esame comparativo dei due frammenti di fasciame. Non basta: gli investigatori in camice bianco del Raggruppamento investigazioni scientifiche (Ris) dei Carabinieri di Roma hanno gli strumenti per valutare, possibilmente, altri due dati preziosi. Il primo: la presenza di tracce chimiche di esplosivo, su quel pezzo di legno bucato. Il secondo: la distanza fra il bersaglio e l’arma dalla quale partì il colpo, quella notte di 17 anni fa. 

Ancora. Il Procuratore della Repubblica Carlo Maria Capristo – al quale va il merito di avere acceso i riflettori, anche mediatici, su una tragedia che rischiava di essere dimenticata – con il suo «aggiunto» Francesco Giannella e il sostituto Maralfa è riuscito a recuperare un filmato del 2005, che potrebbe rivelarsi una ulteriore, preziosa sponda alle indagini. In quel filmato scorrono le immagini del tirante dell’albero di poppa (di un peschereccio), che venne a galla spontaneamente, in una zona molto vicina a quella dell’esplo – sione del «Francesco Padre». Quell’oggetto, «compatibile» con il motopeschereccio molfettese, come ha sottolineato Maralfa, presentava «tracce di schegge metalliche». Compatibili con una raffica di proiettili? Forse. C’è però un problema: il tirante dell’albero di poppa è andato distrutto, ne sopravvive solo il filmato, con le foto. Meglio di niente, certo: e anche questo dato sarà studiato insieme con tutti gli altri elementi. 

IL RELITTO NON SARÀ RIPORTATO A GALLA – Il dottor Capristo lo dice chiaramente: «Non è possibile riportare il relitto in superficie, dopo 17 anni». Qualcuno dei giornalisti fa notare garbatamente al Procuratore di Trani che l’aereo Atr Bari-Djerba (precipitato nel Mar Tirreno, a 11 miglia da Palermo, il 6 agosto 2005, con 16 vittime e 23 sopravvissuti, ndr) è stato fatto risalire a galla da 1.400 metri, una profondità molto maggiore dei 247 metri del «Francesco Padre». Capristo, da due anni alla guida della Procura della Bat, rimarca: «Il recupero dell’aereo fu compiuto pochi mesi dopo la tragedia. Nel nostro caso, dalle immagini registrate dalla Marina militare in occasione delle ripetute immersioni – ricorda l’esperto magistrato – risulta in modo molto evidente che il peschereccio, deteriorato dal lavorio delle correnti, adagiato sul fondale melmoso, è completamente avvolto da parecchie reti da pesca, appartenute presumibilmente ad altre imbarcazioni transitate in zona nel corso degli anni. Il recupero è quindi impraticabile».

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