«Il fragile territorio di Molfetta». Lame e doline.

Il rischio idrogeologico secondo il dott. Facchini, portavoce dei proprietari terrieri dei suoli destinati al Pip

 

di Lorenzo Pisani

Nella mente di qualche contadino è ancora vivo il ricordo di quell’alluvione del ’68. Ore interminabili di pioggia e campi allagati. Di quel giorno non restano tracce. Per rivivere le immagini delle lame gonfie di acqua come fiumi in piena non resta che appellarsi alle loro testimonianze. 



Un evento del genere, se non di intensità ancora maggiore, potrebbe nuovamente abbattersi sul territorio di Molfetta. 



È quanto sostiene Guglielmo Facchini, portavoce dei proprietari terrieri sui cui suoli è prevista la costruzione del terzo Piano per gli insediamenti produttivi(Pip), la nuova zona artigianale di Molfetta. 



Il medico molfettese cita a riguardo studi geologici ribaditi dall’Autorità di bacinonella conferenza dell’8 febbraioCalcoli statistici basati sul “tempo di ritorno”, il periodo medio di attesa tra il verificarsi di due eventi successivi, hanno permesso l’individuazione nel Piano per l’assetto idrogeologico (Pai) di tre zone ad alta (30 anni), media (200 anni) e bassa (500 anni) pericolosità.  



Proprio il Pip, simbolo della Molfetta del terzo millennio con i cento lotti e le due torri gemelle da 100 metri, sorgerebbe, secondo Facchini, sull’alveo di lama Scorbeto, uno dei solchi erosivi di cui è così ricca la nostra città. 



L’allarme fu lanciato circa due anni fa, ma respinto al mittente dal settore Territorio del comune. 



La questione è tornata alla ribalta con l’approvazione del Piano per l’assetto idrogeologico varato dall’Autorità di Bacino. La zona, così come altre di Molfetta, è a rischio idrogeologico, sostiene l’ente di governo delle acque con sede a Valenzano. Il Pip, così come è stato approvato, non s’ha da fare. 



Non la pensa così il comune, che ha presentato ricorso al Tribunale superiore delle acque pubbliche contro la perimetrazione dell’autorità. La corte di appello ha rinviato la discussione al 16 maggio e nel frattempo ha bocciato la sospensione cautelare del Pai richiesta da Palazzo di Città. 



Nel frattempo, per mitigare il rischio idrogeologico e dare il via all’urbanizzazione dei suoli destinati al Pip, l'amministrazione Azzollini ha presentato il progetto di un canale che dovrebbe convogliare le acque meteoriche nel Gurgo, una dolina nei pressi del Pulo. Progetto che per essere avviato deve ottenere il via libera dell’autorità, ma che a Valenzano nessuno ha ancora visto. 



Fin qui la cronaca. Ciò che non erano ancora noti erano i motivi della contrarietà di Facchini e degli altri proprietari terrieri al piano degli insediamenti produttivi e di conseguenza alle opere di mitigazione proposte dall’amministrazione. 



Motivi di sicurezza e di sviluppo (o di mancato sviluppo, a sentire il portavoce) che s’intrecciano tra loro come i percorsi delle lame evidenziate dal Pai. 



Edificare nell’area prevista dal comune non solo sarebbe rischioso da un punto di vista del rischio idrogeologico, ma porterebbe secondo Facchini a possibili azioni risarcitorie nei confronti del comune. Inutili inoltre le opere presentate alla stampa, che anzi non farebbero che peggiorare l’assetto del territorio. «Avevo tentato di spiegarlo alla città nel forum organizzato lo scorso luglio, ma di fatto mi è stato impedito di esporre i miei studi» dichiara. 



Quali studi? «Quelli fatti eseguire da alcuni tecnici sui miei terreni che hanno rilevato la presenza sul territorio di numerose lame». 



Facchini non si ferma qui. Afferma di aver individuato da un’analisi dei rilievi cartografici (tratti dal Sistema informativo territoriale della Puglia che qui vi mostriamo e visionabili sul sito web nel dettaglio) sul territorio molfettese una serie di doline, formazioni di natura carsica che hanno il più eloquente esempio nel Pulo e nel Gurgo. Queste potrebbero essere a suo dire collegate. 



«Incanalare nel Gurgo le acque meteoriche sarebbe come incanalarle nel Pulo – sentenzia il dottore – e questo sarebbe doppiamente sbagliato, perché entrambi i siti sono protetti, anzi il Pulo è in attesa del riconoscimento europeo di sito di interesse comunitario». 



Ma altre doline, stando alle curve di livello evidenziate sulle mappe, sarebbero presenti anche in città e in loro corrispondenza in passato si sarebbe costruito. Con le conseguenze del caso: «A maggior ragione se queste cavità carsiche fossero collegate da una falda alimentata dalle acque provenienti dal canale ipotizzato dal comune!». 



Un’ipotesi che non mancherà nuovamente di far discutere il mondo politico e scientifico della città, su cui né l’Autorità di bacino, né il comune hanno finora realizzato specifici studi. 

«La vita delle persone che abitano nei quartieri di civili abitazioni costruiti nelle lame e nelle doline abitati da centinaia di famiglie è cosa seria ed ha la precedenza su ogni opera. Le torri gemelle possono aspettare». Non è nuovo a questi toni Facchini. 

Ma cosa l'ha spinto a realizzare una lunga serie di studi geologici sui suoi terreni? 
 

Tutto ha avuto origine quando Facchini nel 2006 ha commissionato alla Geo Exploration di Triggiano alcuni rilievi per valutare la possibilità di far insediare a Molfetta un centro scientifico internazionale. Il nome era pronto, i progetti pure (in alto la pianta), ma è stato il suolo a non essere idoneo. Sull'area prescelta (terreni in parte di proprietà del dottore e della sua famiglia) secondo i geologi insistono due tronchi di lame e quindi l’intera struttura va ridisegnata. 

Approntate le modifiche per renderlo conforme alle leggi, il progetto è stato ripresentato nel 2008 agli uffici comunali e lì è sembrato smarrirsi per circa due anni,
«Solo di recente – dichiara Facchini – mi sono stati concessi dei terreni, ma in un’area non idonea».Il comune ha intenzione di realizzare in quella stessa zona l’ampliamento del Piano degli insediamenti produttivi (Pip) e, anzi, a tal fine si deve procedere con gli espropri. Nulla da fare, sembrerebbe, per l’Azienda Città della Scienza San Corrado di Baviera (detta Città della scienza), questo il nome del progetto, un’istituzione giuridica internazionale dedicata allo “sviluppo della ricerca scientifica applicata alla produzione industriale”, vale a dire la ricerca originata da precise domande di mercato.
Un’istituzione che gode di tutte le normative di diritto internazionale, di diritto privato, pubblico e amministrativo attualmente vigenti.
 “Sua finalità primaria – si legge nell’atto fondativo – è la promozione della cultura in generale, ma soprattutto della ricerca e cultura scientifica (…). Sua finalità specifica è la produzione di brevetti con conservazione della proprietà intellettuale e di prodotti di altissima tecnologia da immettere sul mercato”. 
Gli ambiti di ricerca abbracciano numerosi campi della scienza: farmacopea, scienza della vita (compresa la ricerca sulle cellule staminali e vaccini), genomica, qualità e sicurezza alimentare, biotecnologie, nano-tecnologie, scienze dei materiali. La ricerca avviene nel pieno rispetto di tutti i principi dell’etica e bioetica previste dalle norme vigenti. 
Questo centro di ricerca di tecnologie e nuovi materiali (usati anche dall’industria spaziale), sostiene Facchini, direttore esecutivo di Città della scienza, ha già raccolto le adesioni dei rettori di alcune università italiane (La Sapienza di Roma, Politecnico di Torino, Università degli Studi di Bari, Politecnico di Bari, Università Federico II di Napoli, Seconda Università di Napoli, Iulm di Milano, Università del Sannio di Benevento, Università degli Studi dell’Aquila), del Cnr e dell’Enea, dell’Istituto superiore di sanità, oltre che di alcune multinazionali farmaceutiche. 
«I fondi per il finanziamento del complesso sarebbero reperiti dal VII programma Quadro della Comunità Europea – illustra il dottore -, oltre che da altri fondi pubblici (agevolazioni Legge 488) e privati, nazionali ed esteri provenienti dalle industrie appartenenti a Paesi riconosciuti dall’Onu». 

Un'iniziativa ambiziosa, quasi impossibile dalle nostre parti, che vedrebbe l’arrivo a Molfetta di circa 1.500 ricercatori provenienti da tutto il mondo
. A tal proposito sono già stati stipulati accordi con ambasciate di Francia, Germania, Regno Unito, Austria, Ucraina, Polonia, Siria, Giordania, Egitto, Cuba, Brasile, Giappone. Il progetto che attende ancora la risposta del comune di Molfetta prevede in un’area di 18 ettari dieci padiglioni a due piani destinati a ospitare laboratori di ricerca, uffici, sale congressi e un’area di coltivazione coperta per colture ogm vegetali, biblioteche e strutture sportive. «Il tutto costruito con i moderni standard architettonici e il rispetto delle diverse culture ospiti nella struttura, tradotto nella costruzione di edifici di culto destinati alle differenti religioni dei ricercatori». 

L’innovazione alla base della Città della scienza non riguarda solo gli ambiti scientifici, ma lo statuto
. Trattandosi di un ente internazionale, tutti i prodotti della ricerca potranno essere commercializzati a fini civili anche nei paesi sottoposti a embargo; inoltre sarà conservata la proprietà intellettuale dei brevetti, incentivando così l’arrivo di scienziati attratti dalla possibilità di far fruttare le proprie scoperte. 
Organi di governo previsti dalla Città della scienza sono il comitato scientifico permanente, il consiglio di amministrazione e quello dei ricercatori, costituito da personalità scientifiche note al mondo della scienza e dell’industria (membri del Cnr, università, Enea e politecnici) che ne dirigeranno le attività. Rita Levi Montalcini e Carlo Rubbia sono stati proposti come possibili presidenti onorari. 

L’investimento iniziale è stato quantificato in 550 milioni di euro già reperiti all’estero
. La stima dei ricavi dell’attività di ricerca parla di circa 2mila milioni di euro in cinque anni, senza contare altri finanziatori attratti dai vantaggi del centro. Si stenta a credere che tutto ciò avrebbe potuto realizzarsi nella nostra città. L’indirizzo del comune è stato quello di concedere per la cittadella internazionale, solo dopo due anni, dei terreni considerati non idonei dal richiedente. Si è premuto invece l’acceleratore sul Pip. Due soluzioni agli antipodi, come le posizioni dei due protagonisti di questa storia. 

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